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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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07/10/2023
( 553 letture )
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I mesi che seguirono la pubblicazione del secondo lavoro sulla lunga distanza, Charged, nel 2001, segnarono un momento di transizione in casa Nebula; dopo un estenuante tour mondiale (con date che raggiunsero Australia e Sud America) culminante con la partecipazione della formazione di Los Angeles ad una delle prime edizioni del Roadburn Festival, lo storico bassista Mark Abshire, poco prima dell’inizio delle sessioni di registrazione del terzo album in studio, manifestò l’intenzione di lasciare la formazione americana. A rincarare la dose si interruppe bruscamente la collaborazione con la prestigiosa label Sub Pop Records (seppur mantenendo la distribuzione con Sweet Nothing Records), che li aveva seguiti fin dall’esordio, con la band californiana che si accasò presso Liquor and Poker Records, etichetta indipendente che allora distribuiva sul territorio americano band come Hellacopters e Backyard Babies. I due co-fondatori Eddie Glass e Ruben Romano si trovarono di fronte un percorso a ostacoli proprio nel momento in cui il nome dei Nebula varcava i confini degli Stati Uniti e diventava una realtà di culto anche nel resto del mondo. L’urgenza di ricomporre e ricompattare il power trio prima di incidere il successore di Charged, fece cadere la scelta sullo sconosciuto Simon Moon che collaborò in studio di registrazione e in alcune date dal vivo, seppur mai in pianta stabile; nei mesi a venire seguì infatti un periodo di forte instabilità nella formazione, dove il ruolo di bassista venne ricoperto irregolarmente da diversi musicisti. Il terzo album dei Nebula, dopo i residui dei lunghi mesi in tour, i cambi di lineup e casa discografica, rischiava di nascere così sotto cattivi auspici, ma per fortuna la scelta del produttore, ricaduta sul veterano Chris Goss, rimise saldamente in carreggiata i Nebula in una delicatissima fase della loro carriera. Riunitisi al leggendario Rancho De La Luna nell’estate del 2003, i tre musicisti poterono concentrarsi esclusivamente sulla realizzazione del fatidico terzo album che venne pubblicato il 23 settembre con il titolo di Atomic Ritual. L’influenza discreta ma considerevole di Chris Goss giocò un ruolo chiave negli arrangiamenti e nella struttura delle composizioni che andarono a costituire il nuovo full length; senza stravolgerne il sound e la forza dirompente, il produttore valorizzò ulteriormente il lavoro della chitarra solista di Eddie Glass, andando ad arricchire di sfumature e colori lo stile monolitico della band.
Atomic Ritual è e rimane un album 100% Nebula, ma cela al suo interno piccole significative novità che spostano il baricentro dei brani verso l’hard rock di fine anni Sessanta intarsiato di forti connotazioni psichedeliche. L’incipit, affidato alla title track e a So It Goes, è di natura marcatamente stoner, riallacciandosi alle primissime selvagge produzioni dei Fu Manchu, da cui Eddie Glass e Ruben Romano provengono, complici riff incendiari e ritmiche martellanti al confine con il punk. Ma già con la successiva Carpe Diem si avverte un significativo cambio di direzione: senza voler forzatamente trasformare i Nebula nei Queens of the Stone Age, il trio si avventura in territori più melodici ed ammiccanti al rock da classifica dei Nineties, grazie ad un refrain orecchiabile che si stampa in testa al primo ascolto. Il binomio More e The Beast riportano in auge il rock sporco e venato di blues della Detroit di fine anni Sessanta, inizio Settanta. I richiami a Iggy and the Stooges, Alice Cooper ai MC5 sono più che evidenti, dove riff urgenti ed arrangiamenti essenziali sembrano quasi voler riaffermare il valore di un rock duro primigenio privo di orpelli ed abbellimenti; la voce di Eddie Glass, sguaiata e volutamente sgraziata è l’ideale contrappunto alle partiture furibonde della chitarra. In Out of Your Head, canzone più lisergica e dilatata, ricca di effetti e synth, i nostri omaggiano lo space rock psichedelico degli Hawkwind, influenza rimarcata pure in Paradise Engineer dove arrangiamenti acustici e sognanti aprono le danze, seguiti poi dalla chitarra di Eddie Glass, mai come in questo brano, zavorrata di riverbero ed effetti; un esperimento divergente ed interessante dove l’atmosfera e le suggestioni sensoriali primeggiano sull’impatto. Dopo una scorpacciata di psichedelia cosmica, si torna con i piedi per terra con Electric Synapse, brano di hard rock incendiario e con l’hard blues di Strange Human, sul quale aleggia sornione lo spirito di Jimi Hendrix. Ancora una volta la chitarra di Eddie Glass ha l’occasione dimostrare tutto il suo valore, coprendo l’intero spettro della palette cromatica del genere e facendo dei Nebula una band che va ben oltre la media del rock a loro contemporaneo. Una innata e camaleontica propensione naturale a spaziare, senza soluzione di continuità, da riff devastanti a passaggi solistici degni di un maestro della sei corde, è la testimonianza inequivocabile di quanto il chitarrista californiano sia stato sempre fortemente sottovalutato dalla critica musicale in ambito rock. Il lavoro dietro alle pelli di Ruben Romano è puntuale a fornire i giusti stacchi e cambi di tempo al potere debordante e imprevedibile della chitarra, un lavoro oscuro di supporto e di sacrificio che permette all’estro e all’ispirazione di Eddie Glass di risplendere.
La terza prova sulla lunga distanza dei Nebula si rivela un album più ricco e variegato rispetto ai suoi predecessori e grazie a brani diversificati ed arrangiamenti più articolati, Atomic Ritual riesce ad appagare sia chi cerca un’esperienza travolgente di sano escapismo e sia chi invece vuole essere coinvolto dall’idea di viaggio che alcune composizioni convogliano, non importa se la destinazione finale sia lo spazio cosmico o l’assolato deserto della California. A volte Atomic Ritual mostra la sua natura disunita e schizofrenica, cercando di lanciarsi in più direzioni contemporaneamente e di coprire più basi possibili. La struttura di alcune composizioni, così diverse tra loro, corre infatti il rischio di costituire un piatto troppo ricco e saporito, non fosse per l’incredibile talento dei musicisti coinvolti, in grado di amalgamare e fondere pulsioni e stili contrastanti con apparente naturalezza. Alcune novità introdotte dal produttore Chris Goss rimangono qui solo accennate, per poi essere riprese e sviluppate con maggiore convinzione e consapevolezza nell’album successivo, Apollo. I turbolenti eventi antecedenti alla stesura di Atomic Ritual lasciano parzialmente il segno, senza per fortuna affossare un album che ha momenti esaltanti e punte d’eccellenza; a volte il retaggio dei Fu Manchu è palpabile e fin troppo ingombrante risultando in una stagnante immobilità stilistica, ma quando il trio riesce a tagliare il cordone ombelicale con il passato, allora affiora una band che non ha nulla da invidiare ai suoi illustri contemporanei e che è in grado di conquistare finalmente una posizione di rilievo tra i grandi del genere, tagliando negli anni successivi traguardi sempre più prestigiosi e lasciandosi definitivamente alle spalle una scia di sfiatati concorrenti.
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2
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Gran bella recensione. Le precisazioni biografiche sono fondamentali quando si parla di una band sostanzialmente di nicchia come i Nebula per cercare di spiegare la genesi di un lavoro. A me l\'album piace moltissimo, come tutti quelli da loro pubblicati del resto. |
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1
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Grande album, forse il mio preferito dei Nebula |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Atomic Ritual 2. So It Goes 3. Carpe Diem 4. More 5. The Beast 6. Out of Your Head 7. The Way to Venus 8. Paradise Engineer 9. Electric Synapse 10. Strange Human 11. Fin
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Line Up
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Eddie Glass (Voce, Chitarra) Simon Moon (Basso) Ruben Romano (Batteria)
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