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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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16/02/2018
( 1534 letture )
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Quinto album per gli svedesi RAM che, con il loro inossidabile heavy metal fortemente legato alla tradizione eighties, ci propongono da oltre dieci anni il loro credo. La ricetta del gruppo di Gothenburg è ormai nota, tanto che i RAM hanno ormai uno zoccolo duro di fans duri e puri devoti ad un heavy metal cristallino fatto di riff famigliari ma sempre esaltanti, assoli taglienti su dei mid-tempos gloriosi, il tutto ovviamente senza mai rinnegare la melodia. Insomma, il classico del classico, a tratti certamente un po’ derivativo e pieno zeppo di citazioni di rimando ai grandi pilastri del metal europeo, Judas Priest su tutti, ma complessivamente non scontato e soprattutto suonato con estrema convinzione e passione. I RAM ci sanno fare e lo dimostrano per la gioia di tutti gli estimatori della tradizione anche con questo nuovo album dalla bella copertina dai toni rossastri. Rod presenta la consueta formazione, nella quale emerge la carismatica figura del biondo cantante Oscar Carlquist, ottimamente coadiuvato dalla coppia d’asce composta da Harry Granroth, il fondatore del gruppo, e Martin Jonsson, unitosi alla band da ormai un lustro. I tre, insieme a Tobias e Morgan Petterson, rispettivamente al basso e alla batteria, completano una line up che nel corso degli anni è riuscita a essere piuttosto stabile, ben affiatata ed unita, caratteristica che si percepisce durante l’ascolto.
Rod, strutturato essenzialmente in due sezioni distinte, la prima formata da quattro pezzi e la seconda da una suite composta in sei parti, inizia con l’oscura Declaration of Independence, un pezzo che riesce a scaldare a dovere l’atmosfera grazie alla voce graffiante di Oscar Carlquist. Ma è con la successiva traccia che la band mostra il meglio di sé: On Wings of No Return è infatti un brano ispirato e trascinante, di cui è stato girato anche un videoclip davvero divertente in quanto a pacchianeria e sarcasmo. Il brano è invece una cavalcata arrembante in cui la semplice melodia conduce al trascinante refrain centrale perfetto per le esibizioni live, e completa il tutto un assolo dai toni priestiani. Come per la precedente, anche per Gulag è stato prodotto un video promozionale, nello specifico un lyrics video; il brano, che tocca delle interessanti tematiche politiche, si struttura su un mid tempo ipnotico tanto semplice quanto efficace e vede anche qui nel refrain centrale il maggior pathos. Cosa che invece non possiamo dire di A Throne at Midnight, che non mostra particolari qualità, ma scorre via senza colpo ferire. È con la successiva Ramrod the Destroyer che il gruppo svedese si cimenta in una ambiziosa suite composta in sei parti. Dopo un’intro dal tono sulfureo, Pt. 2: Ignitor regala un pezzo coinvolgente con un ottimo lavoro delle chitarre che tessono intricate melodie, caratteristiche che si ripetono per tutti i restanti brani della suite, dimostrando l’intento riuscito della band di provare anche qualcosa di più articolato, con diversi cambi di tempo e parti melodiche, a dimostrazione di una certa maturità e volontà di trovare soluzioni più ricercate e personali. Incinerating Storms, preceduta da un’intro malefica, fa emergere l’aurea di King Diamond, per un brano tiratissimo che vede Oscar Carlquist sempre protagonista. Come il sereno dopo una tempesta, chiude il tutto la strumentale Ashes, che sposta ben poco nell’economia complessiva del disco.
I RAM, quindi, con questo Rod hanno certamente confermato e ulteriormente consolidato la loro posizione di riferimento tra le nuove band di heavy metal classico. Come da aspettative, l’album non mostra particolari varianti al classico suono della band, che rimane saldamente ancorato ai dogmi dei mostri sacri del passato, ma lo attualizza, grazie anche ad una produzione contemporanea buona sotto ogni punti di vista. Pertanto si tratta di un disco assolutamente consigliato a tutti gli estimatori dell’heavy old school.
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1
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stile RAM inconfondibile al 100%. Il termine derivativo mi è sempre stato antipatico e troppo soggetto a essere citato al giorno d'oggi, non ha senso di esistere, perchè allora anche le band poco dopo l'inizio degli anni ottanta lo sono. La band di Oscar (un personaggio) ha una personalità sua e forte con la sua presenza e voce tagliente fa un altro centro con questo ROD di una band ormai consolidata da anni che non ha bisogno di presentazioni per gli amanti dell' heavy metal e soprattutto una delle migliori band e prime band uscite a fine novanta-inizio duemila dell'attuale movimento di metallo tradizionale in terra scandinava svedese. Visti, stravisti e rivisti in sede live, mi hanno sempre fatto scapocciare come un matto e per me sono una garanzia attuale e futura nell'underground. Da quando li scoprii ci sono affezionato. Sicuramente quest'altro lo comprerò. Disco più che buono. 80 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Declaration of Independence 2. On Wings of No Return 3. Gulag 4. A Throne at Midnight 5. Ramrod the Destroyer, Pt. 1: Anno Infinitus 6. Ramrod the Destroyer, Pt. 2: Ignitor 7. Ramrod the Destroyer, Pt. 3: The Cease to Be 8. Ramrod the Destroyer, Pt. 4: Voices of Death 9. Ramrod the Destroyer, Pt. 5: Incinerating Storms 10. Ramrod the Destroyer, Pt. 6: Ashes
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Line Up
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Oscar Carlquist (Voce) Harry Granroth (Chitarra) Martin Jonsson (Chitarra) Tobias Petterson (Basso) Morgan Petterson (Batteria)
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