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Ayreon - The Universal Migrator Part I - The Dream Sequencer
02/09/2017
( 2968 letture )
It is the 22nd century. I am the last of the Mars Colonists. The air supply has almost run out on this desolate Mars colony, and the food supplies from Earth have stopped arriving since the final war of 2084. I am walking through the tunnel towards our recreation machine called the Dream Sequencer. I hope it will sweeten my final days...

Un rosso pianeta desolato, una persona rimasta da sola.
No, non stiamo parlando di The Martian (stupendo romanzo fantascientifico di Andy Weir), ma dell'introduzione di The Universal Migrator Part I, prima parte della storia del “Migratore Universale” creata dal poliedrico Arjen Lucassen sul finire dello scorso millennio. In quel periodo, Lucassen e il suo progetto Ayreon arrivavano dall'ottimo Into the Electric Castle, pubblicato appena un paio d'anni prima, e le aspettative per la nuova release erano ovviamente molto alte. Arjen però stupì i fan con un approccio piuttosto ardito: invece che mantenere fuse insieme le due componenti cardine della sua musica (il prog rock e il prog metal), decise di separarle, creando un primo disco rock e un secondo esclusivamente metal (Universal Migrator Part 2: Flight of the Migrator). Questa scelta, per quanto inconsueta, si rivelò una soluzione efficace, considerando che entrambe le parti che compongono la sua ennesima “space opera” funzionano benissimo prese individualmente e brillano ancora di più se ascoltate consecutivamente.
Qui però ci dedicheremo soprattutto alla prima, quella più soft, ma non per questo meno complessa.

Veniamo accolti dalla voce metallica del Dream Sequencer (Lana Lane), che guida l'ultimo umano (sia su Marte che sulla Terra, vista la distruzione della razza umana su quest'ultima) attraverso i passi da seguire per interfacciarsi a quella macchina che si appresta a portarlo indietro. Non ritornerà però solo alla sua giovinezza: il Dream Sequencer infatti lo traghetterà attraverso tutte le sue incarnazioni precedenti, vissute in epoche diverse della razza umana. I suoni ambientali del collegamento lasciano subito spazio ad un sottofondo ipnotico di sintetizzatori su cui si innesta un -alquanto “pink floydiano”- assolo di chitarra leggermente distorta, carico di delay, che viene spezzato in chiusura da uno di sintetizzatore, magistralmente eseguito da Erik Norlander.
La stessa atmosfera introduce il primo pezzo vero e proprio, My House on Mars, dove il giovane sopravvissuto (qui interpretato dalla bassa voce catatonica di Johan Edlund) si rende conto -insieme alla sorella (Floor Jansen)- che il loro padre non tornerà più dalla guerra, non rivedranno più la Terra e rimarranno per sempre in quel mondo desolato, dove però sopravvivranno un po' più a lungo del resto degli umani:

Is this my home? - this is our home
This desolate dome - this desolate dome
I call out to the stars: I'm alone in my house on Mars


La base del brano rimane inizialmente ancorata alle atmosfere fredde dell'introduzione, sottolineate anche dalla voce filtrata di Edlund, che narra del suo sconforto con l'accompagnamento una giovanissima Floor, che esegue i suoi controcanti con dolcezza e senza strafare (manca ancora l'aggressività che la caratterizzerà più avanti).
Il tutto però tende a cambiare dalla metà, con l'ingresso di un sintetizzatore più caldo e un assolo di chitarra (con lo stesso suono del precedente) che mutano leggermente l'atmosfera rendendola meno cupa, a simboleggiare la realizzazione -da parte dei ragazzi- del fatto che i genitori abbiano fatto del loro meglio per tenerli al sicuro:

We carried on down the road we chose
The path of nevermore
The journey ends, the book is closed
2084


È il turno di 2084: sirene anti-aeree, raffiche di mitragliatore, cupi suoni sintetici con sviluppi estremamente lenti. Una chitarra acustica ad accordi pieni arpeggiati si fa strada tra riverberi intensi e fa da sfondo alla voce di Lana Lane, che descrive -con un'interpretazione distaccata e volutamente meccanica- la fine della Terra. Un assolo di synth prosegue intramezzato -come abbiamo imparato ad apprezzare- da uno di chitarra, il tutto mentre una base ritmica lenta ed ossessiva della batteria di Rob Snijders (che qui usa tantissimo l'hi-hat) accompagna l'insieme, anche grazie ad un basso ben presente e strutturato.
La successiva One More Step è introdotta da voci registrate da vecchi nastri della NASA e un insieme di sintetizzatori più acuti mutano l'atmosfera, trasportandoci in un luogo più lontano, dove la solennità si mescola alla meraviglia:

One small step for man
But a giant leap for mankind
The mighty Apollo prevailed
The Eagle has landed


Una chitarra acustica più brillante e meno cupa accompagna la voce tenorile di Edward Reekers, che -come prima incarnazione del viaggiatore- ci racconta di quando suo padre lo svegliò per assistere alla storica discesa di Neil Armstrong dal LEM al suolo lunare.
Il pezzo è piuttosto lungo (oltre gli otto minuti), ma nel suo alternare momenti più intensi ad altri più “meditativi”, ci concede alcuni degli assoli più belli composti da Arjen durante la sua lunga carriera (basti sentire quello tra il quinto e il sesto minuto), che porta pian piano ad un crescendo finale.
Il viaggio a ritroso continua e si arriva al diciassettesimo secolo, questa volta in Olanda (piccolo momento di orgoglio nazionale per Arjen), dove scopriamo che una delle incarnazioni dell'ultimo sopravvissuto fu il capitano Frans B.Cocq, borgomastro di Amsterdam e comandante di un celebre reparto di guardia civile reso immortale dal quadro La ronda di notte, del pittore olandese Rembrandt:

I'm standing proud
In this noble crowd
In our golden age eternalized by the artist's hand
A glorious page in the history of our tiny land


The Shooting Company of Captain Frans B.Cocq è invece una traccia più riflessiva, che presenta in taluni punti un andamento ritmico quasi marziale, ma per il resto si regge su suoni di synth piuttosto eterei e -come da tradizione- si lascia andare a dei crescendo in cui sentiamo un piccolo assolo di basso (valorizzato da un suono presente nelle frequenze medie e gravi) e un altro di chitarra dalla melodia estremamente riuscita. L'interpretazione vocale del cantante olandese Mouse (della band Tuesday Child) è tutto sommato ben riuscita, nonostante una certa piattezza non aiutata da un timbro alla John Lennon parecchio filtrato:

Times are dark now, our empire's gone astray
Forces from down south, armada on the way
So we call our greatest men to run the barricade
Shine your light where shadows fall and wash the night away


Un ulteriore secolo indietro.
Il nostro viaggiatore inizia a scoprire di essere la reincarnazione di personaggi storici sempre più importanti e in questo caso si parla di Sir Francis Drake.
Corsaro inglese che, su ordine di Elisabetta I, condusse una lunga ed estenuante campagna contro gli spagnoli, rimanendo tra i primi scopritori della costa nord pacifica degli attuali USA (allora chiamata Nova Albion) e soprattutto giocò un ruolo fondamentale nella disfatta dell'Invincibile Armata spagnola. Dragon on the Sea è probabilmente uno dei pezzi più riusciti dell'intero album, con una melodia vocale che valorizza un'interpretazione molto più calda delle precedenti di Lana Lane (che esplode nel ritornello grazie ad un uso meraviglioso dei controcanti), uno strumming riuscitissimo della chitarra acustica che sorregge benissimo il ritmo più "sostenuto" della canzone, condita da synth più leggeri che però si concedono anche qualche momento più solista.
Si arriva così all'ottavo secolo, ma questa volta ci troviamo nel continente americano, dove una ragazzina Maya (interpretata da Jacqueline Govaert) si sta recando presso un importante tempio:

Shine down on me, Sun of the Underworld
Set me free, chase away the night
Proud Jaguar, king of the Mayan Gods
Shining star, light up the sky


In Temple of the Cat fanno la loro comparsa gli archi, suonati magistralmente da Peter Siedlach, che ben si confanno a quella che è a tutti gli effetti classificabile come una ballad, che rinuncia ad uso massiccio dei sintetizzatori in luogo dei citati archi o di flauti piuttosto dolci.
Esattamente come l'interpretazione di Jaqueline, che con una voce più "innocente" riesce a rendere decisamente bene la differenza di età (e di caratura) del suo personaggio, rispetto alle altre più blasonate re-incarnazioni.
Ritornano subito alla ribalta i sintetizzatori, che introducono Carried by the Wind, uno dei brani più "positivi" dell'intero lotto, tra chitarre acustiche dal suono asciutto che accompagnano ritmicamente e assoli di elettrica e tastiera che si mescolano come in perfetta tradizione Ayreon. Non è un caso, il protagonista (nonché re-incarnazione nella Britannia del sesto secolo) è proprio il menestrello cieco Ayreon, protagonista del primo album (The Final Experiment), in cui un messaggio proveniente dall'umanità sull'orlo della distruzione del 2084 raggiunge il povero musico, che si ritrova così a dover goffamente avvisare l'umanità della sua fine, non esattamente imminente. Come apprendiamo dalla storia di questo disco, la sua missione non è purtroppo riuscita:

My mission has failed, the spell has been cast
I wasn't the first one and I won't be the last
This can't be the end, so let it begin
My message will reach you, carried by the wind


Ci avviamo verso la conclusione con And the Druids Turn to Stone, che ci porta nel 2800 A.C, in un'Inghilterra primitiva, dove un'incarnazione dell'ultimo sopravvissuto assiste ad un antico rito, che sta per trasformare dei druidi celtici in un monumento di pietra che rimarrà lì per le ere a venire:

The magic words were spoken
As we left the plain in silence
Then the circle stood alone
And the druids turned to stone


Si tratta probabilmente della canzone più "classica" delle undici che compongono il lotto, con un accompagnamento basso/batteria leggermente più tirato della media, l'uso ben contestualizzato dell'organo Hammond e la solita dose di -elegantissimi- assoli di chitarra e synth che contribuiscono in modo fondamentale alla melodia del pezzo. Il tutto interpretato meravigliosamente da Damian Wilson (ex Threshold), che riesce a catalizzare su di sé buona parte dell'attenzione, grazie a linee vocali che ne esplorano praticamente tutto il range, dai passaggi più bassi e caldi agli acuti più tirati.

This is the dawn of time
I am the first to stand
Looking through the eyes of the primal man
This is the dawn of time
Witnessing the birth
I am the first man on earth


Siamo giunti alla fine del viaggio. L'ultima tappa del sopravvissuto raggiunge l'inizio dei tempi: è stato il primo uomo sulla Terra, ironico per chi sarà anche l'ultimo. La chiusura di The First Man on Earth è però con il botto in termini di ospiti, visto che dietro il microfono non c'è niente meno che Neal Morse, che descrive l'origine di tutto con un'interpretazione sentita e all'altezza della sua fama. Il brano è una sorta di summa dell'intero disco: ritmica sorretta dal basso, chitarra acustica libera di spaziare, sintetizzatori e organi usati a modo (anche per simulare dei fiati) e crescendo finale con l'assolo di chitarra più tirato dell'intero lotto, che si lascia andare tra plettrate veloci e bending intensi. La chiusura vera e propria è affidata ad una reprise dell'introduzione, non necessaria quanto gli altri pezzi, ma comunque adatta a porre la parola fine su un album monolitico, che rappresenta poi peraltro solo la metà di un'opera validissima.

C'è la necessità di spendere alcune parole sulla produzione, che ovviamente parte da degli standard altissimi, anche se non è qualcosa di cui ci si debba stupire più di tanto, specie considerano la maniacalità con cui Arjen registra e mixa i suoi lavori nel suo studio privato. La prima cosa che si riesce ad evidenziare fin da subito è la ricchezza di dettagli nei timbri dei vari strumenti (soprattutto nei synth analogici) e la cura con cui ognuno di questi è stato caratterizzato. Potrà sembrare banale, ma se consideriamo la varietà di sintetizzatori utilizzati (che sono strumenti parecchio invasivi quando si arriva ad un mix) e l'alto numero di voci presenti (ognuna con le proprie necessità) allora possiamo avere un quadro generale della difficoltà di un'impresa del genere. Il tutto tra l'altro valorizzato da una gamma dinamica perfetta e mai compressa all'eccesso, perché in un genere così tecnico non contano solo in numero di note, ma anche il modo in cui si suonano, cosa che riusciamo ad apprezzare anche grazie ad una loudness che ci obbliga ad alzare il volume per apprezzare ogni sfumatura. Menzione a parte, ma meritata, per come sono state gestite le chitarre acustiche, sempre avvolgenti (grazie ad una cura dell'immagine stereo maniacale) e cristalline, elemento che fa davvero la differenza visto anche quanto sono state utilizzate.

Non c'è molto altro da aggiungere.
The Universal Migrator Part I: The Dream Sequencer dimostra come Arjen Lucassen sia perfettamente in grado di scrivere un disco progressive rock settantiano senza apparenti sforzi, con il valore aggiunto di un concept complesso che farebbe la felicità di qualsiasi appassionato di fantascienza. Un'opera da custodire gelosamente, insieme alla sua seconda parte.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
93 su 23 voti [ VOTA]
Midnight
Martedì 29 Ottobre 2024, 14.29.22
10
Perfetto, affascinante, incanta dall\'inizio alla fine. \"And the druids turn to stone\" su tutte.
Aceshigh
Giovedì 30 Novembre 2017, 20.24.57
9
The Dream Sequencer , insieme al suo gemello Flight of the Migrator, sono a mio avviso il massimo sin qui offerto da Lucassen. Non riesco a scindere i due capitoli di Universal Migrator, sono l'uno l'esatto negativo dell'altro, sia musicalmente che drammaturgicamente; il primo è il viaggio di andata, il secondo quello di ritorno... Ho proprio bisogno di sentire questo album ogni tanto! Me lo sono acchiappato pure in vinile color porpora! Innumerevoli momenti indimenticabili, il mio personale "top" è il solo di slide guitar di One Small Step... Da ascoltare tutto a luci spente. Per me massimo dei voti!
matto666
Giovedì 21 Settembre 2017, 22.11.19
8
Ogni album partorito da questo genio è un capolavoro.
ayreon
Lunedì 4 Settembre 2017, 22.40.06
7
il pezzo cantato dal tipo dei tiamat è qualcosa di troppo cupo e dark,fantastico
sadwings
Lunedì 4 Settembre 2017, 11.05.20
6
personalmente è il lavoro che preferisco di più degli ayreon. Trovo già inferiore la seconda parte meno particolare. 90
Kurujai
Lunedì 4 Settembre 2017, 10.07.05
5
amo questo disco . the shooting company... è meraviglisa e che dire di the last men... ? preferisco anche io questa prima parte alla seppur ottima seconda parte
ayreon
Domenica 3 Settembre 2017, 12.40.26
4
e che dire del pezzo cantato da neal morse,sembra una cosa dei migliori beatles,a me piace tanto quanto la parte più metal,dove li' svetta "dawn of a million soul" del sir alllen
Rob Fleming
Sabato 2 Settembre 2017, 19.05.21
3
Mi è sempre piaciuto più della sua seconda parte. Forse perché qui c'è And the druids turn to...che per me è un capolavoro pazzesco. 80
galilee
Sabato 2 Settembre 2017, 15.09.48
2
Bello bello, come il successivo, ma le influenze power mi rompono la scatole. Il progetto lo piazzò in ultima posizione tra tutti i dischi di Ayreon. I meno riuscito sicuramente. Ah gli ultimi due mi mancano...
ayreon
Sabato 2 Settembre 2017, 11.31.50
1
è da 100 e basta,non un voto in meno
INFORMAZIONI
2000
Transmission Records
Prog Rock
Tracklist
1. The Dream Sequencer
2. My House on Mars
3. 2084
4. One Small Step
5. The Shooting Company of Captain Frans B.Cocq
6. Dragon on the Sea
7. Temple of the Cat
8. Carried by the Wind
9. And the Druids Turn to Stone
10. The First Man on Earth
11. The Dream Sequencer Reprise
Line Up
Arjen Lucassen (Voci, Chitarra, Basso, Hammond, Tastiera, Synth e Mellotron)

Musicisti Ospiti:
Johan Edlund (Voce)
Floor Jansen (Voce)
Lana Lane (Voce)
Edward Reekers (Voce)
Mouse (Voce)
Jacqueline Govert (Voce)
Damian Wilson (Voce)
Neil Morse (Voce)
Mark McCrite (Voce)
Erik Norlander (Tastiera, Vocoder, Synth e Piano)
Clive Nolan (Tastiera)
Peter Siedlach (Archi)
Rob Snijders (Batteria)
 
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