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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Ayreon - The Human Equation
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( 11598 letture )
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PREMESSA The Human Equation è un capolavoro. Cosa avvalora questa tesi? Tanti, tantissimi elementi; il più importante è forse il tempo. Valutare un disco come questo nel 2013 pone chi deve recensire davanti a un’opera ormai passata alla storia e saldamente inscritta nel monumento al progressive metal. Si potrebbe anche osare, parafrasare Camilleri parlando di un carico da undici e dicendo che questo sia il miglior lavoro di Arjen Lucassen; a voi la sentenza. Ayreon è il progetto principale di un musicista olandese che usualmente adora circondarsi delle voci più in auge del panorama metallico contemporaneo col fine di creare grandi opere. Il format è di quelli bombastici tipo Avantasia e compagnia bella; le premesse qui erano alle stelle, ai tempi, e furono rispettate andando ampiamente oltre. Il disco è incentrato su un incidente e sulle emozioni/persone che circondano il protagonista mentre è in coma (ogni cantante ne rappresenta una); la trama è ricca di colpi di scena e basata totalmente su un viaggio introspettivo. Sono venti le tracce che compongono l’opera, venti come i giorni di durata della trama che è ovviamente suddivisa in due dischi.
L’EQUAZIONE UMANA – PRIMA PARTE La prima traccia consiste in una breve intro che ancora non lascia trasparire niente di ciò che sta per succedere. Con la seconda si fa dannatamente sul serio e ci si presenta un duetto LaBrie - Akerfeldt che mette subito le cose in chiaro; l’apertura ha un incedere lento e distorto con un Hammond invadente, il prosieguo è ancora meglio con la particolarissima voce di Eric Clayton che accompagna il protagonista. In questo disco c’è da sottolineare la grande prestazione di James LaBrie al microfono: qui si esplorano range decisamente consoni al cantante americano, che si rivela una scelta azzeccatissima e un vero e proprio valore aggiunto a qualcosa che comunque avrebbe brillato di luce propria. Il ritornello è stellare e totalmente al femminile; la forma canzone viene mantenuta e proseguita con cori di grande valore. E del bridge acustico vogliamo parlare? Pura magia accompagnata da strumenti a fiato e da un’Heather Findlay che vorreste al vostro capezzale a cantarvi cotanta bellezza. Lo stacco qui è totale e parte un solo di sampler che sembra preso in prestito direttamente da Dark Side Of The Moon; poi vai con un solo e un bridge che sa tantissimo di anni 70, il tripudio è completo e si conclude col ritornello in maniera spettacolare. Il giorno tre vede la comparsa di zio Devin; è noto e arcinoto che lui non canta mai in melodie che non ha composto, il ritornello possiamo tranquillamente considerarlo come farina del suo sacco a tutti gli effetti e si sente. Il pezzo passa da dimensioni oniriche a livello di strofa ad un refrain che più solare non si può: l’effetto è spettacolare, incredibilmente ed oggettivamente magnifico. Il finale con chitarre acustiche, strumenti a fiato, violini e voci femminili è da tramandare ai posteri. Il pezzo successivo offre una prima parte acustica con i cantanti che si cercano e si rincorrono in maniera semplice ed evocativa; l’apertura rimane su lidi prog rock con le tastiere in perenne evidenza, vero marchio di fabbrica di Arjen. Il sapore del pezzo è quello del prog di varie decadi fa, però con una produzione moderna e molto pompata; può piacere come non piacere, ma l’effetto è garantito. Gli stacchi centrali mandano l’ascoltatore in visibilio e traghettano le nostre orecchie verso la ripresa dei temi portanti ed il giorno successivo, che si apre con chitarre acustiche, violini, strumenti a fiato e Magnus Ekwall che sfoggia una linea vocale da brividi. Mentre le emozioni si sprecano, il pezzo si distorce e si arzigogola in una serie di umori con una resa piuttosto imprevedibile. L’assolo è composto da pochissime note ma è azzeccato al massimo; quando poi si riprende il tema iniziale a stento si trattengono le lacrime. Vi dice niente il nome Psychotic Waltz? Se sì, allora probabilmente saprete già che qui canta anche il signor Devon Graves; in caso contrario il consiglio è di recuperare al più presto i lavori della sua band. La sesta traccia si apre in maniera piuttosto criptica e ovattata, con melodie e suoni onirici e un incedere privo di batteria; siamo in una dimensione diversa rispetto a ciò che abbiamo ascoltato finora, sembra quasi un pezzo di passaggio, di transizione ma comunque con una sua valenza. Di diverso impatto è invece la seconda parte, in cui il tutto decolla rimanendo comunque sul target impostato poco prima. Sembra quasi una melodia estrapolata da The Final Experiment, e non è di certo un difetto. Hope ha un riff di tastiera memorabile ed è permeata a sprazzi dalla grande passione che Arjen ha per i Beatles: è una canzone piuttosto semplice e con un minutaggio consono appunto alle produzioni della band inglese più famosa. Il finale è stratosferico, quell’alternanza di distorti al tema portante dura poco ma è meravigliosa. L’ottavo giorno è aperto da Akerfeldt e da una chitarra acustica; il ritornello è ad opera di Devin e si riconosce lontano un chilometro. Un ascoltatore attento lo stacco netto tra il modo di comporre del canadese e quello dell’olandese lo nota quasi subito, ma nel complesso tutto comunque funziona bene. La forma canzone è mantenuta in maniera classica e senza troppi arzigogoli di fondo; il ponte scoperchia il tetto della vostra casa in maniera a tratti epica, in altri oscura, in altri ancora solare; poi un breve inciso riporta all’ottimo ritornello e alla successiva giornata che si offre in maniera totalmente strumentale per poco più di due minuti allegri con brio. Passiamo direttamente alla decima traccia, che si rivela l’ennesimo momento riuscito, in un contesto in cui di non riuscito non c’è praticamente nulla; non parliamo di una canzone memorabile ma di un buon pezzo di transizione con melodie ariose e solari. È decisamente migliore la conclusione del disco che è stellare sotto tutti i punti di vista, in particolare il ritornello che offre pura potenza e facilissima presa.
Ci si potrebbe a questo punto aspettare un calo o comunque la presenza di qualche filler; invece il secondo disco è addirittura migliore del primo ed offre una sfilza di perle di inenarrabile bellezza! Andiamo a vedere.
E LE DONNE? Già, e le donne? Vogliamo dimenticarci di loro? Irene Jansen (sorella della più famosa Floor), Heather Findlay (Mostly Autumn) e Marcela Bovio sono nomi di tutto rispetto e qui offrono una prestazione maiuscola sotto tutti i punti di vista. È cosa nota e arcinota che Arjen abbia la tendenza ad ospitare in Ayreon anche dei perfetti sconosciuti: qui fu la volta di Marcela, direttamente chiamata alla armi in seguito all’ascolto di un suo demo da parte dell’olandese. Evidentemente gli piacque davvero tanto, visto che poco tempo dopo fondò gli Stream Of Passion con lei al microfono.
L’EQUAZIONE UMANA – SECONDA PARTE Il secondo cd si apre col dodicesimo giorno; volete una chicca? L’intro al pezzo è suddivisa in undici tracce, messe apposta per iniziare sul numero dodici, appunto. Qui non è lasciato niente al caso, neanche un becero dato numerico. La traccia è veramente lunga (oltre nove minuti), ma non è di certo un problema. Si apre con voci e tastiere dall’aspetto evocativo e straniante con un Eric Clayton decisamente convincente. Un breve stacco in growl e il pezzo si scopre in tutta la sua ariosità, tra cori sul felice andante e rockeggianti alla massima potenza. L’intermezzo vocalmente femminile è potente e dà il giusto pathos al tutto; ottimo il solo seguente di sample e chitarra. La forma canzone si ripete e non potrebbe essere altrimenti; presto, però, si assiste ad un imprevedibile e drastico cambio di umore in cui fanno da padrone tinte oscure e decadenti, quasi doom. Molto buona qui la prova di Mikael Akerfeldt, che indora la pillola anche con qualche growl. Quando arriva Magnus Ekwall si apre il cielo per un attimo prima del ritorno all’oscuramento generale; quest’ alternanza fa veramente paura, è clamorosamente bella. Si conclude così, con un pelino di amaro in bocca per un pezzo che si vorrebbe non finisse mai. Il tredicesimo giorno si apre con un flauto, e inizia così una fase di veri e propri capolavori sonori. È bellissima la linea vocale cantata da Heather: ha un che di medievaleggiante e fa decisamente sognare l’ascoltatore. L’apertura di sola chitarra elettrica poi supportata dal violino è semplicemente da brividi, assieme all’entrata di Marcela e il proseguo di James; Sign è un pezzo stellare. Pride continua uno stato di grazia che ha dell’irreale, non si scherza davvero più e qui ci sono le prove. Ci si assesta su lidi distorti e progressive metal in un’orgia di colori che fa quasi gridare al miracolo; anzi, al minuto 1.56 il quasi lo possiamo anche togliere con uno stacco di strumenti a fiato che sembra direttamente preso dalla colonna sonora di un cartone animato della Disney. L’assolo di chitarra è oscenamente bello; si riprendono quindi i temi portanti con l’aggiunta di un ponte e il finale vi porta tranquillamente a voler riascoltare il pezzo altre 150 volte prima di proseguire. Il quindicesimo giorno è musicalmente abbastanza interlocutorio e probabilmente di passaggio a causa di esigenze di trama: le voci si alternano come al solito contornate dalle tastiere e arricchite da stacchi di pura musica classica ed elettronica. Non siamo ai livelli dei pezzi precedenti (tranne il ponte) ma ascoltiamo comunque con piacere, ben consci che un altro capolavoro potrebbe essere dietro l’angolo. E infatti arriva puntuale ciò che potrebbe essere considerata come la canzone più bella del disco: Loser,decisamente devastante e di una perfezione stilistica raramente riscontrabile al giorno d’oggi. Ha un che di country, di metal, di folk e di qualsiasi altra cosa vogliate vederci; è un pezzo che trascina fin dal primo ascolto e con una melodia che definire azzeccata significherebbe tendere al ribasso. E che dire del finale in scream ad opera di zio Devin? Roba da tramandare ai posteri. Il diciassettesimo giorno sfoggia un pezzo piacevole e rockeggiante che onestamente non regge (e come potrebbe?) il confronto col tripudio appena ascoltato; probabilmente ha il solo difetto di essere collocato dopo Loser, si difende comunque bene e si lascia ascoltare con piacere. Precisiamo che il livello qualitativo è comunque buonissimo e non stiamo di certo parlando di filler: in The Human Equation non ci sono filler. Realization riporta il disco oltre la stratosfera e lo fa con un retrogusto settantiano a base di Hammond, flauti, distorsioni e chi più ne ha più ne metta; nel momento in cui si inizia a percepire un possibile andazzo strumentale, ecco il delirio: stacco di chitarra col wah wah e tema ripreso da una buona decina di strumenti; l’effetto è mostruoso assieme alla ripresa del tema portante e al successivo alternarsi di praticamente tutti i cantanti presenti: qui scende la lacrimuccia e non resta che ascoltare allibiti. Il disco avrebbe anche potuto finire qui e nessuno si sarebbe lamentato! C’è invece ancora tempo per un paio di pezzi: Disclosure scorre benissimo ma senza picchi importanti da segnalare. Confrontation conclude l’opera in maniera più che dignitosa ma non epocale: un po’ per esigenze di trama e un po’ a causa dei suoi ingombranti predecessori nella tracklist. Quello che succede a questo punto è uno strano pizzicore alle dita che inevitabilmente porta al reinserimento del primo disco nel lettore per rincominciare il viaggio un altro migliaio di volte. È inevitabile.
The Human Equation è un disco bellissimo, a larghi tratti decisamente memorabile e che non dovrebbe mancare nella discoteca di qualsiasi amante del prog per nessun motivo. Le ragioni sono tante, tantissime e sono state spiegate in maniera esaustiva; se non siete ancora convinti provate lo stesso a dargli un’opportunità, la merita.
CURIOSITÀ Concludiamo in maniera un po’ atipica con alcune informazioni più o meno interessanti.
James LaBrie partì per una ventina di minuti di jogging prima delle registrazioni e tornò un’ora dopo perché si perse, fu Arjen ad andare a cercarlo in macchina. In seguito al reclutamento di Marcela Bovio, Arjen fu sommerso di doni provenienti dal Messico (la cantante è messicana). Arjen chiese un’improvvisazione a Mikael Akerfeldt alla fine delle registrazioni; gli altri cantanti intonarono una splendida e soave melodia mentre lo svedese se ne uscì con un scream ferocissimo che allibì i presenti. Zio Devin di primo acchito non volle partecipare al disco, proprio per la sua propensione a non interpretare testi e melodie scritte da altri. Il compromesso fu appunto il contrario, gli fu dato carta bianca e si sente. Cosa impressionò Arjen? Sex And Religion e ovviamente Terria. La pronuncia della parola world da parte di Devon Graves ad Arjen ricordava quella di John Lennon. Eric Clayton non dormiva da 24 ore quando arrivò in Olanda (causa jet lag in particolare); volle comunque registrare e incise più della metà delle sue parti!
Siete ancora qua? Filate a comprare The Human Equation! Passo e chiudo.
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19
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Aggiungo, e non voglio denigrare nessuno, che se questa è una rock opera (di metal c\'è poco) quella di Riccardo Cocciante è nettamente migliore dal punto di vista compositivo |
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18
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Molto carino e stop, sopravvalutato per il resto. Nessuna innovazione musicale, molto furbo. |
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17
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Quoto al 100% il commento di Toni: lunghi silenzi intervallati da esplosioni di rumore. Forse definire rumore questa musica è scorretto, ma il fatto è che avendo acoltato "The Wall" dei Pink Floyd ed uno qualsiasi degli album dei Symphony X non vedo valori compositivi all'altezza. Ascoltato l'album parecchie volte. Tecnica (ma neanche troppa) e zero emozioni. Hail ! |
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16
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Eccellente concept che fonde le due anime (quella prog rock e l'altra prog metal) del precedente progetto degli Universal Migrator (con la bilancia che pende più dalla parte di The Dream Sequencer), ma che a mio avviso a livello musicale rimane un gradino sotto i suddetti album. Comunque sia un'opera d'arte, come tutto ciò che è uscito sotto il monicker Ayreon. Voto 87 |
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15
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album sopravvalutato. si basa esclusivamente sull'alternanza di calma/acustico e tensione/distorto, un espediente che si ripete per tutto l'album. stranamento ho gradito di più le parti più acustiche; negli episodi più metallici i riff sono davvero banali e scontati. Ho ascoltato di meglio |
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14
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Uno dei migliori album mai prodotti nella storia della musica, non solo progressive. |
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13
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Un'opera teatrale in formato prog metal. Concept coinvolgente. Interpreti strepitosi. Musica megalitica. Ma che vuoi di più? Capolavoro mai prima né poi replicato dal buon Lucassen. 100. |
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12
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Semplicemente uno dei migliori concept album della storia del progressive, sia per la storia che per la musica. Ci sono influenze praticamente da tutto: musica classica, hard rock, heavy metal, dream pop, progressive metal, avantgarde music, momenti acustici, ... 98. |
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11
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n realtà in termini prettamente obiettivi penso che un 83 sia il suo voto (75 per il cd1 e 90 per il cd 2), ma questo cd ha un pregio assoluto. Ricordare al mondo che ci sono due cantanti come Eric Clayton e Magnus Ekwall (The Quill rules!). E così il voto aumenta...aumenta...aumenta... 85 |
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9
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La recensione in contrasto con l'altra sembra addirittura troppo lusinghiera hahaha! Comunque mi è piaciuta molto la parte delle curiosità, grazie Waste! |
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8
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è un capolavoro punto e basta |
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7
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Che dire, sono felice di vedere che pur mantenendo un grande rispetto per i redattori, presenti o passati, le alte sfere si rendono conto che certe cose sono proprio improponibili! Prima o poi ripensate anche a Lurking Fear dei Mekong Delta  |
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6
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Una recensione che rende gustizia(finalmente!) a questo capolavoro prog! Probabilmente il lavoro migliore di Lucassen, non ci si stanca mai di ascoltarlo. |
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5
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La recensione di prima era uno scherzo per provare la nostra sensibilita' difronte ad un CAPOLAVORO del genere.,.,.,., "InUmAnO",, grazie al recensore,.,.,.,.,,.,.., HTEPO, |
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4
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E' uno dei dischi più belli che abbia mai sentito. Punto e basta. 99. |
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3
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Capolavoro assoluto... la precedente recensione era davvero troppo fuori dal mondo... |
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2
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Grazie!! Ora si ragiona!! XD |
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1
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A grande richiesta, ecco a voi il rifacimento di questa recensione. Buona lettura! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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CD1 1. Day One: Vigil 2. Day Two: Isolation 3. Day Three: Pain 4. Day Four: Mystery 5. Day Five: Voices 6. Day Six: Childhood 7. Day Seven: Hope 8. Day Eight: School 9. Day Nine: Playground 10. Day Ten: Memories 11. Day Eleven: Love
CD2 12. Day Twelve: Trauma 13. Day Thirteen: Sign 14. Day Fourteen: Pride 15. Day Fifteen: Betrayal 16. Day Sixteen: Loser 17. Day Seventeen: Accident? 18. Day Eighteen: Realization 19. Day Nineteen: Disclosure 20. Day Twenty: Confrontation
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Line Up
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Arjen Lucassen (Chitarra, Basso, Mandolino, Lap Steele Guitar, Tastiere, Sintetizzatori, Hammond, Voce [Best Friend]) Ed Warby (Batteria)
Musicisti Ospiti: James LaBrie (Voce [Me]) Mikael Akerfeldt (Voce [Fear]) Eric Clayton (Voce [Reason]) Heather Findlay (Voce [Love]) Irene Jansen (Voce [Passion]) Magnus Ekwall (Voce [Pride]) Devon Graves (Voce [Agony]) Marcela Bovio (Voce [Wife]) Mike Baker (Voce [Father]) Devin Townsend (Voce [Rage]) Robert Baba (Violino) Marieke Van Der Heyden (Violoncello) John McManus (Flauto) Jeroen Goossens (Flauto) Joost Van Der Broek (Synth) Martin Orford (Synth) Ken Hensley (Hammond) Oliver Wakeman (Synth)
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