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27/04/25
THE LUMINEERS
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Backyard Babies - Diesel and Power
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25/12/2021
( 1026 letture )
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54 minuti e 21 secondi di sleaze, punk, street e garage, ecco il debutto osannato dai fan degli svedesi Backyard Babies. La band si forma nel 1987 a Nässjö, con una formazione diversa rispetto a quella che troviamo qui, dilettandosi in show nella zona d’appartenenza con il nome di Tyrant. Il salto di qualità avviene con l’ingresso del frontman Nicke Borg che sostituisce il precedente cantante, Tobbe, mentre il chitarrista Johan Blomqvist passa al quattrocorde. Così nel 1989, la band cambia nome in quello attuale, registrando altri due demo, con tanto di un tour nazionale in madrepatria. Un EP autoprodotto, intitolato Something to Swallow, li conduce a firmare, nel ’93, il primo contratto discografico con l'etichetta svedese Megarock Records, che l’anno seguente darà alle stampe questo nitroglicerinico esordio in CD.
Diesel & Power viene gettato sul mercato e ottiene subito curiosità e consensi da parte degli appassionati dello sleaze, grazie a un coacervo musicale altamente incendiario, composto da varie influenze. Un sound grezzo, devastante, diretto e distruttivo che colpisce sin dal primo attacco della batteria. Un sound ruvidamente elettrificato che ripercorre sentieri malati, tracciati dai primi, selvaggi, Guns N’ Roses, passando attraverso gli stralunati Hanoi Rocks più scatenati, con ampie, lerce, dosi di vizioso street rock procreato dal marciume metropolitano. Copertina quasi casuale, poi fuoco alle polveri. Smell the Magic parte da atmosfere blues, slide guitar, una sorta di intro che prende fuoco sul finale, ma è Bad to the Bone a lanciare una molotov nelle casse: un pesantissimo riff crivellante e si parte per un viaggio ipnotico: la voce è sgraziata, rauca, il chorus è penetrante, il solo guitar è peccaminoso, bella scudisciata sulle natiche di chi pensa o pensava che il rock fosse morto e defunto. Strange Kind of Attitude è garage song che solletica lo sporco sugli strumenti e va dritto all’obiettivo di scuotere l’audience, un mix tra new rock e il pescare a piene mani nel passato, un binomio azzeccato e apprezzato, con un piglio bastardo e indomabile dove spuntano chiare influenze di Axl Rose and company. La title track parte sgommando, nel vero senso del termine, sezione ritmica in evidenza, riff urticante che sorregge un cantato abbagliato dagli alieni, supportato da seconde e terze voci, la stesura è al vetriolo unito a viziosità pura, pezzo da club oscuro, stage scalcinato, qualche figuro strafatto e diffusa puzza di piscio e birra rancida: perfetto nella sua decadenza totale. Love sgorga da una chitarra acustica, sembra una ballad a tutti gli effetti, poi deflagra in un up tempo maleducato e sprezzante, come il singing di Nicke Borg che da ampiezza allo scheletrato strumentale, un ritornello brusco come le corde vocali, figlie di milioni di sigarette, di chi intona le melodie; mi riporta alla mente il modo di comporre dei primissimi Faster Pussycat. Wild Dog si fionda direttamente nella L.A. street di qualche anno prima, azzannando l’asfalto e chi ci cammina sopra: voce filtrata inizialmente, chitarre tirate, voce incazzata e ritornello corale senza spazio per fronzoli o virtuosismi; grande pezzo con un assolo delle chitarre minimale e resa da elettroshock. Fly Like a Little... e la chitarra distorta ansima in stile punk, poi esce fuori una traccia nodosa ma melodica e gli ululati del singer feriscono gli ampli: tutto molto inno da bassifondi dimenticati da ogni divinità, mentre il disagio e la voglia di affermarsi percorrono le vene della stesura, e il solismo della sei corde sottolinea il concetto. Electric Suzy è il primo singolo che la band ha anche pubblicato con una cover di Taxi Driver degli Hanoi Rocks sul lato B: in questa traccia si fondono tutte le peculiarità del quartetto nordico, cattiveria deragliante, linee serrate, sporcizia sonora e fontanelle melodiche che vanno dritte al target, ennesimo prezioso spartito da custodire gelosamente. Kickin' Up Dust si rivela inizialmente ballad acustica acre, poi parte un treno che travolge ogni resistenza, una song rotonda nella sua immensa ispidezza: le chitarre rastrellano tutto, le melodie corali acconciano un ritornello potente che sfocia in un guitar solo rock and roll che più non si potrebbe. Toni noise spiccano in una miscela grattante e pungente ma tremendamente appassionante. Should I Be Damned sfodera un riff coinvolgente, la voce del frontman pare sortire fuori da un essere maledetto, coprendo le partiture con personalità e grandissima attitudine, Fill Up This Bad Machine è punk senza ritegno con una citazione in salsa Ramones, Heaven in Hell è la ballata del disco, atmosfere azzeccate e convincenti ma non attendetevi sdolcinatezze, questi ragazzi nordici non le vogliono nemmeno sentir nominare. Il sigillo al platter giunge da Shame, pezzo più lungo dell’intero lavoro, quasi 8 minuti di hard rock acido e sostenuto, molto alla Guns, con chitarre che assillano l’ascoltatore e lo sbattono su un letto da fachiro imbottito di chiodi, bello il dialogo centrale tra asce e basso, i ritmi si abbassano e diventano intimi con percussioni e voce pronti ad esplodere: una suite in salsa sleaze, poderosa, tenace ed eccitante. Nel 2006 l’album viene rimasterizzato dalla nuova etichetta del gruppo, la Billion Dollar Babies con l’aggiunta di una bonus track intitolata Lies.
Dopo essere stati in tournée con ex membri degli Hanoi Rocks confluiti nei Demolition 23 e aver intrapreso un breve tour da headliner alla fine del 1995, presentando in anteprima nuove canzoni, il quartetto nordico si ferma, visto che il chitarrista Dregen forma la sua band alternativa, ovvero i pregevoli Hellacopters. Dregen appare in due album con questa nuova realtà, poi la band madre riprenderà il cammino nel ’98, ritrovandosi di nuovo in studio per le registrazioni del secondo album Total 13, grandissimo capitolo della storia dei Backyard Babies. Diesel And Power rimane un bellissimo esordio, duro, selvatico, granuloso, efficace e fottutamente rock n’roll in tutte le sue varie sfaccettature. Un disco da ripescare senza pensarci nemmeno un nanosecondo, vale la pena ascoltarlo ancora oggi con il volume a 100, caratterizzato da un suono crudo, sporco e un’attitudine spettacolare e convincente.
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4
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Esordio bomba-atomica. Ascoltato un miliardo di volte. |
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3
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Infuocatissimo esordio: Strange Kind of Attitude e Fill Up This Bad Machine hanno già in sé in geni del capolavoro Total 13. Ma è tutto un inseguirsi di (hard) rock, sudore, blues, punk. Per me di quella infornata scandinava sono i migliori (o quanto meno se la giocano con gli Hellacopters). 80 |
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2
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Grandissimi backyard babies , disco veramente bello come i successivi, voto 90 |
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1
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1994, impera il grunge, la Los Angeles patinata è lontana, la scena glam/street/sleaze finita, i Crue tirano fuori il loro miglior disco ma ben lontano dal sound tipico da loro proposto, gli altri gruppi annaspano creando dischi grunge veramente pessimi; sembra tutto perso, ma dalla Scandinavia arriva un segnale, una speranza: un gruppo tutto nuovo tira fuori un debutto sensazionale (per l'epoca), uno street come da anni non lo si sentiva! Le chitarre di Dregen e Nicke urlano come a fine anni ottanta, le canzoni ci sono, la voce c'è, mancherà il successo, ma la miccia è riaccesa! Se oggi esiste ancora una certa scena, anche se di poco successo, lo dobbiamo tanto anche ai Babies ed a questo primo, dinamitardo, album. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Smell the Magic 2. Bad to the Bone 3. Strange Kind of Attitude 4. Diesel and Power 5. Love 6. Wild Dog 7. Fly Like a Little… 8. Electric Suzy 9. Kickin' Up Dust 10. Should I Be Damned 11. Fill Up This Bad Machine 12. Heaven in Hell 13. Shame
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Line Up
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Nicke Borg (Voce, Chitarra) Dregen (Chitarra, Cori) Johan Blomquist (Basso) Peder Carlsson (Batteria)
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