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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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11/08/2023
( 1042 letture )
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Inscalfibili, solidi come il totem di rocce visto nella copertina di Blood & Stone e per nulla intenzionati a rompere quel patto di musica e fratellanza stretto ormai da più di venticinque anni. Marchio di indubbia affidabilità, poche chiacchere e tanti fatti: non servono perifrasi o ghirigori nel descrivere i Sevendust e men che meno al traguardo del quattordicesimo album in studio, cifra record alla quale si può avvicinare solo un ristretto numero di colleghi del settore alternative. Ferrea dedizione, umiltà, rispetto e massimo impegno nel proprio lavoro sono i quattro ingredienti che hanno garantito una qualità discografica costantemente imperniata su livelli medio-alti, dagli esordi sporchi di post-thrash/groove (Sevendust, 1997) al trittico dorato Home-Animosity-Seasons arrivando infine ad All I See Is War e Blood & Stone, recenti testimonianze di uno stato di salute a dir poco invidiabile. Non hanno mai goduto dei riflettori principali e non si sono mai fregiati dell’etichetta di big, eppure se venisse inaugurato il titolo di “campioni della seconda fascia nu/alternative metal” loro se lo meriterebbero senza discutere vista la qualifica di ottimi pesi medi associata al genere di appartenenza.
Il discorso introduttivo non fatica ad estendersi anche al nuovo Truth Killer (il cover artwork ricorda il video di Here to Stay dei Korn), prima uscita sotto Napalm Records e terza stretta di mano in cabina di regia con Michael “Elvis” Baskette (Alter Bridge, Tremonti, Chevelle), fido alleato ormai da un quinquennio. In accordo con il producer, i 7D del 2023 “osano” ritoccare i tradizionali arrangiamenti colorandoli mediante una presenza elettronica maggioritaria comunque ben dosata e in grado di inserirsi con naturalezza all’interno del familiare tessuto alternative metal: è questo il principale spunto inedito di un disco altrimenti forgiato nello stile classico della band, da sempre in rimarchevole equilibrio fra limpide melodie canore e un possente bagaglio ritmico dispensato da chitarre nu/alternative e da una batteria solida come dura pietra.
In verità, rimanendo in tema di abitudini, chi si aspettava un'opener dal tiro micidiale sulla falsariga di T.O.A.B. o Dying to Live avrà di che sbigottirsi: I Might Let the Devil Win infatti corre leggiadra su un tappeto synthetizzato emanando dolcissimi profumi soul, regalo di un Lajon Witherspoon caldo e avvolgente fin dalla prima nota toccata. La porta di casa viene riaperta dalla title-track, alternative metal che spicca il volo nei refrain siderali e scuote la terra nel brusco atterraggio dato da un breakdown iper-compresso macchiato dalle harsh vocals. È quello che volevamo sentire? Assolutamente sì e con la bussola ora puntata a nord la strada che si para davanti al nostro cammino rivela tutta la sua chiarezza: l’irresistibile melodic alternative di Won’t Stop the Bleeding (Lajon al solito un gigante, i contro-cori di Rose, un breve assaggio di lead guitar), le critiche al vetriolo di No Revolution, i fendenti della tesa e “negativa” Sick Mouth e la caparbietà melodica di una Everything sfoggiante uno dei ritornelli migliori della partita. Dunque, si pesca bene in ogni caso e nella seconda metà della tracklist, nonostante i brani risultino un filo più leggeri (ad eccezione del numero dodici), il minimo comun denominatore per nostra fortuna non cambia e lo si nota fin dalla garbata armoniosità di Holy Water, sublimata dall’ennesimo refrain di grande caratura. A qualche metro dal suolo veleggia anche la luccicante eleganza di Leave Hell Behind (le backing vocals in scream non possono danneggiarne il candore), Superficial Drug lascia invece trasparire un maturo gusto “radio-rock” nelle linee vocali e, dopo la scioglievole Messenger, l’alternative metal reclama lo spazio conclusivo in Love and Hate (da sforbiciare giusto di un minuto, però il chorus tirato fuori da Lajon è una prelibatezza) e soprattutto in Fence, 100% Sevendust nei riffoni macina-groove, nei botta e risposta non accomodanti di Rose e nelle melodie panoramiche del frontman, una combinazione ideale che non stanca mai i fan del gruppo di Atlanta.
Era prevedibile, ma anche Truth Killer supera l’esame a pieni voti rafforzando (come se ce ne fosse bisogno) la validità di una line-up che deve necessariamente essere riconosciuta come un punto fermo dello scacchiere alternative metal. Altre dodici canzoni di notevole fattura, l’instancabile affiatamento dei musicisti e la solita performance da incorniciare del main leader (uno dei più sottovalutati in campo metal) rendono l’ascolto del quattordicesimo sigillo pressoché obbligato e, non essendoci difetti evidenti, ha ragione Lajon quando in Everything dice:
I won’t change a fucking thing.
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5
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Stima e simpatia totali ma a mio parere siamo nel campo del sentito uno sentititi tutti in questa seconda fase di carriera, andare oltre il 60 non è possibile. |
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1
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È qualche anno ormai che non li seguo. La recensione mi ha invogliato. Ascolterò con piacere. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. I Might Let the Devil Win 2. Truth Killer 3. Won’t Stop the Bleeding 4. Everything 5. No Revolution 6. Sick Mouth 7. Holy Water 8. Leave Hell Behind 9. Superficial Drug 10. Messenger 11. Love and Hate 12. Fence
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Line Up
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Lajon Witherspoon (Voce) Clint Lowery (Chitarra, Cori, Programming) John Connolly (Chitarra, Cori) Vinnie Hornsby (Basso, Cori) Morgan Rose (Batteria, Cori)
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RECENSIONI |
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