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In Flames - The Tokyo Showdown
17/12/2016
( 2385 letture )
La fine o l’inizio? il canto del cigno o l’alba di una nuova era? La pubblicazione di un live, nella carriera di tanti artisti, rappresenta un momento topico che va spesso a delineare un “prima” e un “dopo”. Un vero e proprio punto di rottura che i fan del “prima” ricordano come il picco prima dell’oblio, mentre chi osanna il “dopo” identifica con la pietra tombale sull’oscuro passato anticamera del cammino verso nuovi e luminosi lidi. Non fanno eccezione gli In Flames che nel 2001, da eroi della scena di Göteborg e quindi del sound death imbevuto di melodia, scrivono sostanzialmente la parola fine in calce a una parte fondamentale della loro avventura pubblicando il live The Tokyo Showdown. Anders Fridén e compagni arrivano a questa uscita trascinati da un successo travolgente e meritato, che li ha portati dalle remote lande della Svezia a rivoluzionare il death metal insieme ai compari At the Gates e Dark Tranquillity, contaminandolo con melodie che magari fecero inorridire i puristi, ma che hanno dato nuova linfa scena.

Come da migliore tradizione “purpleiana” nel mastodontico tour di supporto a Clayman la data prescelta per essere immortalata sul disco si tiene nella sempre propizia terra del Sol Levante, dove il pubblico non va fuori di testa come in Europa o in Sud America, ma ha sempre risposto presente quando serviva. La formazione che calca le assi del palco di Tokyo è quella del periodo “classico” della band con Fridén in grande spolvero dietro al microfono, le due asce telluriche, cariche di groove e melodie della mitica coppia Strömblad/Gelotte, accompagnati dalla granitica e quadrata sezione ritmica Iwers / Svensson. La produzione perde la rifinitura e maturità acquisita sui dischi in studio, in favore di un sound più diretto e grezzo che restituisce in pieno la dimensione live. Forse si poteva fare qualcosa di più nel mixing dei volumi di chitarre e voce, fondamentali nella costruzione del muro melodico che caratterizza tante tracce, insieme ad una maggiore valorizzazione del pubblico che sembra essere nascosto in lontananza.

La scaletta è assimilabile ad un greatest hits con tutti i pezzi amatissimi dai fan dell’epoca, suonati uno dietro l’altro senza “perdere” troppo tempo in chiacchere e discorsi. Rispetto alle versioni in studio le canzoni di Clayman e Colony perdono un briciolo di precisione e pulizia in favore di una maggiore energia come dimostra la spettacolare doppietta di apertura Bullet Ride / Embody the Invisible. Segue Jotun, da Whoracle, con il suo indimenticabile riff e le inspiratissime melodie della chitarra solista, niente pause e si passa alla feroce Food for the Gods molto vicina allo stile dei “fratelli” At the Gates se non altro per il più che leggendario “GO!” che apre le danze. Dal capolavoro The Jester Race arriva la rocciosa e dinamica Moonshield in cui le melodie si fanno avvolgenti, accompagnando lo stacco centrale che si può tranquillamente dire abbia fatto scuola nel genere. Tocca poi all’uomo di argilla: lo stile è evidentemente diverso, si fanno strada sovraincisioni elettroniche e filtri vocali che andranno a estreme conseguenze nel future; con la title-track, però, gli In Flames non fanno prigionieri in un’esecuzione serrata e di impatto. Energia a profusione per Swim, dove le contaminazioni stanno sullo sfondo lasciando spazio alle chitarre, e Behind Space forsennata in apertura con drumming e riff vicini al death classico direttamente dal seminale esordio. Impossibile rimanere fermi per l’ormai celebre Only For the Weak, fra le poche sopravvissute anche nelle setlist odierne: una linea melodica di impatto assoluto guidata dalla tastiera sorregge la traccia, fino allo stacco con relativo solo, anticamera di una nuova esplosione. La stellare Gyroscope, accelerata al punto giusto rispetto al disco, fa da antipasto a Scorn con gli ottimi duelli fra le asce e il celeberrimo inserto di Raining Blood al centro. Le spesse chitarre in apertura di Ordinary Story vengono subito sostituite dal potente basso di Iwers e da qualche inserto elettronico per il bridge lasciando poi di nuovo il centro del palco alle asce; segue un’altra perla come Pinball Map veloce, incandescente e tremendamente coinvolgente, nella sua disarmante semplicità. Il disco si chiude come si era aperto, con una doppietta da infarto: la psichedelica Colony e l’attacco all’arma bianca di Episode 666.

Per tanti fan della prima ora con questi circa sessanta minuti di musica, si conclude anche la carriera degli In Flames, i quali negli anni a seguire cambieranno in modo sempre più radicale fino a diventare una band, comunque la si voglia vedere, totalmente diversa. The Tokyo Showdown è un’ottima testimonianza di cosa erano capaci di fare in quegli anni Fridén e soci, anni che probabilmente non torneranno mai più. Un motivo in più per gustarsi questo live.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
67.75 su 4 voti [ VOTA]
Giaxomo
Venerdì 6 Gennaio 2017, 11.18.25
7
D'accordissimo al 100% con commento numero 6, non volevo essere così esplicito. Da Colony in poi, live parlando, hanno sempre voluto fare canzoni da stadio e basta...scelte che non appoggio e non ho mai appoggiato, snaturano la loro autentica provenienza, evolvendosi, come se non bastasse, ancor peggio per ottenere un audience ancor più ampia a discapito di qualità e coerenza. RIP Infiammati e lunga vita agli Amorphis, che per quanto riguarda l'evoluzione potrebbero tenere corsi accademici.
Caua Leonardo
Venerdì 6 Gennaio 2017, 11.00.13
6
Live sopravvalutatissimo,non merita nemmeno la sufficienza,e lo dico da vecchio fan della band fino a Clayman (e salverei pure qualcosa di CC e RTR).Volumi scazzati e scaletta infausta.Ma è a proposito della scaletta che bisogna fare un appunto: gli In Flames per la scelta dei pezzi in scaletta sono sempre stati dei merdaioli e purtroppo hanno sempre snobbato troppo i loro primi 3 lavori, qua non suonano nemmeno Stand Ablaze che è uno dei loro migliori pezzi in assoluto,che poi è l'unico pezzo che abbiano mai suonato dal vivo da quella perla di Subterranean.E poi solo Moonshield da TJR?Ma cazzo si ricordano che hanno composto anche The Jester Race, Graveland, Artifacts of the Black Rain e Dead Eternity?E solamente Behind Space dall'esordio,che poi a dirla tutta hanno riproposto su Colony per fare i paraculi,ma che cazzo non potevano magari evitare di suonare almeno Swin e Scorn in favore dei pezzi vecchi??Almeno!!
Giaxomo
Venerdì 6 Gennaio 2017, 1.48.51
5
Il 2001 è sicuramente un anno per la band che inizia sta attraversando la prima mutazione dell proprio sound (la seconda avverraà nel 2007/08 con la pubblicazione di "A Sense of Purpose"). Premettendo che fino a "Clayman" sono una delle mie band preferite e "The Jester Race" lo sento da più di 5 anni almeno un paio di volte a settimana e inizialmente anche una volta al giorno, l'80 dato dal recensore è fin troppo generoso: esito sonoro finale (quasi) pessimo ma soprattutto la scaletta,,,meravigliosa ok, siamo appunto nel 2001, le ciofeche prodotte dopo fortunatamente non esistevano ancora, ma come si fa a suonare solo una traccia (e sottolineo UNA!!!) tratta dal secondo album? Qui c'era la formazione storica (quasi) al completo! 75 perché ci sono 15 canzoni fenomenali, sublimi ma i fan storici, si sa, avrebbero voluto ben altro.
Elluis
Mercoledì 21 Dicembre 2016, 0.33.15
4
@draKe forse non mi sono spiegato bene, io ho dato la responsabilità al loro fonico per quanto riguarda il suono pessimo degli IF dal vivo: per esempio non mi spiegavo perchè nel tour Unholy Alliance, il suono dei Lamb of God fosse cristallino, mentre quello degli In Flames fu un disastro (si sentiva solo la chitarra altissima al limite della distorsione, la voce molto più bassa, basso e batteria quasi per niente). La mia opinione è che l'album in questione probabilmente è stato un mix di errori: se già il master (cioè la registrazione originale del live) era una fetecchia, probabilmente in studio si è potuto fare poco per aggiustare i livelli, e certamente immagino che abbiano contato anche certe questioni economiche, visto che non parliamo di una band con un budget altissimo.
draKe
Martedì 20 Dicembre 2016, 13.08.57
3
Sono d'accordo con elluis riguardo al suono, ma non punterei il dito contro il fonico. Lo punterei invece contro la produzione o l'etichetta che non hanno sborsato i dindini per fare una registrazione separata dei singoli canali. Anch'io lo comprai supercurioso di sentire gli infiammati dal vivo e rimasi interdetto sia dal suono che dalla performance perché tutti i brani sono suonati stra-accelerati!!...un peccato
Elluis
Domenica 18 Dicembre 2016, 16.46.55
2
Questo è il periodo in cui amavo di più gli IF. Questo live in teoria racchiude tutto il meglio fatto fino a quel momento, e ricordo che lo attesi con impazienza. Per questo la mia delusione fu enorme quando lo misi su la prima volta: un suono imbarazzante, i livelli del mix tutti sbagliati, poteva essere tranquillamente un live ripreso con un cellulare in mezzo alla folla, una roba imbarazzante !! Capisco pubblicare un album dal vivo senza ritocchi in studio, ma una roba così non si può sentire..... Purtroppo realizzai che anche dal vivo gli svedesi avevano un suono terribile, colpa probabilmente di un fonico assolutamente non all'altezza.... Per fortuna dopo un po il suono dell'album migliora, ma resta cmq insufficiente per celebrare una band al top come erano loro in quel momento.
gianmarco
Sabato 17 Dicembre 2016, 20.52.29
1
mega un 100 per la storicità .
INFORMAZIONI
2001
Nuclear Blast Records
Melodic Death
Tracklist
1. Bullet Ride
2. Embody the Invisible
3. Jotun
4. Food For The Gods
5. Moonshield
6. Clayman
7. Swim
8. Behind Space
9. Only for the Weak
10. Gyroscope
11. Scorn
12. Ordinary Story
13. Pinball Map
14. Colony
15. Episode 666
Line Up
Anders Fridén (Voce)
Jesper Strömblad (Chitarra)
Björn Gelotte (Chitarra)
Peter Iwers (Basso)
Daniel Svensson (Batteria)
 
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