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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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DevilDriver - DevilDriver
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( 4014 letture )
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Accantonato il progetto Coal Chamber il cantante Dez Fafara decide di mettere in piedi una nuova band, dal sound più violento e aggressivo rispetto a quello proposto fino ad allora: nel 2002 quindi forma i Deathride, moniker che abbandonerà presto in favore del definitivo DevilDriver (nome suggeritogli dalla moglie, la quale pare prese spunto da un libro che trattava di stregoneria), mentre per il logo ci si rifece alla Croce della Confusione, rimanendo dunque anche qui nel campo dell'occulto. Si sa, quando il leader di una band ne forma un'altra spesso questa risulta una simil-fotocopia sbiadita della precedente, ponendo dubbi sulla sua effettiva "utilità" ma fortunatamente non fu questo il caso dei DevilDriver: intendiamoci, paradossalmente questo debutto è forse il disco che presenta più analogie con il gruppo precedente (lo stile si affinerà già dal secondo album) ma comunque Dez dimostra di voler prendere una direzione diversa rispetto al passato. Innanzitutto la formula musicale prevede un miscuglio di sonorità nu-metal con il più pesante post thrash, conditi da un'attitudine groove che si palesa chiaramente nelle tracce del platter pur rimanendo in qualche modo quasi latente.
Chiaramente non si tratta di un nuovo genere, si arrivava da anni in cui persino i thrasher più oltranzisti avevano sperimentato un sound in certa maniera maggiormente moderno e spesso con risultati non troppo soddisfacenti; in ogni caso la velocità prende il posto dei ritmi cadenzati, le chitarre intessono un muro sonoro compatto e monolitico con pochissime concessioni agli assoli -qualcosa si può trovare in Meet the Wretched-, la batteria viaggia di doppia cassa a rotazione anche se ogni tanto fa la sua comparsa qualche ripartenza con cambio di ritmo (Swinging the Dead), mentre la produzione non mette mai il basso di Jon Miller troppo in evidenza, sommerso dalle chitarre del duo Kendrick/Pitts. Come accennato la componente nu-metal non viene del tutto abbandonata e così capita che nella tracklist ci si imbatta in canzoni che ne abbiano ereditato l'essenza, come ad esempio Knee Deep e Devil's Son; di contro non mancano esempi di composizioni più dure ispirate al thrash e al groove, come il riffing di Cry for Me Sky (Eulogy of the Scorned) dimostra ampiamente. Ovviamente per accompagnare queste sonorità Fafara si presenta con uno stile differente rispetto a quello che aveva nei Coal Chamber: il singer stravolge completamente il suo modo di cantare con un vocalismo abrasivo e schizzato che però appare ancora un po' acerbo rispetto a quello che adotterà in futuro, riuscendo ad essere maggiormente incisivo e convincente col trascorrere del tempo; ciononostante non si può certo dire che manchi di aggressività nemmeno in questo album (vedasi The Mountain tanto per citare un esempio). DevilDriver mostra però anche alcuni limiti strutturali: le canzoni sono composte da linee piuttosto semplici e quindi poco articolate, spesso ripetitive così come i riff chitarristici, i quali non presentano mai particolari picchi (seppur non piatto anche il drumming, date le capacità di Boecklin, avrebbe potuto essere maggiormente valorizzato) e lo stesso si può dire per i testi, volti per lo più a dichiarare l'ostilità di Dez nei confronti del prossimo, se non verso il mondo intero. Insomma non siamo di fronte a un full length che straborda di originalità, ma tra i suoi solchi possiamo scorgere il seme di ciò che sarà in futuro.
Non un esordio epocale, quindi, il vero potenziale della band verrà svelato col successivo The Fury of Our Maker's Hand -forse il miglior lavoro dei californiani- e via via confermato dagli album che seguiranno, ma questo debutto va visto più come l'incipit di una nuova vita artistica per Dez Fafara che non come un'opera seminale in senso assoluto. Qui i DevilDriver, con questo stile piuttosto grezzo, sembrano ancora alla ricerca della propria strada e -fortunatamente- la troveranno come detto già dal prossimo album; il meglio deve ancora arrivare.
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7
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comunque questo é un gran bel disco. |
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6
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mah leggo i commenti e mi viene da chiede come si fa a definirli deathcore, io sinceramente di deathcore non ci sento nulla sento solo tanto groove/trash e melodeath. |
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5
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Li seguo da quando è uscito questo disco e, ad eccezione dell'ultimo (Trust No One) non mi hanno mai deluso. Non entreranno mai negli annali della musica, ma li adoro, perché hanno un groove eccezionale ed un cantante fantastico, almeno per me. |
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4
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Grandissimi! Ottimo disco!mitico dez non smetterò mai di dirlo! Voto 85 |
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3
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Bene o male...comprati rivenduti e tenuti li ho avuti tutti... Ma ad oggi the last kind words lo reputo il sigillo... Leggermente sotto pray For villains.. Negli ultimi anni si sono adagiati facendo album fotocopia...il primo,questo, ha ancora troppo coal chamber in certi passaggi.ma risulta sempre una spanna sopra le miriadi di band usa e getta del periodo. Concordo nel giudizio. |
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2
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sostanzialmente d'accordo su tutto, il meglio del gruppo verrà con l'album successivo... in questo a parte le prime 3 canzoni assassine ci sono ancora le influenze nu metal dei coal chamber, ancora non sapevano bene che strada seguire... sul genere però io più che metalcore li definirei deathcore, mi sembra più azzeccato... |
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1
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Quando vedo che recensite un disco metal-core, posso stare tranquillo che salvo qualche eccezione non si andrà oltre il 70  |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Nothing's Wrong? 2. I Could Care Less 3. Die (And Die Now) 4. I Dreamed I Died 5. Cry for Me Sky (Eulogy of the Scorned) 6. The Mountain 7. Knee Deep 8. What Does It Take (To be a Man) 9. Swinging the Dead 10. Revelation Machine 11. Meet the Wretched 12. Devil's Son
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Line Up
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Dez Fafara (Voce) Jeff Kendrick (Chitarra) Evan Pitts (Chitarra) Jon Miller (Basso) John Boecklin (Batteria)
Musicista Ospite: Mike Doling (Chitarra nella traccia 12)
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