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FEN - La musica della desolazione
18/02/2013 (1934 letture)
Cogliere lo Zeitgeist è segno di saggezza. Comprendere quando innovarsi e soprattutto quale sia il sentiero migliore per non soccombere alla metamorfosi, per non smarrire l’identità iniziale, quella che mentre la tua psiche si formava sopravvivendo nella solitudine dei Fens, accompagnava la tua indole verso la fondazione di un gruppo il quale ora si trova sul saldo vascello della riconferma magistrale. Nessun preambolo ulteriore ci trattenga, la parola agli schivi inglesi: torrenti di considerazioni e frequenti illuminazioni.

Ahti: Prima di tutto, da dove viene la vostra ispirazione? Sappiamo che gran parte del vostro potere creativo proviene dall’essere cresciuto nei Fens, ma potreste gentilmente evidenziare i caratteri della regione e come questo ambiente abbia influito sulla vostra musica?
The Watcher: Io e Grungyn siamo cresciuti nei Fens. È stato un periodo decisivo nella nostra vita, uno in cui il senso di isolamento, solitudine ed estraniamento era rappresentato dalla desolazione del paesaggio. Questi anni formativi sono stati plasmati da ciò che ci circondava, il piatto, spoglio paesaggio che era quasi una visualizzazione della desolazione “psicologica”. Lo scopo dei Fen è, -ed è sempre stato- dare voce a queste sensazioni, a convogliare attraverso la musica questo intrecciarsi di desolazione interna ed esterna.

Ahti: Ho appena letto riguardo al vostro imminente tour assieme agli Agalloch, una delle band di maggior qualità provenienti dagli Usa. Come sono i rapporti tra di voi e come è avvenuto il vostro primo incontro? Reputo quest’accoppiata un “power-duo” essendo i Fen e gli Agalloch gruppi simili, ed ancora, con diversi punti di contatto (naturalmente esistono anche divergenze). Condividerete il palco pure in Europa giusto?
The Watcher: Paragoni tra gli Agalloch ed i Fen appaiono regolarmente, la qual cosa mi lusinga. Ci siamo incontrati la prima volta nel 2008, quando eravamo stati invitati in Belgio a suonare una data dividendo con loro il palco. Da quella volta abbiamo partecipato ad altri quattro o cinque concerti assieme alla band americana ed è chiaro che sussiste uno stretto legame tra di noi. Dal punto di vista personale ci troviamo bene in loro compagnia, ed esiste una visione piuttosto condivisa su cosa sia la buona musica, l’estetica e l’arte in generale. Credo sia abbastanza affermare che ora siamo in ottimi rapporti amicali ed è fantastico intraprendere un tour con loro.
Regolarmente veniamo “accusati” di copiare gli Agalloch in qualche modo… Io credo sia più una questione riguardante le influenze, che hanno una fonte condivisa. Per esempio, i Fields Of The Nephilim sono il mio gruppo preferito di sempre, e so che John (Haughn, ndr) ha fondato gli Agalloch con l’intenzione di trasmettere alcune sensazioni dei Fields utilizzando il medium del black metal… Così i nostri punti di partenza sono gli stessi. Penso anche che gli Agalloch presentino più elementi neo-folk e di classico heavy-metal, laddove noi ci rivolgiamo maggiormente allo shoegaze dei primi anni 90, oppure al rock indipendente, od ancora alla new wave degli anni ’80.
Certamente sarà emozionante girare l’Europa questa primavera: vedo questo tour come il coronamento della nostra carriera, un’occasione che vogliamo tenere stretta con entrambe le mani!

Ahti: Il vostro ultimo album è un esempio di autentica bellezza: qual è stata la genesis di Dustwalker? Quali sono le forze che vi hanno sostenuto durante la composizione? Ho apprezzato particolarmente l’uso dei diversi registri. Qual è il risultato che volevate ottenere da questa contrapposizione?
The Watcher: L’ultimo disco nasce dalla difficoltà: due membri della band che lasciano uno dopo l’altro nel 2011 possono causare caos all’interno del gruppo o ferirlo irreparabilmente. Io e Grugyn eravamo determinati ad evitare che queste fosse le opzioni a disposizione dei Fen. Reclutando il nostro buon amico Derwydd alla batteria, abbiamo fortemente voluto gettarci nel processo di composizione per dimostrare, che i Fen, ed l’impulso creativo che muove il progetto, erano più forti di prima.
Questa volontà è stata mantenuta durate le sessioni di ideazione, di prove, di registrazione. La concentrazione era il fulcro: obbiettivo, volizione, determinazione. Ci siamo davvero focalizzati sull’assicurare che il tradizionalmente “difficile terzo disco” sottolineasse le nostre attuali posizioni, e credo che il nostro sforzo sia andato a buon fine. Il nostro scopo era produrre un’opera che fosse sia dura, ruvida, essenziale sia sapesse mantenere atmosfere fredde, invernali, per rendere pronunciato il contrasto tra luce e tenebre all’interno di ogni singola traccia, la quale si presenta come entità autosufficiente. Parlando delle voci, abbiamo sempre impiegato il doppio registro harsh-clean. Credo che, semplicemente, in Dustwalker le linee vocali siano state eseguite con maggiore potenza ed attenzione rispetto al passato. Abbiamo impiegato parte del nostro tempo a verificare che tutti gli arrangiamenti fossero attentamente strutturati, in modo tale che in sede di registrazione non sorgessero difficoltà. Particolarmente per quanto concerne le mie parti, ossia lo scream, ho provato ad entrare in contatto con una forza fondamentale, primordiale, che alberga dentro di me, così da poter incanalare più violenza nella mia interpretazione.

Ahti: Usualmente le vostre composizioni sono discretamente lunghe: richiedono tempo per essere arrangiate, oppure giungono “spontanee”? E come riuscite a non perdere il filo mentre registrate? Immagino sia una gran fatica: tenere a mente tutte le parti, ricordarsi tutte le linee, richiamare i sentimenti e le emozioni che provavate mentre avete creato la traccia…
The Watcher: La composizione comincia di consueto a casa, in isolamento, partendo da un’idea sorta spontaneamente dai tasti della chitarra. Sia io che Grungyn sviluppiamo questo spunto fino a quando non diventa QUALCOSA, -un pezzo completo o una manciata di riff in sequenza non importa- da poter presentare al resto della band in sala prove. Il passo successivo è lavorare sull’intera progettualità del pezzo, tenendo a mente quale dev’essere l’intento strutturante la canzone. È per caso una che richiede cambi di tempo ed emozioni? Oppure, al contrario, è necessario svilupparla come un episodio scarno, ipnotico, ripetitivo? Piuttosto spesso usiamo i passaggi scritti nella prima fase come un canovaccio per l’improvvisazione, altre volte le tracce nascono già complete prima ancora che arrivino al cospetto della band. Tutto dipende dal mood della composizione, e da come la luce della creatività ci guida mentre siamo impegnati a lavorare su un’idea, qualche volta, qualcuno presenta un’interpretazione radicalmente opposta di una parte che porta la canzone su sentieri altrimenti inesplorati. Per esempio originariamente Grungyn avrebbe voluto che Wolf Sun cominciasse con un lento ritmo pulsante, mentre Derwydd preferiva aprire con una veloce, burrascosa linea di batteria, cosa che ha cambiato (in meglio, a mio avviso) il tono dell’episodio.
Venendo alle registrazioni: sono senza dubbio un duro impegno. Ci sono innumerevoli livelli e textured a cui bisogna prestare attenzioni, tuttavia, per me, è come raffinare una scultura, scalpellando gradualmente le imperfezioni. Le sessioni di incisione sono, personalmente parlando, sinceramente appaganti, non solo mi liberano dalla mia natura umbratile, solitaria, ma è necessario considerare che è immensamente ripagante vedere i pezzi venire alla luce.

Ahti: Qual è il segreto dietro al vostro rapido sviluppo, se ne esiste uno? Da quando avete cominciato la vostra carriera, con il primo album The Malediction Field, avete mostrato un enorme potenziale, ben presto diventato un’innegabile conferma del vostro talento. E’ impressionante, cioè, poche band hanno saputo migliorarsi album dopo album e solo i maestri del genere hanno, solitamente, questa dote. Sei d’accordo con me?
The Watcher: È veramente piacevole che tu ci consideri “maestri del genere”! Penso che una graduale, sincera, onesta evoluzione sia la chiave per un sviluppo naturale. Con i Fen noi siamo contenti della direzione intrapresa e non sentiamo l’impellenza di cambiare i fondamenti da cui siamo partiti oppure di re-inventarci. Chi lo sa, magari in futuro potremmo essere annoiati da questa linea, ma attualmente, ripeto, siamo felici di affinare il nostro approccio e di creare musica che realmente ci soddisfi, piuttosto che cercare il giusto equilibrio tra atmosfera e potenza. C’è sempre una via di mezzo da perseguire, tra una completa trasformazione a 180 gradi (come un buon numero di gruppi norvegesi sul finire degli anni Novanta) ed una staticità, ossia lo sfruttare senza sosta la stessa vena creativa. È qui, credo, in un compromesso, che il miglioramento di una band è da ricercarsi.

Ahti: Quali sono le vostre influenze? Sono conscio della banalità della mia domanda, ma è interessante conoscere meglio i presupposti che hanno portato al raffinamento del sound di un gruppo o le opere che hanno inciso su come la band suona oggi.
The Watcher: Le mie influenze partono con il classico movimento della “second-wave” norvegese, quindi Dissection, Emperor, Burzum, Darkthrone, ma hanno giocato un ruolo fondamentale anche i progetti più all’avanguardia del periodo, come Ulver, In The Woods, Fleurety, e via dicendo. Rispetto quei gruppi che hanno raccolto il testimone di questo raffinato sperimentalismo e ne hanno fatto qualcosa di più. Mi riferisco a Leviathan, Ruins Of Beverast,Alcest, Weakling, Agalloch, Blut Aus Nord, Funeral Mist, Deathspell Omega, qualsiasi cosa sia avventurosa, musicalmente coraggiosa e con uno spiccato gusto per le atmosfere e l’estetica. Sono anche attratto dal post-rock\shoegaze\post-punk, passo parecchio tempo ad ascoltare Slowdive, Swans, Mono, Godspeed, Chamaleons, primi Verve, et similia. Stimo che l’abilità di questi gruppi appena menzionati di intessere coinvolgenti e convincenti “paesaggi” sia importante, e -a discapito dei detrattori-, fondere questi ultimi con il lato più riflessivo del black metal, quello interessato allo “spazio” ed al “luogo” ha per me un significato (nonostante Satana!). Inoltre, come ho già detto, i Fields Of Nephilism sono una influenza predominante, essendo, forse, questa la band musicalmente più rilevante nel concepire i Fen.

Ahti: Cosa significa per te essere un musicista, od un artista, se preferisci questa seconda definizione?
The Watcher: È la mia “definizione” principale. Io non chiamerei me stesso un “artista” od un “musicista” esternamente, sembrerebbe arrogante, dopotutto non faccio questo per vivere, ma intimamente, è così che mi vedo. Per quanto pretenzioso possa suonare, è la base della mia esistenza, che altrimenti sarebbe un’esperienza più vuota, monocromatica. Per me si tratta maggiormente di creazione –portare alla vita una melodia, un concetto, un progetto- piuttosto che di impegno pubblico (suonare su un palco etc…). Certamente il secondo aspetto è irrinunciabile per comunicare l’idea o le idee in questione al pubblico, ma principalmente, la spinta è la fiamma della creatività. Può essere estremamente difficile: io sono un musicista impegnato, ed invecchiando, è sempre più arduo conciliare gli oneri di un lavoro, di una relazione e le generali pressioni della vita adulta.
Comunque questo è ciò che penso. Potrei sembrare ossessionato (e tanti mi dicono di esserlo!), ma è la prima ragione per cui mi alzo ogni mattina.

Ahti: Come vedi la scena inglese? Credi ci siano band talentuose che aspettano d’essere scoperte?
The Watcher: La scena inglese sta facendo bene in questo ultimo periodo. Da quando abbiamo iniziato abbiamo potuto testimoniare un’esplosione di talento e creatività, specialmente nel black e nel doom. Abbiamo suonato con molte di queste nuove band e siamo personalmente amici dei loro membri, e v’è un sentimento di crescente familiarità, un tratto che mancava dannatamente nel movimento underground nella prima metà dello scorso decennio. Discorrendo di black, tu conoscerai probabilmente i Wynterfylleth, ma anche i loro compagni di etichetta, i Wodensthrone, sono altrettanto eccellenti, il loro ultimo album è uno dei dischi più epici che io abbia mai ascoltato. Old Corpse Road sono una realtà ambiziosa, che realmente recupera le atmosfere degli anni Novanta proponendo allo stesso tempo lo spirito da cantastorie tipico dell’Inghilterra arcaica (complesso tradurre l’espressione the storytelling spirit of the Old England senza stravolgere la frase). Sempre in questo campo abbiamo i Ghast, i Towers Of Flesh ed i Scutum Crux, tutte e tre ottime formazioni.
Nel doom invece, abbiamo fedelissimi del genere, come gli Esoteric, i Pantheist e gli Indesinence, che continuano a registrare musica fenomenale. Nel death, proseguendo, in prima linea ci sono Grave Miasma, Cruciamentum, Binah e Flayed Disciple, che guidano la carica… la scena anglosassone sta proprio fiorendo!

Ahti: Ho visto che siete prodotti e distribuiti dalla Code666. Come siete entrati in contatto con loro? Sono sorte difficoltà nell’essere sotto contratto con un’etichetta italiana pur essendo residenti in Gran Bretagna?
The Watcher: Code666 si avvicinò a noi dopo l’uscita dell’EP Ancient Sorrow, facendoci un’offerta che non potevamo rifiutare! Mostrarono una chiara passione per la nostra musica e per la visione che stavamo portando avanti, così collaborare con loro è qualcosa che volemmo fortemente. Non ci sono problemi con il loro essere geograficamente lontani: siamo nell’era di Internet e delle comunicazioni, un’epoca in cui le distanze sono quasi insignificanti. Da un altro punto di vista, l’italianità della Code666 ci permette di avere un collegamento con l’Europa continentale, un aiuto determinante per portare anche lì la nostra immagine. “Sbarcare” oltre la Manica è sempre stato il nostro obbiettivo, essendo, seppur ben supportata, abbastanza piccola la scena UK. Non fraintendere, amiamo suonare nella nostra terra natia, tuttavia la Code666 ci agevola nel raggiungere un’audience più ampia.

Ahti: Perché hai fondato il gruppo? E quali sono i significati dei vostri pseudonimi? Sieti liberi di saltare quest’ultima parte della domanda se non volete rivelarli, capiremo il vostro punto di vista.
The Watcher: Suono la chitarra dall’età di 15 anni e sono stato in parecchie band da quando avevo 19 anni. Come ho spiegato precedentemente, il desiderio di suonare in una formazione è nato dal bisogno di create, un’ossessione, se preferisci. Dar vita alla musica assieme ad altre persone è una profonda, potente esperienza che è un pietra miliare del mio essere. Ci sono stati pochi momenti, negli ultimi 15 anni, in cui sono rimasto senza gruppo, piuttosto deprimenti. Non c’è niente di peggio che andare ai concerti senza avere una band e vedere i tuoi amici che spaccano sul palco.
Passando agli pseudonimi, ho sempre reputato che l’importante della musica sia di avvolgere l’ascoltatore nell’atmosfera, alienandolo da quanto è basso e triviale. In ciò, nessuno ha bisogno di conoscere il tuo vero nome, e non è nemmeno di qualche interesse, quello che conta è la disconnessione dal quotidiano ed il passaggio a qualcosa di più profondo. I musicisti rock hanno utilizzato nomi fittizi dall’alba del genere, quindi non è alcunché di nuovo, riguarda più l’aiuto che essi forniscono nel assecondare il completo abbandono dell’ascoltatore al viaggio musicale. Restando su questo assunto, il motivo per cui gli pseudonimi vengono impiegati è di maggior rilevanza rispetto al loro significato.

Ahti: Cosa mi racconti per quanto concerne i tuoi progetti paralleli? (la domanda è rivolta a The Watcher, ma tutti i membri sono liberi di esprimersi). La gente pensa solitamente che un musicista debba, piuttosto che perdere tempo suonando in un coacervo di progetti, convogliare tutte le sue influenze per creare qualcosa di nuovo, brillante...
The Watcher: Questa è complessa. L’opinione comune è che uno impegnato su 2 o 3 fronti stia facendo troppe cose contemporaneamente (l’esatta locuzione è spreading themselves thin ndr), e che sia meglio che egli si concentri su un unico progetto. Seppur capisca questo modo di vedere, il rovescio è la diffusione di idee ed influenze, cioè, per esempio, io ascolto differenti stili e generi, e di certo non sarebbe appropriato portare il mio amore per i Whitesnake nei Fen! Considerando questo, avverto il bisogno di avere altri sfoghi in cui incanalare stili divergenti, diverse atmosfere, che sarebbero solo di detrimento per i Fen, piuttosto che avere un impatto positivo sul suono del gruppo. Apprezzo il concetto secondo il quale influenze disparate possano condurre ad una proposta fresca, innovativa, tuttavia credo che ci sia un punto in cui tirare un linea netta è inevitabile. I Fen sono diventati un band dalla precisa identità, e necessito di mantenerla incontaminata.

Ahti: Quale altra arte avresti volute padroneggiare se non fossi diventato un musicista? Strana e macchinosa domanda in realtà…
The Watcher: In verità è interessante! Sono sempre stato attratto dalla creatività, e prima di cominciare con la chitarra, ero solito disegnare e scrivere piuttosto intensamente. Immagino che se non avessi la musica, mi piacerebbe dedicarmi ad esplorare queste due possibilità. Faccio dei tentativi di quando in quando, ma dati i miei limiti (in particolare come disegnatore) e la scarsità di tempo per dedicarmi solo a questo, finisco per abbandonare insoddisfatto e frustrato.
Dobbiamo sempre guardare avanti: se il gruppo dovesse fermarsi un domani, credo che questa esplorazione potrebbe essere qualcosa in cui potrei gettarmi a capofitto. E’ sicuramente nel raggio del mio radar, e forse, un giorno potrei avere il tempo richiesto per intraprendere questa ricerca. Ma al momento, la musica consuma le mie giornate.

Ahti: La stampa colloca la vostra proposta sotto il gonfalone del “Pagan metal”. Non penso che questa etichetta sia esatta, poiché spesso le formazioni classificate in questo modo non hanno quasi nulla in comune… Cosa ne pensi?
The Watcher: La moda corrente del “Pagan Metal” non ha, genuinamente parlando, che poco a che vedere con il vero Paganesimo. La maggioranza delle formazioni raggruppate in questa corrente sono kitch folk metal band che agitano boccali di plastica, danzano lo jig mentre suonano trite ed allegre melodie impiegando il “Korg Tritons” per replicare il suono di una fisarmonica. È veramente roba di scarso valore. Ci sono senza dubbio anche progetti sinceri che esplorano temi legati al Paganesimo, come Falkenbach e Helrunar, ma reputo che collocarli sotto la bandiera del Pagan sia riduttivo, in quanto il loro approccio esplora temi approfonditi e specifici.
Credo che quello che “prosciuga” il movimento sia che il concetto di “paganesimo” sia stato diluito e ampiamente diffuso, cosicché ha smarrito il suo significato originale. Attualmente indica un rifiuto verso la cristianità, una passione per i tempi antichi e la natura. Questi sono spunti positivi, e noi stessi (ma suppongo anche il 90% dei metallari) li sosteniamo. Ma, sinceramente, non reputo che l’etichetta “Pagan” sia adatta ai Fen.

Ahti: Quali temi trattate nei vostri testi?
The Watcher: Parlando per me, il tutto si riduce alla contrapposizione tra paesaggio intimo e paesaggio esterno. Buona parte dei testi che scrivo prendono ispirazione da considerazioni esistenziali o pensieri personali filtrati attraverso la metafora dell’ambiente naturale. È difficile essere precisi: amo che i miei testi possano permettere agli ascoltatori di identificarsi, ma allo stesso tempo riescano a restare personali. Perdita, rabbia, morte, desolazione, isolamento, spiritualismo, negazione, scetticismo, razionalità, solitudine, -temi comunque comuni per il genere- tuttavia mi piace credere che i Fen siano in grado di dar loro una prospettiva unica. Queste tematiche sono trasfigurate nel paesaggio, trasmesse per mezzo di proiezioni oniriche della spiritualità dei Fens, o, ripeto, metafore che trovano in questo contesto la loro collocazione. Esistono ovviamente elementi che possono essere colti ad un livello più tangibile, ed altri che invece possono essere intesi su un piano più letterario. Dopo tutto il territorio in cui si vive ha un profondo impatto sul nostro carattere e sulla prospettiva con cui guardiamo il mondo. Non sono interessato a trattare eventi singoli oppure materie circoscritte come la storia o la religione. Mi preme maggiormente che i testi siano un vettore che agevoli l’ascoltare a perdersi nel nostro viaggio.

Ahti: Nonostante la profezia dei Maya si sia rivelata una bufala, mi piacerebbe chiederti quali sono gli album che salveresti da un’ipotetica apocalisse…
The Watcher: Posso portarne 10?
1. Fields of the NephilimThe Nephilim.
2. SlowdiveSoulvaki
3. Black DogRadio Scarecrow
4. Tears for FearsSongs from the Big Chair
5. EmperorIn the Nightside Eclipse
6. WeaklingDead as Dreams
7. Funeral MistSalvation
8. The VerveStorm in Heaven
9. MayhemDe Mysteris dom Sathanas
10. Virgin SteeleThe Marriage of Heaven and Hell Part 2

Ahti: Ti piace il progressive rock? Sì, è leggermente fuori tema, ma ogni volta che scambio due parole con un inglese devo, per obbligo morale, assillarlo con le mie domande ed i miei dubbi riguardo al periodo, in quanto ho una smisurata passione per quei capolavori visionari ed eccellenti registrati all’inizio degli anni Settanta. Abbiamo ancora qualcosa da imparare da quei dischi, più di quanto comunemente si immagini….
The Watcher: Sì! Sia io che Derwydd (lui in primis) siamo grandi fan del periodo prog. Infatti una delle band preferita dal nostro batterista sono i Genesis di Phil Collins (quest’ultimo è anche uno dei suoi riferimenti come strumentista!). Dal canto mio, In The Court Of The Crimson King e Close To The Edge sono la perfezione progressive: la miscela di tecnica esemplare e song-writing visionario è sorprendente. I primi album dei Genesis sono anche notevoli. Confermo, c’è qualcosa di questo movimento che suona attuale ancora oggi.



kaioken
Lunedì 25 Febbraio 2013, 17.57.13
5
Bellissima intervista e band eccezionale! Non vedo l'ora di sentirli dal vivo!
Moro
Domenica 24 Febbraio 2013, 14.05.41
4
intervista bellissima ! risposte lunghe e coinvolgenti.
Le Marquis de Fremont
Mercoledì 20 Febbraio 2013, 14.18.43
3
Band eccellente che fa musica eccellente. Nota particolarmente esaltante, il fatto che abbiano citati i gruppi prog Inglesi dell'inizio degli anni '70. Io sono un fan assoluto del Van Der Graaf Generator, ad esempio. Au revoir
GioMasteR
Martedì 19 Febbraio 2013, 18.01.25
2
Confesso che me li sarei attesi più abbottonati, invece si sono aperti molto, rivelando particolari anche molto interessanti...
piggod
Martedì 19 Febbraio 2013, 12.57.13
1
Bell'intervista per un grande gruppo.
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Fen - L'intervista
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