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Kampfar - Til Klovers Takt
20/01/2023
( 1660 letture )
A distanza di tre anni dall’ultimo e apprezzatissimo Ophidians Manifest ritornano a farsi vivi i norvegesi Kampfar, colonne portanti della scena black metal norvegese anni ’90, ma che hanno guadagnato sempre più successo in anni decisamente più recenti, grazie ad una proposta sempre più raffinata che contemporaneamente riesce ad essere epica e complessa senza tradire mai le proprie origini. In fin dei conti è da Mare – il quinto album della band, uscito nel 2011 – che i norvegesi non stanno sbagliando una pubblicazione, rifinendo il proprio sound in maniera sempre più certosina e raggiungendo apici di puro lirismo nero. Il nono disco del quartetto capitanato dal frontman Dolk in realtà, pur proseguendo sul discorso stilistico degli ultimi lavori in studio, pare voler riavvicinarsi – perlomeno nelle intenzioni – ad un suono più primitivo ed istintivo, dove i sintetizzatori rimangono perlopiù sullo sfondo e svettano invece le chitarre dell’ultimo arrivato Ole Hartvigsen (ormai in formazione dal 2011). Til Klovers Takt – espressione traducibile pressappoco con “al ritmo del trifoglio” – è composto da soli sei brani e ciò che storcere il naso è che ben cinque (!) di questi sono stati svelati prima della pubblicazione dell’album: l’etichetta Indie Recordings ha di fatto anticipato il disco con cinque singoli, una scelta che rimane piuttosto inspiegabile per una realtà relativamente underground come i Kampfar; sia come sia solo l’ultimo brano in scaletta è rimasto inedito fino all’uscita dell’opera completa, lasciando i fan senza particolare acquolina in bocca. Fortunatamente l’album non è una semplice raccolta di singoli ed anzi, dopo il primo ascolto si può concludere dicendo che Til Klovers Takt potrebbe essere la conclusione di un percorso iniziato nel lontano 1994, dal momento che nei suoi quarantaquattro minuti la band cerca di tratteggiare un ritratto di ormai trent’anni di carriera tramite una ricerca sonora che si lega tanto al passato quanto al più recente presente.

Tutti gli episodi in scaletta hanno durate sostenute, ma non si percepisce quasi mai un’eccessiva pesantezza data da questo fattore; i quattro musicisti sono maestri nel gestire le atmosfere di ogni brano diversificandole anche più volte all’interno dello stesso e così facendo riescono a rendere l’ascolto sempre intrigante. Eppure la compattezza di Til Klovers Takt si avverte molto di più rispetto a un lavoro come il precedente o Profan (2015), quest’ultimo ritenuto il capolavoro della fase più recente del gruppo. Quello che si vuole intendere è che attraverso i diversi momenti del disco si percepisce un legame sonoro molto più omogeneo rispetto alle uscite più recenti, ma allo stesso tempo si possono facilmente distinguere i brani che vogliono legarsi al passato e quelli che invece guardano più apertamente al presente. Uno dei migliori compromessi tra le due visioni dei norvegesi si può ravvisare in Rekviem, senza dubbio la canzone più riuscita del disco: l’avvio è violentissimo e assolutamente old-school, con l’aggiunta di cori lugubri che vanno ad aggiungere quell’elemento epico tipico degli ultimi lavori del gruppo, ma dopo circa tre minuti si aprono spiragli maggiormente melodici e il ritmo progressivamente si allenta per lasciare spazio ad una sezione cadenzata con un lead affidato ai synth; impossibile non tornare con la mente al miglior symphonic black metal anni ’90 – per il sottoscritto il paragone immediato è stato quello fatto con i misconosciuti Tartaros – anche se bastano pochi secondi per cambiare ancora una volta direzione e arrivare infine ad una sezione finale al limite dell’heavy classico, con la voce di Dolk che si spinge sugli acuti e i synth che avvolgono gli strumenti elettrici per caricare l’atmosfera di pathos fino alla conclusione. In quasi nove minuti i norvegesi dimostrano come le proprie capacità compositive non vogliano cessare di risultare fruttuose e confezionano un piccolo gioiello che rimane isolato all’interno della scaletta, contornato da episodi per certi versi molto più lineari. Non che questo sia un male chiaramente, ma a confronto con il brano appena descritto pezzi come Urkraft e Flammen fra Nord quasi impallidiscono, pur rimanendo lontani dell’essere definibili momenti poco riusciti: nel primo caso è la dinamica prevalentemente statica e risultare un po’ ridondante, ma è apprezzabile la scelta di far risaltare molto il basso di Jon Bakker fra le trame create dalla chitarra, mentre nel secondo siamo di fronte a ritmiche lievemente più distese e un approccio vocale inizialmente salmodiante, che si trasforma poi in uno screaming esasperato poggiato su riff che nuovamente strizzano l’occhio al black metal dei bei tempi che furono. Dunque assolutamente non brutti brani, ma con molti meno guizzi compositivi. Per ritrovare strutture più complesse bisogna tornare al pezzo introduttivo Lausdans Under Stjernene, che apre nel miglior modo possibile l’album grazie ad una sapiente alternanza di furia e calma; è proprio quando le due componenti si amalgamano che i Kampfar riescono a dare il meglio di se stessi e l’intermezzo folk che arriva intorno al quinto minuto è piuttosto esplicativo da questo punto di vista. Si potrebbero azzardare paragoni con gli Ulver di Bergtatt, ma la verità è che questo tipo di sound è connaturato all’essenza stessa del black metal norvegese e il quartetto di Fredrikstad ce l’ha nel sangue fin dalla nascita. Rimangono due brani ancora da sviscerare e sono quelli dove emerge invece quella vena viking metal che era propria di un disco come Djevelmakt (2014), ma che non è mai stata sopita negli anni: Fandens Trall è un altro momento lineare e cadenzato, che viene reso davvero interessante dalla vocalità di Dolk, capace di passare da vocalizzi profondissimi e growl e scream senza perdere mai un grammo di intensità, ma è la finale – e inedita – Dødens Aperitiff a suggellare un’ottima chiusura per il disco; in questo caso torniamo ad una struttura diversificata, ritualistica per la maggior parte del tempo e di conseguenza particolarmente atmosferica: la chitarra lavora in maniera raffinata con alcuni ottimi arpeggi e nella seconda parte tornano a farsi sentire i synth, per un finale battagliero che mette in risalto le melodie vocali e strumentali. Una chiusura che pare volere aprire uno spiraglio di speranza e di luce dopo un tortuoso percorso oscuro e irto di difficoltà. Significativo poi che il brano si chiuda proprio con l’urlo disperato di Dolk che rimane solitario e senza accompagnamento musicale.

Til Klovers Takt come detto in apertura si può definire l’ennesimo ottimo album dei Kampfar, ma nel suo voler riassumere trent’anni di musica estrema forse perde leggermente il focus in almeno un paio di momenti, finendo per presentare tre brani davvero interessanti e ottimamente confezionati e altri tre semplicemente meno stimolanti. Potrebbe benissimo darsi che gli aficionados della prima ora possano ribaltare questa constatazione, ma è indubbio che la differenza tra le composizioni più strutturate e quelle più dirette si percepisce e, dopo un po’ di ascolti, potrebbe quasi infastidire. D’altra parte può darsi che un intero album composto da brani dal piglio quasi “prog” non sia un qualcosa che i norvegesi ricercano, perciò non possiamo azzardare valutazioni da questo punto di vista. Rimane il fatto che il quartetto ha pubblicato un disco che verrà certamente apprezzato dalla maggior parte dei fan, ma rispetto anche solo ai due album precedenti qui siamo un gradino sotto sul livello qualitativo complessivo; anche la produzione non aiuta troppo da questo punto di vista, con un approccio a cavallo tra immediatezza e modernità che si pone esattamente nel mezzo fra Profan – che suonava in maniera estremamente grezza – e Ophidians Manifest – che al contrario era estremamente “laccato” – ma che infine rimane piuttosto anonimo. Nella presentazione che la band ha allegato al disco si afferma come i norvegesi siano una band nel fiore degli anni e ciò non si può negare, infatti sono proprio le indubbie qualità compositive che mantengono il quartetto ai vertici della scena black norvegese, seppur il genere stesso stia andando incontro ad evoluzioni sempre più marcate. C’è un particolare che però pone questo disco sopra a tutti quelli fin qui menzionati ed è la copertina: l’artwork di Til Klovers Takt è semplicemente stupendo e si piazza tranquillamente sul podio delle migliori copertine della band e non solo, con le sue atmosfere à la Midsommar particolarmente in linea con il mood dell’album. Quindi, concludendo, promuoviamo a pieni voti la nona prova in studio dei Kampfar, ma lo facciamo senza alcun sussulto o coinvolgimento emotivo particolare, provando un pizzico di rammarico e sperando in un prossimo album che oltre a risultare solido musicalmente parlando riesca a coinvolgere maggiormente anche sotto altri aspetti.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
74.45 su 11 voti [ VOTA]
Andrea
Martedì 24 Gennaio 2023, 14.33.00
4
Voto basso, per me 90
lisablack
Domenica 22 Gennaio 2023, 12.59.08
3
Eh si mi hai anticipato😂😂album bellissimo, io sono di parte, dei Kampfar è tutto oro colato, una garanzia. 85
Cristiano Elros
Sabato 21 Gennaio 2023, 0.12.00
2
Per me bellissimo ed è cresciuto parecchio con gli ascolti, tanto che non sono riuscito a smettere di ascoltarlo per un bel periodo. Più compatto rispetto al precedente, ma forse anche più articolato. Si respira la solita atmosfera epico-drammatica degli ultimi anni, mista a parti decisamente più black, come nella più selvaggia \"Flammen fra Nord\". Non concordo su \"Urkraft\" però, secondo me è la canzone migliore del disco (forse insieme a \"Lausdans Under Stjernene\") e ormai una delle mie preferite della band in assoluto. Ci starebbe da dire qualcosa su ognuna delle canzoni in realtà, ma mi limito a dire che quella un po\' inferiore secondo me è \"Fandens Trall\". Poi i climax finali della mini-suite \"Rekviem\" e di \"Dødens Aperitiff\" sono da brividi. Insomma, sono davvero soddisfatto, e dopo averli visti dal vivo mi piacciono ancora di più!
Jan Hus
Venerdì 20 Gennaio 2023, 23.44.54
1
Non l’ho ancora sentito ma scrivo per primo solo per il gusto di anticipare il commento di lisablack.
INFORMAZIONI
2022
Indie Recordings
Black
Tracklist
1. Lausdans Under Stjernene
2. Urkraft
3. Fandens Trall
4. Flammen fra Nord
5. Rekviem
6. Dødens Aperitiff
Line Up
Per Joar Spydevold “Dolk” (Voce)
Ole Hartvigsen (Chitarra)
Jon Bakker (Basso)
Ask Ty Ulvhedin Bergli Arctander (Batteria)
 
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