|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
|
( 2585 letture )
|
Dopo aver raccolto ampi consensi con Dustwalker, capace di dare una scossa ai già promettenti esordi del 2013, grandi aspettative erano state riposte nella nuova creatura di casa Fen, che in molti prevedevano sarebbe diventata, senza ombra di dubbio, consacrazione della maturità e dell’imponente talento della band inglese. Fin dalla sua pubblicazione Carrion Skies ha invece saputo sorprendere stampa e fan, in positivo e in negativo. Infatti, chi si aspettava che in questa nuova release i Fen continuassero decisi nella scena post-metal, è stato deluso. Chi auspicava un ritorno più dirompente della componente black, ha trovato pane per i suoi denti. Chi, infine, aveva riposto le proprie speranze in un disco ‘della maturità’, in grado di diventare un caposaldo della discografia degli anglosassoni, si è ritrovato ad ascoltare un prodotto che raggiunge in parte l’obbiettivo, anche se seguendo una via piuttosto inaspettata.
A far comprendere fin da subito come Carrion Skies si sia allontanato dallo stile del precedente sono le chitarre, i cui riff dinamici e i cambi di ritmo si intrecciano volutamente non solo con gli arpeggi di una melodia oscura, ma anche con un interessante tocco old school dove necessario. Filo conduttore tra le varie tracce è anche e soprattutto la voce, calibrata e sempre concentrata, in grado di adattarsi perfettamente ai differenti mood, trasformandosi da clean elegante e melodico ad ululato glaciale, passando per vocals rabbiosi ed aggressivi e per qualche sporadico coro, di grande evocatività (come, ad esempio, in Sentinels). Tuttavia, già con The Dying Stars e il di poco successivo singolo Menhir - Supplicant l’atmosfera dell’album comincia a farsi tirata, come meccanica. Se infatti queste tracce rimangono compatte e fluentemente legate alle precedenti, questa stessa abbondanza di coesione le porta ad essere facilmente giudicate come ripetitive, nonostante la loro indubbia qualità, se questa valutazione le avesse prese in considerazione singolarmente e al di fuori della release. A non facilitare il processo di assimilazione dell’album sono anche le durate, smorzate solo in parte della chitarra, dei singoli pezzi, tutte attorno o ben al di sopra dei dieci minuti (con la sola eccezione di Our Names Written in Embers Part 2 (Beacons of Sorrow)), che tuttavia per i propri contenuti, le ritmiche e la pressoché totale simbiosi con la ‘gemella’ precedente, costringe quasi a dare una scorsa alla playlist, per essere sicuri di averne rintracciato correttamente l’inizio.
Concludendo, dunque, si può senza dubbio definire Carrion Skies come un album maturo e personale, che sembra definire e mettere nero su bianco la volontà (dichiarata) della band di non volersi addentrare più di tanto nella scena post-metal, per non seguire le orme di altre band che “suonano musica smidollata per hipster che le applaudono, entusiasmandosi solo all’idea di chiedersi se sia musica metal o meno”. Giocano la carta del ritorno al black, i Fen, anche se a volte il tentativo risulta troppo tirato, dando l’impressione che questo temporaneo ‘stare con un piede in due scarpe’ non sia l’opzione migliore. Difficile dunque esprimere un giudizio definitivo sul destino degli inglesi, che sembrano aver raggiunto un obbiettivo solido, seppur qualitativamente migliorabile. Più realistica appare l’ipotesi di una valutazione momentaneamente sospesa, in attesa di vedere se questa scelta stilistica, che per quanto ponderata, non appare al momento del tutto convincente, sarà portata avanti in futuro o se nuovi cambi di rotta si prospetteranno all’orizzonte.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
3
|
A me è piaciuto moltissimo, come mi era piaciuto il precedente Dustwalker e lo ritengo tra i migliori album del 2014, assieme a Melana Chasmata dei Triptykon e Citadel, dei Ne Obliviscaris. E' senz'altro più black e crudo del precedente ma il songwriting resta su un livello altissimo e non ci sono momenti di stanca. Eccellente. |
|
|
|
|
|
|
2
|
all'inizio non mi aveva preso più di tanto, ma con gli ascolti si è rivelato un grandissimo album, decisamente migliore del precedente mezzo passo falso. le composizioni sono un mosaico di idee ed emozioni, la produzione è perfetta e c'è la giusta atmosfera. il finale della seconda traccia fa venire la pelle d'oca (ma anche tutto il disco). |
|
|
|
|
|
|
1
|
Secondo me il punto di maggior discontinuità rispetto alle uscite precedenti è solamente strutturale, o, se vogliamo, narrativo... Intitolandosi "Cieli Marci", oppure "ripugnanti", è chiaro che l'atmosfera generale dell'opera non potesse che essere volutamente scarificata e spoglia, molto distante quindi dalle aperture quasi folk di una "Spectre", ad esempio... Detto questo credo si possa parlare di un album meno immediato e dialogico, che inquieta come un cielo oscuro, che non possiamo toccare o influenzare, ma solo subire. In questo la maggior presenza dell'oltranzismo black trova la sua naturale collocazione, sebbene la volontà dei Fen non si limiti a questo back to basics... Per me un 80/100... |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Our Names Written in Embers Part 1 (Beacons of War) 2. Our Names Written in Embers Part 2 (Beacons of Sorrow) 3. The Dying Stars 4. Sentinels 5. Menhir - Supplicant 6. Gathering the Stones
|
|
Line Up
|
The Watcher (Voce, chitarre) Grungyn (Basso, voce) Derwydd (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|