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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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JUDAS PRIEST - Vittime del cambiamento
21/06/2011 (5816 letture)
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Tu chiamali, se vuoi, colpi di scena. L’epopea aurea dei Maestri Judas Priest sembrava destinata a concludersi in maniera trionfale, con le celebrazioni degne di chi aveva fatto la Storia. E, invece, manca ancora qualche capitolo per completare la Bibbia di Giuda, un tomo elegante e zeppo di storie, aneddoti, ricordi e leggende. Attraverso poderose scariche d’energia, sferrate dalle asce acuminate e da un’ugola affilata come un rasoio, i cinque inglesi erano partiti dai grigi sobborghi delle terre di Sua Maestà per raccogliere l’eredità pesante dei Black Sabbath e portarla in una dimensione nuova, accantonando la generazione del punk e forgiando in tutto e per tutto l’heavy metal moderno. Operazione riuscitissima, eccome, prima con una serie di dischi sperimentali e in continua evoluzione e poi, tra 1980 e 1984, con un trittico di releases stellari dalle quali nessun metallaro degno di questo nome può discostarsi. Eppure, dopo aver superato anche sé stessi nel 1990, dopo essere sopravissuti ai periodi difficili dei Nineties ed essere risorti dalle proprie ceneri con il Nuovo Millennio, gli inossidabili Difensori della Fede hanno ancora qualcosa da dire (e da farci dire) nel metalrama internazionale. Ultimi fuochi di una carriera ineguagliabile, gossip da pub forse: ma l’affetto nutrito nei confronti di chi il Metal lo ha inventato rende inevitabile l’ennesimo approfondimento, per capire cosa sta succedendo, cosa succederà e cos’è successo negli ultimi mesi. Ad un paio d’anni dal contraddittorio Nostradamus, la leggendaria band di Birmingham era tornata a far parlare di sé attraverso una notizia che aveva messo i brividi ai fans di ogni generazione: l’anno domini 2011 sarebbe stato quello del tour d’addio, non a caso rinominato Epitaph Tour, che avrebbe calcato anche le assi del Gods Of Metal. Per chi non li aveva mai visti, l’ultima opportunità per ammirare dal vivo una band che, come pochissime altre, aveva contribuito pesantemente alla creazione di un genere musicale e di uno stile iconografico inconfondibile; per chi già aveva partecipato alla sacralità di un rito celebrato dai Preti di Giuda, l’occasione per tributare l’ultimo saluto, magari sussurrando commossi l’ennesimo grazie. Era bastato l’annuncio ufficiale a far tremare i polsi e catalizzare l’attenzione degli headbangers su un evento imperdibile: 'Dopo aver suonato per 40 anni e dopo aver portato l’heavy metal in ogni parte del globo, i Judas Priest, una delle heavy metal band più influenti di tutti i tempi, annunciano che questo sarà il loro ultimo tour! Certamente, i grandissimi Judas Priest saranno più in forma che mai in occasione del loro tour mondiale d’addio che avverrà nel 2011. La band toccherà le città più grosse ed eseguirà i brani che hanno scritto la storia dell’heavy metal e che hanno reso Judas Priest sinonimo di leggenda! Con gli ampli al massimo e la forza che la contraddistingue, la formazione inglese regalerà ai suoi fans la possibilità di vederli per l’ultima volta in assoluto e di assistere ad una vera e propria esperienza nel nome del metal'! Il dado era tratto.
Tuttavia, a fine gennaio iniziarono a girare le prime indiscrezioni riguardanti l’inizio dei lavori per un nuovo album in studio; se alcuni si chiedevano come questa notizia potesse coincidere con quella del tour di commiato, altri trovavano la risposta in quella che, in seguito, si rivelerà l’ipotesi più palpabile: dopo il tour, la band si sarebbe ritirata dalle scene, continuando il proprio lavoro in studio ma senza supportare il nuovo disco con alcuna tournèe. A testimonianza di tale ipotesi, giungeva puntuale, sul forum ufficiale dell’act inglese, un post nel quale la band coinvolgeva i fans nella scelta dei brani da inserire nella setlist, in modo da poterli salutare con tutti i pezzi migliori del repertorio. Un brano da ogni disco: l’orientamento generale sembrava esser questo, anche se ai più l’idea non sembrava particolarmente azzeccata. Molto meglio pescare copiosamente dai masterpieces assoluti, piuttosto che dare spazio anche ad album ritenuti minori, equiparandoli alle pubblicazioni più pregiate di una discografia ricchissima. I fedeli seguaci dei Priest che si stavano gingillando con il divertente toto-scaletta, però, avrebbero presto avuto a disposizione un argomento molto più vasto su cui discutere. Come un fulmine a ciel sereno, il 20 aprile giunge la clamorosa notizia della dipartita dalla band del co-fondatore K.K. Downing, chitarrista brillante che assieme all’eterno ‘gemello’ Glenn Tipton aveva contribuito a creare il classicissimo sound targato Judas Priest, costituito da fortissime dosi di melodia, assoli al fulmicotone, riffs epocali. Dopo aver dichiarato di essersi ormai abituati a comporre assieme, soltanto guardandosi negli occhi, i due guitar hero si ritrovavano separati: non specificate le cause dello split. La band, senza lasciar trasparire assolutamente nulla, sembra soprassedere sulla notizia, e con freddezza inspiegabile annuncia la volontà di suonare, nel famigerato tour d’addio, anche brani mai presentati on stage. Viene confermata la data di uscita del nuovo disco: 2012. A rimpiazzare Downing arriva praticamente subito Richie Faulkner, di trent’anni più giovane, già ascia della band di Lauren Harris; forse con un velo di imbarazzo, il Metal God Rob Halford ha cercato subito di smorzare le polemiche: K.K. ha preso da solo la decisione di lasciare la band per le ragioni che ha reso pubbliche attraverso il suo sito. Ci siamo divertiti molto durante il tour di Nostradamus ma K.K. ha la sua vita e non possiamo costringerlo a fare qualcosa che non vuole fare. Ci informò della sua decisione prima di Natale. Io ho pensato che potesse essere la fine. Dal punto di vista emotivo per me è stato molto, molto difficile. Quando K.K. disse che pensava di ritirarsi, Glenn fu il primo a mandargli una email per dirgli, 'Ken, spero tu sia OK. Se hai bisogno di qualcosa, fammi sapere'. Abbiamo tenuto aperta la porta per tutto questo tempo nel caso Ken cambiasse idea ma il tempo passava. K.K. è insostituibile, unico e non volevamo una sua copia. Richie è andato a casa di Glenn per una jam e Glenn mi ha detto che era fantastico.
Forse lo storico chitarrista non era d’accordo sull’idea di registrare un nuovo album dopo il tour definito ‘di addio’, e la cosa ha fatto sorgere dei dissidi interni: è l’unica spiegazione possibile, perché se Downing fosse stato davvero stanco di andarsene in tour avrebbe potuto (e dovuto, anche per rispetto nei confronti dei fans) dirlo prima che venisse diffusa la volontà di salutare il proprio pubblico attraverso l’Epitaph Tour, o perlomeno avrebbe potuto aspettare la fine dello stesso, preferendo non partecipare alle registrazioni del nuovo disco. Stando alle parole di Halford, l’axemen avrebbe informato la band della sua volontà di mollare già prima di Natale: perché allora la notizia è stata diffusa soltanto il venti aprile? Probabilmente non sarebbe cambiato molto, perché per quanto importante fosse Downing il fascino dei Judas Priest sarebbe rimasto immutato, e la gente si sarebbe in ogni caso precipitata ai concerti; ma è il principio a infastidire, perché è mancato il rispetto, la trasparenza. In questo caso la ‘colpa’ sarebbe del management della band, anche se -come puntualizzato da Halford- si è dato tempo a Downing di tornare sui suoi passi e ripensarci, vista la sua importanza capitale all’interno del five pieces britannico. Insomma, attenendosi a questa versione, i Judas Priest si sarebbero comportati in maniera impeccabile e comprensiva nei confronti del proprio collega, accettando la sua scelta e anzi concedendogli tutto il tempo di tornare sui propri assi. Bene, ma allora sarebbe stato per lo meno corretto mettere la gente a conoscenza della possibilità di tale dipartita, spiegandone i motivi e indicando la tempistica nella quale la decisione definitiva sarebbe stata presa. Confusione e mancanza di informazione hanno lasciato i fans e la critica avvolti tra gli interrogativi, e per una band di queste proporzioni, di questa esperienza, non è certo il massimo. Si è parlato di mera operazione commerciale, ma è un’ipotesi che trova tanti consensi quanti dissensi. Sembra fuori luogo ritenere che i Priest abbiano cacciato via lo storico chitarrista apposta per incassare qualche dollaro in più -anche perché sarebbe paradossale: molta più gente accorrerebbe per vedere la line-up classica al completo!- mentre sul fatto di aver annunciato un tour di addio prima, ed un nuovo disco poi, restano in piedi diversi pareri. In quanto umani tendiamo sempre e comunque a pensar male, forse perché siamo i primi che, per qualche centesimo in più, scenderebbero a compromessi: ma a conti fatti non è così contorta l’idea di salutare il pubblico con l’ultimissimo tour intensivo per poi dedicarsi comunque alla musica, compagna di tutta l’esistenza, in forma leggermente diversa, ovvero senza lo sforzo considerevole -per degli ultra sessantenni- della vita on the road. Dal suo sito, Downing ha dichiarato che la sua salute è ottima e non ha interferito sulla volontà di lasciare la band; ancor più cripticamente, il nucleo storico dei Priest è successivamente tornato sui propri passi, rimangiandosi l’ipotesi di un ritiro a tutti gli effetti e mantenendo viva la possibilità di suonare date sporadiche, senza l’incombenza di tour ufficiali. È ancora Halford a farsi portavoce della band con questa dichiarazione: È una vasta gamma di opportunità, ovviamente. Faremo ancora concerti, però non faremo più grandi tour mondiali come prima. Ma noi continueremo a stare insieme in ogni momento, per partecipare ai festival qui e là. Personalmente, non vedo motivi per cui dovremmo smettere di scrivere e di registrare, perché è sempre stato un grande piacere fisico e mentale, e non stressante come un tour. Si, il nostro futuro non è ancora dato per certo, ma credo proprio che continueremo ad essere, e a fare, ciò che abbiamo sempre cercato di fare come band, che è, in un modo o nell'altro, continuare a registrare, e ad esibirci ancora dal vivo.
Che fosse proprio la presenza di Downing ad aver inciso sulla scelta di appendere gli strumenti al chiodo? Sembra quasi che, rimosso il dente dolorante, la band si sia rimessa in moto e abbia trovato in Faulkner una nuova linfa vitale capace di prolungare la propria attività, pur se non ai livelli tenuti finora, ovviamente. La storia sembra ripetersi: già nel 1991, dopo il tour del titanico Painkiller, la band inglese si era ritrovata senza un suo membro cardine, al tempo Rob Halford, per non meglio precisati motivi: alcuni male informati vociferavano che lo split fosse avvenuto a causa della contrazione dell’AIDS da parte del singer, cosa ovviamente e fortunatamente non veritiera, mentre le dichiarazioni ufficiali vedevano il cantante interessato ad intraprendere una carriera solista e i suoi ex compagni pronti a giurare che i Judas Priest sarebbero stati grandi anche senza la loro ugola inconfondibile. Secondo altri, Halford non aveva del tutto gradito la potenza e la modernità devastante dell’ultimo album e gradiva tornare a sonorità più tipicamente priestiane, credendo che i suoi ex compagni lo avrebbero pregato a tornare nella band, soddisfacendo le sue richieste: cosa che non avvenne e costrinse il Metal God ad affrontare tutta la decade con i suoi progetti paralleli. Sotto sotto Halford aveva ragione: senza di lui i Judas Priest avrebbero combinato poco, dichiarava con un pò di spocchia, e difatti con il sostituto Tim ‘Ripper’ Owens le cose non andarono molto bene, e fu tempo di reunion. K.K. Downing, che nel 1991 rimase indignato dal comportamento del suo cantante, si ritrova ora nella posizione scomoda di un membro fondatore che, dopo quarant’anni di militanza, abbandona la propria band prima di quello che doveva essere il tour di addio. Il pasticcio che è nato è un groviglio di cui, forse, non conosceremo mai la reale spiegazione: come spesso accade in questi casi, solo i diretti interessati sono a conoscenza dell’effettivo svolgimento dei fatti. Anche il bassista Ian Hill ha confermato le parole di Halford e a questo punto la situazione sembra essersi fatta molto più chiara, almeno per quanto riguarda il futuro della band inglese: Volendo è più un 'au revoir'! E' comunque l'ultimo tour intensivo che faremo, questo sì. Non faremo più tour come questo, lunghi due anni ed in giro per tutto il mondo; ma non vediamo nessun motivo per il quale smettere di registrare album oppure di suonare ai festival. Sì, queste cose continueremo a farle, ma questo è l'ultimo vero e proprio tour dei Judas così lungo. Sarà davvero la versione definitiva?
Intanto, il 25 maggio la band si è esibita ad American Idol, talent show della televisione statunitense, eseguendo i propri classici Living After Midnight e Breaking The Law insieme a James Durbin, un giovane concorrente che era stato precedentemente eliminato dal reality dopo aver coverizzato You’ve Got Another Things Coming; i video della serata mostrano una band in forma, capace come sempre di grondare carisma, classe e personalità da tutti i pori, a cominciare dall’imperioso Rob Halford. La scelta di partecipare a questa sorta di X-Factor a stelle e strisce, criticata da alcuni, ha permesso alla seminale band inglese di entrare nelle case della gente comune, cosa definita pazzesca ed incredibile da Halford stesso; Tipton ha invece elogiato Durbin, sostenendo che il ragazzino ha reso il metal accessibile a tutti, portandolo alla gente. Mentre pian piano la telenovela stava sommessamente smettendo di attirare le attenzioni dei cybermetallers naviganti, il 15 giugno, dopo l’inizio del tanto vociferato ultimo tour, giunge un nuovo comunicato ufficiale dello storico act inglese, accolto come bandolo della matassa ma che, in realtà, poco aggiunge ad una storia i cui contorni erano ormai ampiamente delineati, ribadendo che l’Epitaph Tour non sarà la fine assoluta della band ma soltanto il suo ultimo tour globale; esibizioni sporadiche e album in studio non verranno a mancare, nel proseguio di una carriera, dunque, ancora lontana dal suo epitaffio: Vorremmo chiarire una situazione che sembra confondere alcune persone. Quando abbiamo pubblicato il nostro comunicato stampa per annunciare il tour d'addio, abbiamo dichiarato che sarebbe stato l'ultimo tour mondiale per i Judas Priest. Nulla è cambiato - non abbiamo detto che sarebbe stata la fine della band o che ci saremmo ritirati o che la band si sarebbe sciolta...solo che sarebbe stato l'ultimo tour mondiale, cioè quello che è tutt'ora. Abbiamo piani per un nuovo album (che abbiamo già annunciato in un precedente comunicato stampa), oltre a prossime e possibili pubblicazioni, e vorremmo ancora considerare la possibilità di fare altri spettacoli live -se è qualcosa di speciale o per una grande causa- ma mai più tour mondiali. Con o senza Downing, il fascino dei bikers di Birmingham è qualcosa di indescrivibile, e l’Epitaph Tour sarà certamente un evento memorabile. Il nuovo disco in cantiere, di cui non è stato svelato ancora il titolo, non potrà e non sarà un passo falso: ormai i vecchi metallers britannici hanno imparato dai propri errori: l’ultimo Nostradamus aveva rappresentato il tentativo di togliersi uno sfizio -cimentarsi con sonorità epiche e sinfoniche, discostandosi dal classico stile stradaiolo e borchiato della band- da parte di musicisti di età ormai avanzata, ma il capitolo conclusivo della saga dovrebbe tenersi ben lontano da sorprese e novità di ogni sorta. Salvo clamorosi colpi di scena, sarà un album Judas Priest al cento per cento, senza sperimentazioni, senza nulla di diverso da quello che questi terribili nonnetti avrebbero potuto suonare nel 1982, o giù di lì. Per dimostrare, ancora una volta, che l’Heavy Metal sono loro. Passano le mode, passano i decenni, gente che va e gente che viene, ma il marchio indelebile resta impresso a fuoco nella memoria, mentre lo screaming di Halford, in sella alla sua Harley, squarcia il cielo, accompagnato dal clamore dei duelli di chitarra, nel segno del Metallian. A noi piace immaginarceli così.
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"Per dimostrare, ancora una volta, che l’Heavy Metal sono loro. Passano le mode, passano i decenni, gente che va e gente che viene, ma il marchio indelebile resta impresso a fuoco nella memoria, mentre lo screaming di Halford, in sella alla sua Harley, squarcia il cielo, accompagnato dal clamore dei duelli di chitarra, nel segno del Metallian" Frasone da incorniciare e imprimersi nella mente. |
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@ayreon: quoto in tutto e x tutto |
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mitici,Painkiller è la bibbia de metal,Priest live il vangelo dal vivo,Ram it down una mazzata in piena faccia, Blood red skies non trovo le parole,con "the ripper"erano già avanti anni luce nel metal.ALTRO CHE IRON |
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grandi judas... spaccano di brutto !! |
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Rino, Dotf, vi siene infilati in un vicolo cieco ... Domani li rivedròòòòòò, non vedo l'oooooorrrraaaaaa!!!!!!!!!! |
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Non credo di aver trascurato la parte settantiana, nè tantomeno si possono intendere i dischi degli '80 (almeno fino a DOTF) come 'mainstream'; ho semplicemente detto che i dischi degli anni 70 erano qualcosa di 'sperimentale', teso a modellare ed evolvere disco dopo disco un suono da loro stessi creato (''serie di dischi sperimentali e in continua evoluzione'' non significa che non fossero dischi altrettanto favolosi, era sottinteso). Non si vuole per frza legare il lascito dei Priest agli 80, ma solo intendere che nei dischi da british Steel in poi la band ha trovato una determinata fisionomia sonora (permettetemi la licenza poetica) e una propria maturità, ma non si vuole sminuire nulla di quanto c'è stato 'prima', figuriamoci |
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Bello, ma mi permetto un appunto odiosetto. "Operazione riuscitissima, eccome, prima con una serie di dischi sperimentali e in continua evoluzione e poi, tra 1980 e 1984, con un trittico di releases stellari dalle quali nessun metallaro degno di questo nome può discostarsi" Ebbene, tutto ciò è per lo meno fuorviante. Le release stellari dei Priest iniziano con "Sad Wings Of Destiny", che forgia già tutte le caratteristiche sonore-attitudinali del metal della decade successiva. Tutto quello che hanno inciso da quel disco fino a "Killing Machine" compreso imprime una tale svolta a rock duro che, anche se si fossero sciolti all'indomani di "Unleashed In The East", il metal avrebbe già preso la fisionomia attuale. Trovo piuttosto superficiale voler legare per forza il lascito dei Priest agli anni '80, trascurando invece la parte artisticamente più innovativa e importante della loro carriera in favore di quella del consolidamento e dell'affermazione mainstream (non che ci sia niente di male in questo, anzi). |
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