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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Alestorm - Seventh Rum of a Seventh Rum
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08/08/2022
( 1474 letture )
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Appena due anni dopo il precedente Curse of the Crystal Coconut, tornano con il loro settimo sigillo i pirati scozzesi Alestorm, ed il titolo è di quelli davvero altisonanti e che richiamano a capolavori passati che è doveroso omettere di nominare, quanto meno per un minimo senso di decenza. Il metal scanzonato, divertente, spesso sguaiato di Christopher Bowes e soci è di quel genere che, per sua stessa natura, non può che essere divisivo. C’è chi li apprezza anche parecchio e chi semplicemente li detesta, spesso fermandosi solo alle apparenze superficiali. In realtà stiamo parlando di musicisti con la emme maiuscola, iper-professionali e che hanno fatto all’inizio della loro carriera una precisa scelta stilistica, con onestà, fermezza e coerenza invidiabili. Da questo punto di vista, gli Alestorm difficilmente potranno mai veramente deludere, neanche con la penultima uscita del 2020, seppure non fosse propriamente un granché a causa di alcune scelte pseudo-commerciali non propriamente azzeccate.
Ed ecco quindi che Seventh Rum of a Seventh Rum, al di là del titolo che invita a non prendere quest’album troppo sul serio - come da tradizione dei nostri - si presenta agli ascoltatori in qualità di un prodotto decisamente di altro livello rispetto al Cocco di Cristallo, tornando a quel caro e vecchio folk metal diretto e con pochi fronzoli a cui gli Alestorm ci hanno abituato dai tempi di Captain Morgan’s Revenge. Ben prodotto come sempre dal fido Lasse Lammert e con il solito curatissimo artwork, stavolta più dettagliato che mai, tale viaggio discografico comincia con Magellan’s Expedition, degnissima opener che, in doppietta con la successiva Battle of Cape Fear River, intrisa di elementi folk, fa emanare un sospiro di sollievo intorno al fatto che i nostri sono musicalmente vivi e vegeti e che sanno ancora come fare divertire con la loro musica. Cannonball e P.A.R.T.Y. sono quel tipo di canzoni buone per ubriacarsi e ballare a più non posso, poco importa della estrema banalità dei testi, specialmente nella prima, intrisa di parolacce e oscenità varie. Da notare comunque, anche in questi episodi non proprio epocali, i pregevoli inserimenti dei violini di Ally Storch (Subway to Sally) e i passaggi di chitarra di Máté Bodor tutt’altro che irrilevanti, oltre alla base ritmica ottima in tutto il platter. Al quinto posto della tracklist troviamo uno degli apici compositivi, Under Blackened Banners, potente, veloce e variegata al punto giusto, forte di un esplosivo equilibrio tra chitarra e tastiera con la voce di Christopher Bowes coadiuvata ottimamente dal growl dello stesso tastierista Elliot Vernon. L’episodio ameno ma minore Magyarország serve più che altro ad introdurre le epiche fanfare dell’altro pezzo da novanta dell’album e cioè la title track, una cavalcata frizzante, vivace e orecchiabile con linee vocali particolarmente riuscite e irrobustita da un breve quanto pregevole assolo. Altro bel centro è Bite the Hook Hand that Feeds, pezzo puro Alestorm originale di cui gli appassionati non potranno che essere contenti, possibilmente danzando con una bottiglia di rum in mano. La coinvolgente Return to Tortuga, pur non essendo nulla di trascendentale, rende comunque giustizia al brano Tortuga del disco precedente – uno dei punti più bassi della produzione dei nostri - e di cui ne è il seguito. Come to Brazil è la sorpresa che si discosta dal resto delle tracce, un breve numero power-punk-folk pregevole per le intenzioni ma che onestamente non convince molto. Infine il mid-tempo Wooden Leg (Part III) prosegue la saga della gamba di legno, un pezzo caratterizzato da innesti vocali in spagnolo e giapponese che, come i due episodi che lo hanno preceduto, possiede lo stesso identico testo su una base musicale differente; anche stavolta niente di trascendentale.
L’ultima release degli Alestorm ha indubbiamente un che di confortante. Se un paio di anni fa avevamo dubitato della tenuta qualitativa sulla lunga distanza degli scozzesi, ci pensa Seventh Rum of a Seventh Rum a spazzare via le nuvole e a farci scuotere la testa, ballare e divertire per tre quarti d’ora di buona musica sui loro consueti livelli. Nulla di molto altro sinceramente, del resto questo non è il tipo di band da cui aspettarsi innovazioni particolari, tutto il contrario anzi, prova ne sia la scarsa riuscita delle poche deviazioni di stile che si concedono di tanto in tanto. Da Bowes e compagni vogliamo in sostanza svago, divertimento, spensieratezza e del metal sincero e coerente. Seventh Rum of a Seventh Rum soddisfa tutte queste aspettative in pieno.
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Netto miglioramento dopo 2 album tragici, ma recensione troppo ottimistica. 65/100 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Magellan’s Expedition 2. The Battle of Cape Fear River 3. Cannonball 4. P.A.R.T.Y. 5. Under Blackened Banners 6. Magyarország 7. Seventh Rum of a Seventh Rum 8. Bite the Hook Hand that Feeds 9. Return to Tortuga 10. Come to Brazil 11. Wooden Leg (Part III)
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Line Up
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Christopher Bowes (Voce, Keytar) Máté Bodor (Chitarra) Elliot Vernon (Tastiera, Voce) Gareth Murdock (Basso) Peter Alcorn (Batteria)
Musicisti ospiti Captain Yarrface (Voce) Ally Storch (Violino) Patty Gurdy (Ghironda)
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