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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Avantasia - The Metal Opera: Part II
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( 7837 letture )
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Il secondo capitolo di The Metal Opera è senza dubbio differente dal fortunato predecessore, e per certi versi migliore. Vanno intanto segnalati gli arrivi di Bob Catley e le comparsate di Timo Tolkki -questa volta anche come chitarrista- e di Eric Singer che, suonando la batteria nell’ultima traccia, si prepara ad essere di fatto un componente fisso delle successive line-up del progetto Avantasia. Non ci sono, in questa Part II, intermezzi strumentali, recitati, intro: dieci brani pieni, il primo dei quali lungo e complesso.
La scelta di affidare l’inizio alla mastodontica The Seven Angels avrebbe potuto destare perplessità, se non fosse per la qualità eccelsa del brano in questione, che vede quasi tutto il cast avvicendarsi al microfono. Emerge ancora una volta la diversità espressività di DeFeis, decisamente più aggressivo e vario dei suoi compagni, ed entra fra le note negative la quasi indistinguibilità in certi frangenti di Sammet, Kiske e Matos, con gli ultimi due che ne risultano inevitabilmente castrati nel loro potenziale timbrico. È in fondo questo il motivo per cui emerge il cantante dei Virgin Steele, in grado di fatto di cambiare faccia ad una strofa con uno stile completamente differente anche da se stesso, se necessario. Non che gli altri, sfigurino, sia chiaro, però spesso sembra di sentire sempre lo stesso cantante. No Return ricicla un riff dal primo episodio e in generale si pone come un pezzo riuscito, ma troppo à la Edguy per risultare un fiore all’occhiello all’interno del concept. The Looking Glass è nobilitata dall’apparizione di Bob Catley, che scalda un brano in grado di offrire poco oltre ad un chorus di livello superiore. Ancora il cantante dei Magnum dona spessore a In Quest For, ballata dotata di buone liriche (era ora: ricordate Inside?) e di buone armonie; ma è il preludio ad una bordata di metallo come raramente ne abbiamo sentite. The Final Sacrifice è perfetta: un Sammet stellare ruggisce assieme a DeFeis, il guitar work è eccellente (grande assolo di Jens Ludwig, oltretutto), il coro vi farà saltare dalla sedia. Non potrebbe mancare in un best of Avantasia, questo è certo. Neverland è infinitamente più fiacca, nonostante gli acuti di Rob Rock: manca proprio un’apertura melodica memorabile, non fornita da un ritornello senza spinta. Perché Sammet debba plagiare chiunque nella ballad pianistica Anywhere è un mistero, unito al perché la debba cantare così male. Ma il brano in sé non è male, a parte il solito inglese grossolano e facilone del mastermind. Nella efficace Chalice of Agony -anche qui il coro è devastante- Matos viene preso da un istinto di mimetizzazione che lo obbliga a sembrare Sammet in tutto e per tutto, con risultati discutibili: ma nessuno riesce a sbagliare i vibrati come il singer degli Edguy, così il trucco salta. Al di là di tutto ciò, è un pezzo niente male; Memory invece manca il groove giusto nel riff, ma è nobilitata da una significativa prestazione di Ralf Zdiarstek: ciò non toglie che ricicli idee con disinvoltura spaventosa. Sharon den Adel giustifica il suo inserimento nei credits con i primi venticinque secondi di Into the Unknown, facendo rimpiangere un suo utilizzo maggiore; per il resto però si tratta di un brano involuto e poco sviluppato, con un buon refrain ma praticamente privo di strofa. Il solo di Tolkki è decisivo, la presenza di Eric Singer alla batteria assolutamente ininfluente.
Senza dubbio questa Part II segna un passo indietro rispetto al primo capitolo, ma ha i suoi highlights. The Seven Angels, In Quest For e The Final Sacrifice valgono il prezzo del biglietto; The Looking Glass e Chalice of Agony cercano di elevare la qualità media, ma il resto del platter è francamente irritante se si pensa alle potenzialità di un cast del genere. Il primo ciclo di Avantasia si pone come una grandissima occasione sprecata dal power metal per sfuggire a se stesso e alla strenua riproposizione dei medesimi, ormai odiatissimi patterns; e di certo il solipsismo compositivo di Sammet non lasciava presagire risultati eccelsi. Tuttavia l’opera in questione è coraggiosa, e ha garantito al buon Tobi notorietà e credito -eccessivi- per gli anni a venire, autorizzandolo a pubblicare l’appena discreto The Scarecrow spacciandolo per capolavoro. Comunque un disco imprescindibile nella discografia moderna, nel bene e nel male; ma successivamente sarà fatto di più e meglio con lo stesso sistema.
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21
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Voto recensore 74, voto lettori 73. Ditemi che non è vero perchè non credo ai miei occhi... |
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20
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insieme a theater of salvation degli Edguy per me opera magna, dopodiche\' il nulla. |
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19
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74? Non dico che siamo all'abc del power europeo (solo per una questione cronologica), ma poco ci manca... |
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18
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Concordo con Adrian Smith, il disco è un capolavoro immortale |
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17
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Alzare il voto di 20, please |
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16
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Per me invece è superiore alla parte I. ha ragione Poss, quando Kai entra sul finale è roba da brividi.... ".... wha they call a fantasy it is nothing but a key....." Adoro quella canzone, da isola deserta con un cast di voci stellari.
Questa track, In quest for e the final sacrifice stanno per me in qualsiasi best of della compagnia di tobi. 90 tutto. Imho i Metal Opera sono i keepers dei 2000, tra i pochi ad avvicinarsi nel genere, insieme ai primi Angra e agli Stratovarius di Visions. La storia del Power passa da qua. |
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15
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The Seven Angels capolavoro.
quando sul finale arriva kai hansen, brividi. |
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14
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Giusto un poco sotto il livello della prima parte, ma siamo di fronte anche qui ad un quasi capolavoro. La sola The Seven Angels, uno dei miei brani preferiti in assoluto, basterebbe per far capire cosa è il power simfonico ad un novello. In quella canzone c'è veramente tutto, dalla melodia alla doppia cassa, le parti narrate ed i cori gregoriani, cantati su tonalità altissime e controcanti folli. Meraviglia. Per il resto rimango molto legato alla ballata Anywhere, splendida, e The Looking Glass nella sua melodia particolare. Cast anche qui eccellente, Tobi ancora una volta si dimostra fuori dal comune |
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13
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Anche qui capolavoro assoluto, voto ridicolo, un pezzo più bello dell'altro! |
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12
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Senza gridare al miracolo a me è sempre piaciuto con The seven angels su tutte. 75 |
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11
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Ma che cazzo ho scritto il Martedì 12 Febbraio 2013, alle 18.26.58... ero ubriaco (tra l'altro Defeis non canta quasi nulla in The Seven Angels). Questa parte II è degna prosecuzione del primo. Per me un grandissimo album power, tra i migliori di sempre, nobilitara da un cast stellare. Il recensore si commenta veramente da solo: quanto scrive è irritante, oltre che intriso di pregiudizio (tanto per citare a caso: "ed entra fra le note negative la quasi indistinguibilità in certi frangenti di Sammet, Kiske e Matos, con gli ultimi due che ne risultano inevitabilmente castrati nel loro potenziale timbrico.". Maddai... Evviva! |
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10
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voto 100! Lavoro imponente in tutto! E' tutto il cuore possibile! |
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9
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Come ho già scritto per la parte 1, anche questo è uno dei pochi album usciti negli ultimi anni che ha il diritto di entrare a far parte dei classici del power metal europeo. |
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8
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Sono d'accordo sul giudizio complessivo: non siamo di fronte ad un capolavoro, bensì, "solo" a un disco sopra la media (per il sottoscritto, parecchio sopra la media!). Sono, invece, di gran lunga meno d'accordo sul tono risibile e cavilloso assunto in merito alle critiche tecniche. Breaking news: l'80% dei singers coinvolti, a dispetto di doti tecniche ed esperienza maturata sul "campo di battaglia", è formato da "istintivi", gente che con la pura tecnica di emissione vocale ha a che fare soltanto di striscio (e scrivo con cognizione, dato che ho avuto la fortuna di apprendere qualcosa in merito, essendo un cantante amatoriale). Ergo, pretendere da Sammet, precisione chirurgica è come chiedere a Slash di fare un bending intonato. Questo, naturalmente, prescindendo dai gusti personali! Ad ogni modo, spiace vedere come, troppo spesso, anche se con critiche tecnicamente fondate (se non fosse per il tono supponente con cui vengono formulate), si tenda a perdere di vista l'obiettivo ultimo di un'opera d'arte (come certamente è da concepirsi anche questo lavoro): suscitare emozioni, suggerire un'idea, attraverso un messaggio fatto di parole in musica. Spesso, i risultati sono altalenanti, complice certamente l'assenza di "genio assoluto" nel mastermind, ma affossare la bontà di un tentativo del genere con osservazioni altezzose e fini a se stesse mi pare l'atteggiamento meno indicato per approcciare un'opera. |
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7
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Adoro. Tobi con questi due pezzi di storia del power ha dato prova di essere davvero uno dei migliori compositori in ambito power. Che dire... Davvero magnifico. 95 |
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6
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Quoto i primi due commenti, una delle gemme più splendenti del panorama Power europeo. Il primo pezzo è magnifico, ed il resto non è da meno. A prescindere dai gusti, scendere sotto l'85 è reato. |
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5
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al primo ascolto buona impressione...ora lo risento...poi provero qualcos altro degli avantasia... |
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4
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D'accordo con il recensore, in effetti DeFeis spicca e nobilita questo pezzo stupendo - le altre voci si assomigliano un po'... P.S. un po pochi commenti a questo album (-; |
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3
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Ma in quanti cantano nella prima canzone (the seven angles) - 6, 7? Veramente un pezzo fantastico. R. |
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2
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Oh my God, qui ancora peggio...solo 1 post! Quoto qui sotto e dò come voto 97, preferisco qs pt. II alla precedente! |
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1
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Con The Metal Opera pt. I il top del power metal insieme alla coppia dei Keeper...amo questo disco e il progetto Avantasia; favoloso! Voto 98 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01. The Seven Angels 02. No Return 03. The Looking Glass 04. In Quest For 05. The Final Sacrifice 06. Neverland 07. Anywhere 08. Chalice of Agony 09. Memory 10. Into the Unknown
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Line Up
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CAST Tobias Sammet – Gabriel Laymann Michael Kiske – Lugaid Vandroiy David DeFeis – Friar Jakob Ralf Zdiarstek – Bailiff von Kronberg Sharon Den Adel – Anna Held Rob Rock – Bishop von Bicken Oliver Hartmann – Pope Clemens IIX Andre Matos – Elderane the elf Kai Hansen – Regrin the dwarf Bob Catley – Tree of Knowledge Timo Tolkki – Voice in the Tower BAND Henjo Richter (Guitar) Jens Ludwig (Lead Guitar) Timo Tolkki (Lead Guitar) Norman Meiritz (Rhythm Guitar) Markus Groβkopf (Bass Guitar) Frank Tischer (Piano) Tobias Sammet (Keyboards, Orchestration) Alex Holzwarth (Drums) Eric Singer (Drums)
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