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Ulver - Blood Inside
( 5399 letture )
Ci sarebbero centinaia di modi per incominciare questa recensione, si potrebbe descrivere la genesi che ha portato a Blood Inside, con il cambio di rotta musicale ed trascorsi i black metal della band. Sicuramente ci sarà chi pensa che "gli Ulver sono morti dopo Nattens Madrigal" o cose simili; d'altro canto sicuramente ci sarà anche chi, non adorando particolarmente il black metal, si accosta ai "Lupi" per una ricerca di avanguardie sonore prima inesplorate. All'epoca dell'uscita qualcuno avrà incrociato le dita sperando che sia in Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell prima, che in Perdition City poi (unici studio album realmente definibili come tali attraverso una varietà di EP e collaborazioni cinematografiche), ci fosse un ritorno a sonorità più retroattive e che un doppio pedale coadiuvato da chitarra zanzarosa nascesse da quegli altoparlanti: peccato! Come potrebbe mai un album che prima doveva chiamarsi Utopian Enterprises, poi Heart, avere anche solo parzialmente la volontà di sottrarre? Questo è un disco che aggiunge, moltiplica e colleziona sonorità prima dimenticate nell'angolo buio della stanza dei giochi per farne circense manifesto di stravaganza. Blood inside è megalomane, acuto, introspettivo, romantico, kitsch, barocco e anche ineluttabilmente anacronistico. La morte colpisce tutti prima o poi da sempre e così sarà anche per gli Ulver. Questo è un album che parla col cuore a una generazione che non può guardare indietro, ma che può al massimo attendere la morte progredendo lungo il sentiero delle avventure quotidiane; un cammino che potrebbe ad un certo punto lasciarci con la cornetta del telefono in bilico tra le dita, con una richiesta d'aiuto e con noi che negli ultimi lampi di vita non riusciremo a parlare, allungando la mano verso il bianco candore: il sangue dentro a quel punto smetterà la sua corsa precipitosa.

Le parole chiave per tradurre Blood inside possono essere: cuore, vita, sangue, ospedale, ambulanza, violenza, bellezza e morte; unendole tutte insieme e calcolando gli album creati nella storia, che trattano questi argomenti, avremmo una fila chilometrica; dunque cosa porta di nuovo sulla scena da poterlo definire un disco eccezionale? È presto detto: sensibilità applicata al concetto di avanguardismo, prendere le esperienze passate aumentando il battito cardiaco per intensificare l'empatia con l'ascoltatore. Ci sono momenti di jazz fusi con rock psichedelico, combinati con l'elettronica frivola e progressiva come pochi riescono ad utilizzare; la chiave di volta è nell'essere stati in grado di utilizzare generi musicali agli antipodi per farli confluire in quarantacinque minuti e quarantacinque secondi di "non-suono". Oltre al modernismo visto fino ad ora, è il richiamo al passato attraverso una veste rinnovata e destrutturata che lascia sbigottiti i più; intravedere la Toccata e fuga in Re minore di Bach che prende vita su It is not Sound, oppure il linguaggio poetico di Fernando Pessoa reinterpretato sui testi di Christmas: il tutto idealizzabile, ma inspiegabile per molti. È impossibile applicare descrizioni alle tracce prese singolarmente senza cadere nei classici cliché, indirettamente gli Ulver portano a compimento un concept album sul tema della vita, dalla nascita alla morte fisica, senza che l'ultraterreno, il lato spirituale, entri in contatto con la carne umana. Il cantato rimane sempre etereo senza mai prendere pienamente possesso della scena, frutto di una produzione inattaccabile a cura di Ronan Chris Murphy; ogni passaggio, sfumatura o inserto strumentale è prezioso quanto il più importante degli strumenti classici. Esistono artisti concettuali e spaziali moderni che vedono nel "dire di meno" un'apertura mentale più ampia; basta prendere ad esempio alcuni creativi come Bertrand Lavier e la sua famosa Alfa Giulietta incidentata, in cui la corsa verso la velocità porta a conclusione la vita, oppure i rinomati tagli Fontaniani con l'apertura della terza dimensione nella tela o i monocromatici di Mirò in cui l'istinto prende il sopravvento sul pensiero stesso del creare. Blood inside è il telo rosso con al centro lo sfregio mentre va oltre i confini autoimposti in precedenza, è il rottame deteriorato a simbolo della fragilità dell'uomo, combinato con quella linearità essenziale e diversificata che ci lascia vedere un'infanzia intera lungo un linea monocromatica. Non è certo metal né tantomeno avantgarde, piuttosto l'unione minimalista di idee sviluppate per anni attraverso tagli e riadattamenti, arrivando al segnale di stop lungo la strada intrapresa sette anni prima con l'allora rinnegato Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell.

L'aspetto musicale è stato lasciato volontariamente nelle retrovie perché con certi album le percezioni sono singolari, la sovrastruttura imbastita è piena di elementi che vengono compresi di volta in volta in modalità differente lasciando indietro alcuni passaggi più nascosti. Sicuramente non è musica per tutti, vedetela piuttosto come una sfida verso la fruizione sonora dell'ascoltatore medio che considera i cambi stilistici come un modo per rinnegare il proprio passato: non ci sono applausi per i detrattori. Gli Ulver successivamente avranno necessità di mutare drasticamente la loro scelta musicale, componendo un album ambient come Shadows of the Sun, privo di qualsiasi sfuriata barocca qui presente, privo di batteria e con una delicatezza solamente sfiorata tangenzialmente in queste nove composizioni. Immergetevi con la volontà di affogare dentro Blood inside; in caso contrario, statene alla larga, proteggetevi dietro il muro che divide la creatività dalla paura della composizione.

L'originalità è l'unica cosa di cui coloro che, originali non sono, non possono comprenderne l'utilità. Non vedono a che cosa serva: e come potrebbero? Se lo potessero, non si tratterebbe più di originalità.



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
84.16 su 42 voti [ VOTA]
Zess
Venerdì 27 Febbraio 2015, 10.43.49
5
Molto buono.
David De La Hoz
Domenica 22 Febbraio 2015, 15.44.30
4
gli Ulver sono semplicemente immensi.
Mickey
Sabato 21 Febbraio 2015, 12.14.47
3
Comunque grandi, finalmente la discografia è completa!
Mickey
Sabato 21 Febbraio 2015, 12.13.44
2
Che disco... Mi ci volle del tempo per capirlo, decisamente inclassificabile e fuori dagli schemi.
BlackSoul
Sabato 21 Febbraio 2015, 9.31.08
1
Non conosco l'album, ma davvero complimenti per la recensione, non vedo l'ora di ascoltarlo dopo averla letta
INFORMAZIONI
2005
Jester Records
Inclassificabile
Tracklist
1. Dressed in Black
2. For the Love of God
3. Christmas
4. Blinded by Blood
5. It Is Not Sound
6. The Truth
7. Your Call
8. In the Red
9. Operator
Line Up
Krystoffer Rygg (Voce,Chitarra)
Jørn H. Sværen (Chitarra, Basso, Tastiere, Synth)
Tore Ylwizaker (Batteria, Violino, Sax)

Musicisti Ospiti
Bosse (Chitarra nella traccia 2)
Czral (Batteria nella traccia 9)
Jeff Gauthier (Violino nella traccia 7)
Håvard Jørgensen (Chitarra nelle traccia 1, 2 e 7)
Mike Keneally (Chitarra nella traccia 3 e 9)
Andreas Mjos (Vibrafono nella traccia 4 e 8)
Maja Ratkje (Coro nella traccia 7)
Knut Aalefjær (Batteria nelle traccia 2, 3 e 9)
 
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