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Helmet - Dead to the World
30/04/2017
( 1544 letture )
Che gli Helmet siano stati una delle band cardine per lo sviluppo e la crescita del movimento alternative è fuor di dubbio. Del resto capolavori al pari di Meantime e Betty, il loro apice compositivo, sono merce rara, frutto del talento innato di chi è stato baciato dalla dea bendata. L’assoluto protagonista di queste belle pagine di rock è Page Hamilton, demiurgo e frontman delle numerose formazioni che hanno risposto al monicker di “Helmet” negli ultimi 28 anni, nonché unico membro superstite allo scioglimento del 1998. Purtroppo, è legittimo supporre che proprio questi repentini cambi di line up abbiano in qualche modo minato l’efficacia della proposta musicale, che dal 2004, anno del comeback, non si è più dimostrata all’altezza di quanto fatto in passato. Per certi versi era giusto aspettarsi una svolta a livello di sonorità, cosa di per sé positiva se dettata da una sincera ispirazione. Difatti un album come Monochrome non può essere considerato un vero fallimento, sebbene parzialmente scevro dell’impeto sincopato tipico degli esordi. Ma gli anni passano e, con loro, diversi musicisti si danno il cambio al fianco di Hamilton senza lasciare il segno. Nel 2016 viene quindi pubblicato Dead to the World, ottava ed ultima fatica di una band che ormai è solo l’ombra di se stessa.

Bastano pochi ascolti per accorgersi che si tratta del capitolo più deludente della loro discografia. Sembra quasi che negli ultimi sei anni i newyorkesi abbiano perso una buona dose di personalità, non tanto relativamente al sound, a tratti (pochi) ancora riconducibile ai canoni abituali, quanto per l’inspiegabile aura di indolenza che aleggia attorno al disco. Sebbene i suoi odierni compagni non siano dotati come quelli di un tempo, è impensabile che un’icona del calibro di Hamilton abbia tutt’a un tratto smarrito le qualità che l’hanno resa tale. Al tempo stesso parrebbe una mossa azzardata proseguire lungo il sentiero tracciato dal precedente Seeing Eye Dog, che non ha entusiasmato né la critica né parecchi supporters. Eppure viene nuovamente servita la miscela di post-grunge e hard rock che ha gradualmente preso il sopravvento sul binomio vincente di hardcore e alternative metal, loro marchio di fabbrica. Il tutto condito da una prova sotto tono da parte dei musicisti, nessuno escluso. Case e Stevenson, rispettivamente al basso e alla batteria, passano in sordina, limitandosi a svolgere il compito senza distinguersi per creatività. Beeman, alla sei corde, non si dimostra mai essenziale, mentre Hamilton si macchia di una prova mediocre, considerati i suoi standard, soprattutto per quanto riguarda il songwriting povero di spunti. Dopo tutto, canzoni come Green Shirt, evitabile cover di Elvis Costello, e Life or Death (Slow), reprise a tempi rallentati dell’omonimo brano presente nella medesima tracklist, lasciano decisamente a desiderare. Bad News è un altro buco nell’acqua. I suoni degli strumenti si fondono in un arrangiamento soporifero, mentre la voce del frontman, di solito tanto dura e fredda, diventa persino fastidiosa nel suo pallore. Red Scare e Die Alone sembrano inserite nel lotto col solo obiettivo di concedere un momento di sollievo agli amanti della vecchia scuola. Le aspre vocals di Hamilton s’intrecciano con i riff affilati e la batteria ritmatissima che li hanno resi famosi. Purtroppo il risultato finale non è comunque eccelso, sia perché gli stessi riff sembrano già sentiti, sia perché il genere di mixaggio applicato attenua la verve dei brani. Look Alive, Expect the World e Dead to the World si muovono invece sugli orizzonti più accessibili propri delle ultime uscite. La titletrack si rivela comunquel un brano piuttosto interessante, le cui linee vocali e i riff pesanti e distorti potrebbero addirittura ricordare le atmosfere tipiche dei grandi Alice In Chains.

Quando una band di alto livello pubblica un disco dopo sei anni di silenzio le aspettative sono sempre esagerate. Purtroppo non dev’essere facile sopportare una tale pressione, ma è altrettanto vero che nell’Olimpo del Rock non ci si arriva per caso. Con questo album, gli Helmet si sono resi protagonisti di un passaggio a vuoto per la seconda volta di fila. Dead to the World è un lavoro approssimativo, davvero difficile da apprezzare per la sua indecifrabilità. I testi non trattano di argomenti inediti e non lo fanno nemmeno con grande originalità. Anche la produzione è rivedile: in alcuni brani sembra fin troppo elaborata, causando una perdita in fatto di aggressività, come accade per Life Or Death e I ♥ My Guru, invece in altri casi si riconosce un sound ovattato che mal si sposa con un disco di questo genere, probabilmente a causa di una scelta infelice durante le fasi di mixaggio. In sintesi tanta delusione e una fulgida speranza che tornino al più presto ad esprimersi come compete a quella magnifica band di cui portano il nome.



VOTO RECENSORE
56
VOTO LETTORI
45 su 3 voti [ VOTA]
InvictuSteele
Mercoledì 21 Agosto 2019, 17.02.39
3
Io stravedo per gli Helmet, secondo me non hanno mai toppato in carriera, e questo qui mi sembra un buon album. Non concordo con le stroncature. L'unica pecca è la voce finita di Page. Voto 70
Nu Metal Head
Sabato 1 Luglio 2017, 23.40.29
2
mi erano bastate le anteprime per capire che fosse un album scialbo... nemmeno l'ombra della band che furono, a tratti fastidiosi ed irritanti... spero ritornino al più presto ai loro fasti e smettano di suonare come una cover band dei foo fighters.
Undercover
Venerdì 30 Giugno 2017, 22.19.27
1
Sarei andato giù anche più pesante, un album brutto, privo di nervo ed essenzialmente noioso, "Seeing Eye Dog" era un mezzo piattello, ma questo decisamente lo batte.
INFORMAZIONI
2016
earMUSIC
Alternative Metal
Tracklist
1. Life or Death
2. I ♥ My Guru
3. Bad News
4. Red Scare
5. Dead to the World
6. Green Shirt
7. Expect the World
8. Die Alone
9. Drunk in the Afternoon
10. Look Alive
11. Life or Death (Slow)
Line Up
Page Hamilton (Voce, Chitarra)
Dan Beeman (Chitarra)
Dave Case (Basso)
Kyle Stevenson (Batteria)
 
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