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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Gary Moore - Victims of the Future
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18/05/2024
( 1193 letture )
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Siamo agli inizi degli anni 80, quando per l’ennesima volta l’inqueto e irascibile Gary Moore decide di dar nuova vita alla sua carriera solista, temporaneamente accantonata alla fine del decennio precedente per approdare ai lidi di band come i Colosseum II, ma soprattutto dei mai troppo lodati Thin Lizzy dell’amico Phil Lynott; con questi ultimi in particolare registrerà lo splendido Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend, disco fondamentale, che come la band stessa, non ha mai goduto del meritato successo, soprattutto commerciale. Dicevamo…essendo per definizione uno spirito libero, Gary Moore ha sempre mal sopportato i compromessi che possono presentarsi in una band, soprattutto se la band in questione non era la “sua”, per cui decide di ripartire da capo nel 1982 circondandosi di musicisti da curriculum decisamente stellato e consolidato, ovvero Neil Murray e Ian Paice, in quel momento in forza ai Whitesnake di Coverdale, ma temporaneamente in pausa ed il tastierista Tommy Eyre. Trovata la quadra, la band pubblica lo stesso anno il seminale Corridors of Power, il quale oltre ad avere un buon riscontro commerciale, mette in mostra una band con una forte ispirazione. Proprio per non sprecare questo momento propizio a livello di ispirazione, il nostro decide di tornare in studio per dare velocemente un seguito a Corridors of Power; nasce così Victims of the Future, vera e propria bordata hard n’ heavy che fotografa Gary Moore in uno dei suoi momenti di massimo fulgore, e che farà da apripista a successivi capolavori che arriveranno da lì a pochissimi anni.
Hard n’ heavy, ebbene sì: mai come in questo periodo il chitarrista riuscirà a bilanciare al meglio due delle sue anime più note, ovvero quella melodica e quella metallica, mettendo temporaneamente in ombra quella più preponderante, ovvero quella blues, praticamente assente nella decade Eighties. Melodie sognanti e riff di chitarra affilati come rasoi, una voce non perfetta tecnicamente, ma sicuramente pregna di anima e pathos e, infine, una produzione asciutta che valorizza tutto l’ensemble, questa è la ricetta di Victims of the Future. Quello che possiamo asserire con assoluta certezza e senza paura di essere sconfessati, è che l’album parte con il botto, con un pezzo magnifico che ancora oggi rappresenta in maniera chiara ed inequivocabile chi era Gary Moore, ovvero un genio della sei corde, un chitarrista dal gusto sopraffino e dalla tecnica eccezionale, sempre però messa a servizio della musica, e mai fine a se stessa. Stiamo parlando infatti della titletrack, Victims of the Future, la quale comincia con un meraviglioso leak di chitarra che introduce un cantato melodico a cui fa tappeto un bell’arpeggio; tempo di assaporare il tutto ed il nostro cambia completamente le carte in tavola, trasformando il pezzo in un mid-tempo epocale creato sopra ad un riff semplice ma decisamente quadrato ed efficace; anche dal punto di vista delle strofe e dei ritornelli, nonostante Moore non sia un cantante nel termine tecnico del termine, se la cava più che egregiamente, colorando in maniera molto personale il tutto, oltre a dimostrare di avere gusto anche dal punto di vista metrico. La canzone fila via che è un piacere fino ad arrivare al suo zenith, ovvero il momento del solo, dove l’elfo irlandese sfodera tutta la sua classe dando libero sfogo alla sua Les Paul, e dimostrando di non temere il confronto con nessuno. Nonostante Victims of the Future sia un pezzo fantastico, che qualunque musicista vorrebbe aver scritto almeno una volta, si rivelerà (fortunatamente) non essere un episodio isolato all’ interno del disco. Basta infatti ascoltare Empty Rooms e Murder In the Skies per capire esattamente cosa voglia intendere con questa affermazione; canzone lenta e delicata la prima, un ballad struggente costruita su delle armonizzazioni di chitarra che definire sublimi è riduttivo, e completata da un’ottima prestazione vocale di Moore, che con la sua voce “maleducata” riesce a trasmettere grande feeling e pathos, ed incorniciata da un solo stellare dove la melodia la fa da padrone. (nda. appena due anni dopo, nel 1985, Moore riproporrà la canzone su Run For Cover, in una forma leggermente più elettrica e con maggiori arrangiamenti tastieristici). Da tutt’altra parte siamo invece con Murder In the Skies: il pezzo inizia con un solo indiavolato dove Moore da libero sfogo alla sua Les Paul, per poi evolvere in un mastodontico pezzo dalla struttura heavy metal e dall’andamento cavalcante, forgiato su un riff affilatissimo; assolutamente indovinate le strofe, così come il ritornello, per non parlare del solo che tra velocità e precisione, lascia senza parole: un classico senza tempo! Altri episodi assolutamente notevoli risultano essere Hold On to Love, pezzo dalla natura strettamente AOR che non avrebbe sfigurato all’interno della discografia dei Journey d’annata, sia per scelte cromatiche di sonorità, che per i fraseggi di chitarra utilizzati, che molto richiamano quelli di Neal Schon, e la conclusiva ed ipnotica The Law of the Jungle, pezzo di oltre sei minuti dall’andamento cadenzato e marziale in cui il nostro, oltre a impacchettare l’ennesima ottima prova di chitarra, si diverte a giocare con gli effetti della voce, creando una serie di effetti a tratti stranianti. Da segnalare per completezza di informazione, la presenza di una versione ipervitaminizzata di Shape of Things degli Yardbirds, il cui risultato è sicuramente apprezzabile, ma che di fatto rimane un divertissement del chitarrista irlandese. Nonostante non si possa parlare apertamente di filler o canzoni decisamente deboli, risultano comunque pezzi marginali la scanzonata Teenage Idol, semplice nell’esecuzione e nel risultato, che ha però dalla sua un gran bel riff portante, anche se molto classico, e la “kissiana” All I Want, che come anticipato ricorda molto per mood e struttura, le cose tipiche della versione smascherata Bacio primi anni Ottanta.
Tirando le somme, Victims of the Future è un disco dal valore storico artistico veramente enorme, il cui ascolto è obbligatorio per chiunque dica di amare la buona musica, un disco da rimettere su lettore ottico ciclicamente, anche solo per ricordare ed omaggiare un grandissimo talento come Gary Moore, un disco da consigliare apertamente a chi ancora non lo conosce ed ha buoni gusti musicali. Vi ringrazieranno sentitamente e vi farete sicuramente dei nuovi amici!!
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9
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Disco della madonna .... Gary Moore mostruoso!!! Ho avuto la fortuna di vederlo in Germania nel 1984 a Karlsruhe al Monster of rock!!!! |
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7
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Album bellissimo! Il precedente Corridors of Power secondo me è anche un pelo superiore, ma è una questione di gusti e comunque disquisizione che lascia il tempo che trova, perché alla fin fine da Back in The Streets in poi per almeno una quindicina di anni, per un motivo o per un altro, tutti i suoi album sono da avere. La title-track e Empty Rooms già da sole bastano a rendere speciale (anche) questo disco. Quanto a Gary Moore chitarrista, poco da dire: quando tecnica, classe e feeling sono fuse in un così perfetto equilibrio… è veramente difficile trovare qualcuno che possa stargli davanti. Voto 85 |
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6
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...bel disco....anche se preferisco ...un po\' di piu\' quelli del periodo blues.... |
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5
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Probabilmente il più completo chitarrista mai apparso dalle parti del rock e dintorni. Si è cimentato con ogni stile risultando credibile. Ma che dico credibile, un fuoriclasse assoluto. Basti pensare a cosa fa in Empty Rooms e Murder In the Skies e si ha la misura della sua superiorità. E anche come cantante era straordinario. Per i miei gusti, solo Blackmore gli è superiore. Tecnicamente gli altri tutti sotto (poi si potrebbe ragionare in termini di compositore e allora la discussione aprirebbe praterie) 85 |
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4
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Un artista enorme, sia nel periodo hard rock che in quello blues, che se ne è andato troppo presto. Empty rooms stupenda in questa versione , meno pop che in Run for cover |
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3
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Negli eighties, prima della sbornia \'blues\' moore ha realizzato una serie di albums di notevole qualità. Da notare che flirtazioni con l aor non sono affatto sporadici anche all interno della stessa song. Fondamentalmente un album hard&heavy ma molto melodico. La voce di moore è molto caratteristica e si adatta bene al guitar sound. Sarebbe interessante una review da parte di metallized di: run for cover 🤘🎸 |
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2
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Ottimo album davvero, il mio preferito con Run For Cover e Wild Frontier, senza dimenticare Corridors Of Power con cui Gary decollò |
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1
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Un album più che ottimo per un grandissimo musicista. Il live \"we want Moore\" per me uno dei live più belli di quegli anni e non solo. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Corridors of Power 2. Teenage Idol 3. Shape of Things to Come 4. Empty Rooms 5. Murder in the Skies 6. All I Want 7. Hold on to Love 8. The Law of the Jungle
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Line Up
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Gary Moore (Voce, Chitarra) Neil Carter (Tastiera, Voce) Neil Murray (Basso) Ian Paice (Batteria)
Musicisti Ospiti: Mo Foster (Basso) Bob Daisley (Basso)
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