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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Kampfar - Ophidians Manifest
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29/05/2019
( 3151 letture )
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Incredibile ma vero: il più recente lavoro dei Kampfar è finalmente tra le nostre mani, dopo una lunga attesa. Per motivi di salute intercorsi durante l’estate del 2017, la band si era difatti rassegnata a non aggiungere più nulla alla loro gloriosa produzione -forgiata nell’immortale fuoco nero del black norvegese- a meno di sommovimenti radicali. I membri della formazione, dunque, sono rimasti fedeli al proposito di non mantenere i contatti -visivi o virtuali che fossero- per un anno, al fine di cauterizzare le ferite ancora aperte nella carne e nello spirito. Ciò si evince in particolar modo dalle parole del frontman Dolk, accompagnanti il materiale promozionale:
“era il tempo di guarire, e non di causare ulteriori danni, per valutare se singolarmente si fosse in grado di tornare nuovamente in forze”.
Fortunatamente, tanto per noi fan quanto per la band, nonostante tale anno pregno di dolore e frustrazione (il chitarrista Ole avrebbe perso il padre nel corso del processo di stesura dei brani) a fine 2018 i Kampfar furono in grado di portare a termine il loro ultimo lavoro in studio. Esso è modellato dal fruscio della foresta e dal paesaggio montano di Hemsedal, scolpito nei silenzi e nella dolorosa presenza di ciò che è assente, inaccessibile. Siffatti temi trovano la propria iconica rappresentazione nell’enigmatico artwork cui si accompagna Ophidians Manifest: il volto della mitologica Medusa, con la sua capigliatura abitata da agghiaccianti serpi. Ed alla stessa maniera in cui le lingue biforcute di questi rettili sono metaforicamente in grado di ottenere da ogni verità due assunzioni ben più profonde, ogni brano reca in sé tutto ciò che era contenuto nei brani precedenti, un vero e proprio tesseract multidimensionale in cui si fondono l’ispirazione e le più abissali emozioni che i Kampfar hanno deciso di infondere alla propria creazione. Dischiudiamo dunque a questo punto il vaso di Pandora che i norvegesi ci iniziando dalla opener, Syndefall: uno sfondo di urla confuse è fatto seguire da un riffing incisivo ma, al contempo, armonizzato con trame di chitarre delineanti melodie ammalianti. Il refrain, vergato dal consueto groove dell’ugola di Dolk, riesce ad essere trascinante e quasi cantabile nella sua semplicità. Possiamo affermare di trovarci dinanzi un brano ricalcante gli stilemi messi in opera nel precedente Profan, ma al contempo avvincente e scorrevole. Ophidian, caratterizzata da una sezione ritmica ancor più martellante, implode in un bridge in mid tempo assolutamente godibile ed affascinante. Cori operatici, bisbigli e percussioni concludono la traccia, appagando appieno le aspettative dell’ascoltatore abituale. È tuttavia la volta di Dominians, nella quale spiccano, in maniera particolare le vocals femminili di Agnete Kjølsrud. Non si tratta tuttavia di eterei gorgheggi o di vellutati abbellimenti, bensì di graffianti incursioni al vetriolo selvagge ed implacabili. Se le partiture che abbiano fino ad adesso osservato risultavano piuttosto semplici e dirette Natt, come in un gioco di scatole cinesi, ne sublima gli spigoli più taglienti in una composizione maggiormente raffinata, nella quale trovano posto tanto linee cordofone maggiormente articolate ed intriganti quanto un notevole intermezzo pianistico. Soluzioni simili permeano anche Eremitt, nella quale torna persino a fiorire in tutto il suo splendore una certa verve epicheggiante che i toni piuttosto drammatici hanno fatto spesso passare in secondo piano. Una linea di basso vibrante e decisa introduce Skamløs! , avviluppantesi repentinamente in metriche estremamente veloci, impreziosite da un riffing spiraleggiante ipnotico e corrive dissonanze. Il circolo virtuoso è spezzato da subitanei cambi di tempo, culminanti in una conclusione solenne e suggestiva, nella quale si mostra interamente l’estro compositivo dei Nostri: archi, tastiere e virtuosismi delle sei corde fanno da cornice a quello che è probabilmente il brano più ispirato dell’album. Il sipario di Ophidians Manifest si appresta a calare con la lunga Det Sorte; una breve introduzione acustica mostra immediatamente il fianco ad un crescendo dominato dall’impressionante vividezza delle vocals di Dolk, declamanti un testo in cui morte, dolore e colpa giacciono l’uno accanto all’altro. Gli otto minuti lungo i quali si dipana tale atto conclusivo scorrono senza noia, tra delicate sezioni atmosferiche, repentine sfuriate, reticoli di cori commoventi ed un guitarwork impeccabile. Inutile rimarcare, inoltre, come il lavoro goda globalmente di una produzione assolutamente all'altezza -né eccessivamente netta né confusa- essendo tale tratto la norma della discografia dei Nostri, in grado di bilanciare professionismo e passione, ispirazione genuina e stilemi studiati e collaudati. Sebbene sia di più complessa assimilazione, e la sua bellezza conquisti l’ascoltatore soltanto dopo una manciata di ascolti, Ophidian’s Manifest è indubbiamente il degno successore dell’acclamato Profan. La ricchezza contenutistica, il persistente personalissimo Kampfar-sound nonché l’impegno profuso in fase di scrittura, lo rendono irrinunciabile, senza dubbio alcuno.
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17
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@Doomale rimedierò sicuramente! |
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16
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Grazie mille per i complimenti ragazzi, mi fate commuovere |
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15
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Stupenda recensione, un manuale di come dovrebbero essere scritte. |
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14
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Sono un po' perplesso. Ho notato che il voto dei lettori, in riferimento alle ultime quattro recensioni, non supera il 30!! C'è qualche troll di troppo in giro? Il dubbio mi sorge spontaneo..... |
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13
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Costanza è uno dei migliori recensori (mi si perdoni il maschile) di black e, forse, tout court. E nel frattempo è uscito Ghost Condensate dei Mesarthim, appena preso e goduto (la tocco piano). |
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12
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Room 101: Ti ringrazio ma considerato che già scrivo per due 'zine mi verrebbe decisamente in salita.
Rinnovo il ringraziamento per il tuo pensiero.
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11
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D'accordo con Doom, pur non raggiungendo Profan e Djevelmakt il disco conferma che dei gruppi storici norvegesi loro fanno parte di quelli che si sono mantenuti meglio. Non rischiano ma mantengono una qualità artistica sempre medio-alta...80. PS. il voto lettori poteva essere una cosa utile ma arrivati a questo punto tanto vale toglierlo, lasciarlo per far divertire i troll ha poco senso, anche se togliere il giocattolo ai bambini è sempre una cosa brutta. |
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10
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@MASQUERADE: Ciao, se ritieni la recensione mediocre significa che sei sicuramente un'ottima penna. Come avrai visto, c'è un bando aperto, ti aspettiamo per una prova, così avrai la possibilità di mostrare al mondo le tue doti! |
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9
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ElManjo, recupera tutta la loro discografia dammi retta! Poi se devo proprio farti dei titoli oltre al grandioso primo detto da Te, vai pure di Mellom, Kvass, Profan e Djevelmakt. Ma non hanno mai toppato e sono sempre in formissima. Oltretutto dal vivo lasciano terra bruciata e Dolk è un trascinatore come pochi. Giusto, @Costa?  |
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8
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Recensione mediocre per un disco superlativo. |
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7
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Li ho conosciuti con questo album e ho apprezzato da morire il primo, devo sentire tutti gli altri. Questo mi piace da matti, finora tra le migliori uscite dell'anno per quanto mi riguarda, non solo in ambito black |
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6
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Commento 3 semplicemente fantastico .. |
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5
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Corretto... Grazie Drake!! |
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4
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Grande commento qui sotto!! ) avete sbagliato a scrivere sotto lineup e tracklist. |
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2
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Non mi piace la nuova direzione che hanno intrapreso. AMO I VECCHI kampfar |
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1
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Un pelo sotto sia a Profan che a Djevelmakt...Ma pur sempre un album molto valido. Inossidabili Kampfar |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Syndefall 2. Ophidian 3. Dominans 4. Natt 5. Eremitt 6. Skamløs! 7. Det sorte
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Line Up
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Dolk (Voce, Batteria) Ole Hartvigsen (Chitarra) Jon Bakker (Basso) Ask (Batteria, Voce)
Musicisti Ospiti: Agnete Kjølsrud (Voce) Marianne Maria Moen (Voce)
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