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Nebula - Apollo
02/07/2022
( 1568 letture )
Scese dalle vette d’Olimpo, irato nel cuore,
portando sulle spalle l’arco e la faretra ben chiusa.
Risuonavano i dardi sulle spalle del dio adirato
al suo passo, e veniva avanti come la notte.
Si fermò lontano dalle navi e lanciò una freccia:
un tintinnio terribile venne dall’arco d’argento.
Prima colpì i muli ed i cani veloci,
poi scagliò contro gli uomini le frecce aguzze
e sempre bruciavano fittissimi roghi di morti. (Iliade, Libro I)


Apollo, Dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell'intelletto, del tiro con l'arco e della profezia. Nonché colui che traina il carro del sole, scortando la stella ardente attraverso la volta celeste. Per noi mortali moderni, Apollo però è anche il nome dato al programma della NASA che ha portato l’Uomo sulla Luna. Cosa di meglio per un gruppo stoner, quindi? Infatti, i due temi sono intrecciati nella psichedelica copertina di Apollo, quarto album dei Nebula, nella quale un enorme e incombente sole si staglia oltre una luna altrettanto incombente, rendendo incandescenti le rovine di un tempio, in chissà quale sperduto pianeta della Galassia. Nati da una scissione in casa Fu Manchu, all’indomani del grandioso In Search of…, i Nebula debuttarono nel 1999 con quello che è ritenuto il loro album più rappresentativo, To the Center, pubblicando tre album con una cadenza perfetta, ogni due anni. Poi il bassista originale, Mark Abshire, che aveva raggiunto i due transfughi Eddie Glass e Ruben Romano, decise di lasciare la band all’indomani della pubblicazione di Atomic Ritual, avviando una instabilità della formazione che di fatto si risolverà solo con il primo split. Dopo qualche aggiustamento, nella band entrerà Tom Davies e, con lui, sarà appunto registrato Apollo. Probabilmente, ai Nebula non è mai stato tributato il giusto valore, lasciando spesso che si confondessero nel calderone di band dedite in senso lato al retro rock, ma si tratta evidentemente di un grossolano errore: nel genere, tolti i nomi fondamentali, pochi sono alla loro altezza.

La formula della band è tutto sommato piuttosto facile da circoscrivere: stoner con chiare influenze psichedeliche sessanta/settantiane, ampie derive garage rock e blues, con assoli a profusione e una sezione ritmica piuttosto arrembante, seppure ancorata a uno stile classico. Questo è quello che si trova nei loro dischi e Apollo non fa eccezione. Eppure, è senz’altro uno dei loro album migliori, sotto tutti i punti di vista. Quattordici tracce per poco meno di trentanove minuti di musica ci dicono già qualcosa di questo disco: le tracce sono tutte piuttosto brevi e intense, piccoli e brucianti episodi dal gran tiro, nei quali la chitarra di Glass fa letteralmente meraviglie, tra colate solistiche, riff assassini e sonorità psichedeliche che fanno di continuo capolino. A tanta concretezza fa da contraltare una evidente ispirazione compositiva, per la quale ogni brano possiede qualcosa che lo caratterizza e identifica, pur all’interno di un flusso comune. Che l’elemento psichedelico sia fondante ce lo rivela subito Orbit, un breve intro che è poi la sezione di una jam libera tra musicisti in sala prove, con l’approdo immediato a uno dei pezzi forti del disco, Loose Cannon, tirato e carico di energia rock e spezzato sul finale da un rallentamento nuovamente di matrice psichedelica. Ma è solo un tirare appena il fiato, perché le tracce si susseguono senza interruzioni e Forever Fray e Lightbringer sono due missili garage sparati a mille, con la prima che mostra evidenti influenze Monster Magnet e simpatici coretti rock’n’roll e la seconda che richiama proprio i Fu Manchu. Future Days ha una lunga intro con delle simpatiche pecorelle, sui cui belati si adagia una melodia di sitar, suonato da Romano, che lascia poi terreno al nervoso riff del brano, che si apre solo sul refrain, anch’esso molto cantabile, come i precedenti. Un andamento meno lineare, quindi, ma forse proprio per questo perfetto per spezzare il disco e mostrare come la band abbia più frecce al proprio arco, con il finale che riproduce la partenza, al contrario e in dissolvenza, fino al belato conclusivo. In un contesto generale di ottimi brani, tutti divertenti e ben eseguiti, con spunti molteplici e un bel tiro, ognuno può trovare il suo preferito, certo The Alchemist, con quegli obbligati di batteria difficilmente passa inosservata, mentre Controlled è un perfetto incrocio tra rock settantiano e protopunk, con un testo che si piazza in testa senza uscirne. Ma quando sembra che The Eagle Has Landed riesca a prendere la palma di brano migliore, col suo perfetto incrocio tra strofe psychedelic stoner e il refrain rock che ricorda come stile quello di Midnight Mountain dei Cathedral, per poi aprirsi alla più classica delle derive psichedeliche di cui Glass è uno dei Maestri nel genere assieme a Ed Mundell dei Monster Magnet, ecco che Fruit of My Soul ci fa venire più di qualche dubbio. Anche in questo caso, è proprio la costruzione del brano che letteralmente scivola, gli ingredienti perfettamente dosati e la sensazione di sincerità e purezza che tutto emana a vincere. Atmosfere "tarantiniane" con Decadent Garden e la sua commistione di salsa e rock, con l’ennesimo grande assolo di Glass e conclusione che si avvicina, con la spettacolare Opiate Float che ci apre la sua via per le stelle, tra sostanze psicotrope e profondità spaziali che reclamano la nostra anima. Ennesimo gioiello di un gran disco. In uscita, ritroviamo nuovamente Orbit, a chiusura del cerchio.

Come detto, la situazione di instabilità nella band si era ormai aperta e l’arrivo di Tom Davies non riuscì a frenarla. I due partner in crime, Glass e Romano, si trovarono presto ai ferri corti, col secondo che decise di averne abbastanza e di voler inseguire le proprie composizioni lontano dalla band che aveva contribuito a fondare, lasciando al primo il ruolo di leader incontrastato. Ma sorvolando un attimo sulle questioni di formazione e tornando al disco, possiamo dire che Apollo è l’ennesima grande prova dei Nebula, con un trio di musicisti di ottimo livello e un lotto di canzoni che non temono nessuno, seppure senza un capolavoro vero e proprio, che ne avrebbe ulteriormente fatto levitare le quotazioni. E’ un disco che si ascolta tutto d’un fiato, come un blocco unico, ma poi rivela i propri dettagli e peculiarità e non teme in alcun modo il passare del tempo e l’usura da ascolti ripetuti, anzi. Il che ne conferma fuori da ogni dubbio lo status. Assolutamente da riscoprire.



VOTO RECENSORE
82
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2006
Sweet Nothing Records
Stoner
Tracklist
1. Orbit
2. Loose Cannon
3. Fever Fray
4. Lightbringer
5. Future Days
6. Ghost Ride
7. The Alchemist
8. Trapezium Procession
9. Controlled
10. The Eagle Has Landed
11. Fruit of My Soul
12. Decadent Garden
13. Wired
14. Opiate Float
Line Up
Eddie Glass (Voce, Chitarra, Tastiera, Batteria)
Tom Davies (Basso, Cori)
Ruben Romano (Batteria, Voce, Chitarra, Tastiera, Sitar)
 
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