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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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09/02/2016
( 4717 letture )
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Poche formazioni possono vantare una storia, e, soprattutto, una discografia come quelle dei Kampfar, sebbene la band, per via di una persistente attitudine underground ed una scarsa volontà di raggiungere un pubblico esteso, abbia avuto sempre un ridotto rilievo nella scena black metal: basti pensare al fatto che l’esordio in sede live risale al 2004, a ben dieci anni dalla pubblicazione del primo materiale, avvenuta nel 1994. Nonostante ciò, la formazione di Fredrikstad ha consegnato alla storia sette full-length di notevole fattura, caratterizzati da uno stile che, pur affondando le proprie radici in un viking black tipicamente old school, veicola la matrice folk in maniera inedita e personalissima, portandola avanti e rivendicandola con fierezza sino a questo Profan. Ed è per tali motivi che soppesare e sottoporre a giudizio un disco del genere non potrà che essere a un tempo un onere ed un onore per il recensore.
Se Mare rappresentava un viaggio nel mondo della stregoneria e Djevelmakt una inquietante esplorazione dell’oscurità abissale, questo Profan ci conduce in un luogo in cui l’annichilimento dinanzi le sovrastanti e titaniche forze che governano le sorti dell’umanità raggiunge il suo culmine. Tutto ciò è incarnato dall’inquietante figura ieratica senza volto posta in copertina, che si staglia su un paesaggio post apocalittico, opera dell’artista polacco Zdzisław Beksiński di cui i Kampfar propongono scientemente e programmaticamente un parallelo sonoro. Il perverso sublime presentatoci nell’artwork trova difatti espressione nel corso delle tracce, mediante il riuscitissimo intreccio tra le eleganti componenti melodiche -spesso sostenute dal particolare e incisivo screaming di Dolk- e le parti in cui a dominare la scena sono piuttosto riff furiosi in tremolo picking e ritmiche muscolari. L’album risulta essere ricco di refrain mai banali, seppur memorizzabili e di impatto. Tutti gli elementi del sound della band sono legati in maniera esemplare e convincente a testimoniare -semmai ve ne fosse stato il bisogno- la capacità compositiva ed espressiva dei nostri, rodati da una carriera più che ventennale.
Un flebile lamento ci introduce a Gloria Ablaze , uno dei pezzi più veloci ed inarrestabili nella discografia dei Kampfar e già a partire da esso è rilevabile un importante elemento di continuità rispetto agli immediati predecessori Mare e Djevelmakt. Le influenze folk, così preminenti nelle prime produzioni, restano anche in questo caso un fiume carsico che affiora di tanto in tanto riducendosi ad una componente soffusa e non più esplicita. Le tracce successive -tutte estremamente compatte quanto a minutaggio- scorrono inesorabilmente, senza margini per filler in un assalto sonoro in cui up tempo e medie frequenze dominano la scena, articolandosi tuttavia organicamente con sezioni più dilatate. Ciò avviene in particolar modo in Profanum in cui, tra l’altro, si avvertono suggestive dissonanze chitarristiche che aggiungono un tocco di modernità all’insieme. Archi e flauti spettrali ci introducono ad Icons, anch’essa maligna ed inarrestabile, sebbene percorsa da cori profondi folkeggianti dal sapore arcano ed ancestrale. La successiva Skavank, che con i suoi oltre sette minuti è la traccia più estesa, pur presentando una sezione ritmica varia ed intrigante risulta essere probabilmente l’episodio meno riuscito del disco essendo le linee melodiche che la sostengono meno convincenti rispetto a quanto avviene negli altri brani.
Il ritmo si allenta momentaneamente nel cantato quasi salmodiante di Daimon, pezzo oscuro e ritualistico nel quale trova persino posto il didgeridoo, qui suonato dal session Geir Torgersen i cui profondi vocalizzi vengono significativamente contrapposti alle ruvide clean di Dolk. Si tratta tuttavia soltanto della quiete prima della tempesta che si scatena con Pole in The ground, nella quale non si faticano a scorgere i riferimenti ai migliori Immortal nell’interessante linea melodica sottesa al tremolo picking. Il disco si conclude, ed è il caso di dirlo, in gloria con Totenkratt mediante la quale Dolk sfodera la prova vocale più sorprendente di Profan, passando da uno screaming corrosivo a rabbiose invocazioni sostenute da ritmiche più cadenzate riuscendo ad esprimere magistralmente il disagio del singolo individuo gettato in pasto all’agonia sistematicamente organizzata dell’umanità.
Infine, uno sguardo alla produzione: rispetto alle ultime release la registrazione si presenta notevolmente più grezza. Ciò tuttavia non influisce negativamente sulla release, finendo piuttosto per aggiungere alla stessa un tocco di personalità ed un velo di oscurità laddove un suono eccessivamente cristallino avrebbe reso l’amalgama freddo ed anonimo.
Profan è, in ultima analisi, un lavoro ben realizzato e curato in ogni dettaglio, impreziosito da un artwork assolutamente di rilievo. I Kampfar si mostrano con esso una formazione solida, portatrice di una formula collaudata e che tuttavia non perde di efficacia ed immediatezza. Sebbene la band si muova nel solco già tracciato da Djevelmakt, sarebbe ingiusto considerare questo full-length come un semplice clone o variazione sul tema del precedente: se è vero che la band ripropone soluzioni stilistiche già esplorate, persino un ascolto superficiale non può non rilevare quanto le diverse intuizioni siano realizzate in maniera convincente attraverso un sound del tutto peculiare che rende Profan un astro in grado di brillare di luce propria.
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9
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@Costanza, mi fà piacere che anche tu abbia apprezzato e "testato" sti Kampfar! \m/ |
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8
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@Doomale: Concordo, veramente eccezionali in sede live. |
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7
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Appunto..ricollegandomi al mio commento qui sotto..Posso confermare dopo lo show di ieri qui a Roma che quando salgono sul palco sti 4 vichinghi non c'è ne per nessuno. Ho visto piu' o meno tutti dal vivo della vecchia scuola nordica tranne ovviamente Darkthrone per ovvi motivi e Mayhem ( morti e sepolti nel 94)..Ma questi non me ne vogliano gli altri stracciano a tutti...sia su disco..che soprattutto dal vivo. Macchine da guerra sia nelle parti veloci sia nei midtempos piu evocativi. E con un frontman con la F maiuscola. Da vedere almeno una volta per capire di cosa parlo. Hail's Kampfar! |
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6
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A distanza di svariati mesi di ascolto, posso tranquillamente dire che questo e' proprio un grande album dal tiro veramente micidiale...Band che sta attraversando una seconda giovinezza. Di sicuro tra le vecchie band la piu' in forma senza ombra di dubbio e questo Profan ( ma anche prima Djevelmakt) lo testimoniano. Per me un 8,5 meritato. Li aspetto a Roma con i Selvans. |
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5
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Ascoltato solo una volta per ora...l'ho preso ieri...Album davvero molto bello. Potente e glaciale con atmosfere in cui si respira aria "pagana". Ha ragione Punto Omega quando dice che non stanno sbagliando un colpo. Ottimi |
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4
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disco molto bello, soprattutto perché non annoia mai...85 |
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3
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Se escludiamo Mare che mi ha convinto poco il resto della discografia è su livelli altissimi. Questo l'ho adorato fin da subito, uno dei migliori dischi estremi del 2015. Altro giro altro centro pieno...almeno 85 per dirla in numeri. |
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2
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Semplicemente magnifico, uno dei dischi Black Metal più belli del 2015. Avrei dato anche qualche punto in più, ma le parole della recensione rendono comunque giustizia al valore del disco e della band. Non sono d'accordo però sul fatto che "Skavank" sia l'episodio meno riuscito del platter: tutti pezzi da novanta secondo me, intendiamoci, ma dovessi sceglierne (con non poca difficoltà) un paio che spiccano per ferocia e composizione per me sarebbero proprio "Skavank" e la trascinante "Pole In The Ground" con la bellissima coda. Bellissime anche le tracce in cui giocano a fare cose nuove come "Daimon". Concludo dicendo che, a mio avviso, considerazioni storiche e lecite a parte, gli ultimi due lavori della band sono nel complesso proprio i più belli della discografia. Ed è una cosa che, dopo venti e passa anni, si può dire veramente di poche band. Ah, non sono molto d'accordo nemmeno sul discorso produzione; a voler essere pignoli, quest'ultima non solo è curatissima nel minimo dettaglio -ce ne si rende conto ad ascolto molto approfondito però- ma anche incredibilmente personale, dinamica e performante nel raggiungimento dell'obiettivo (che è quel che conta), grazie alla valorizzazione incredibile delle alte frequenze che rendono il suono generale del disco più duro e sanguigno (ma moderno ed efficace) come forse non mai nella storia della band. Chapeau, davvero. |
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1
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Non sbagliano un colpo. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Gloria Ablaze 2. Profanum 3. Icons 4. Skavank 5. Daimon 6. Pole in the Ground 7. Tornekratt
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Line Up
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Dolk (Voce) Ole (Chitarra, Tastiera) Jon (Basso) Ask Ty (Batteria)
Musicisti Ospiti Geir Torgersen (Voce, Didgeridoo)
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