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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Gary Moore - Run For Cover
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27/07/2024
( 1303 letture )
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Mastodontico. Non esiste altra definizione per questo disco o, meglio, ne potrebbero esistere, ma sarebbero solo sinonimi che esprimono lo stesso concetto. Difficile fare meglio di Victims of the Future, soprattutto a soli 2 anni di distanza, ma il folletto irlandese rispondente al nome di Gary Moore evidentemente aveva ben altro da dire a riguardo! Siamo infatti di fronte a quello che da più parti viene considerato come l’apice creativo della fase hard rock del chitarrista irlandese e, come scopriremo in seguito, effettivamente non siamo molto distanti da questa linea di pensiero, in quanto Run For Cover contiene brani che difficilmente possono essere definiti meno che eccelsi, ed almeno un paio che sfiorano (e non solo) il capolavoro!! Conscio dei propri mezzi, del proprio talento e del momento estremamente propizio a livello di ispirazione, Gary Moore decide di riassettare la line up del precedente Victims of the Future sostituendo Neil Murray e Ian Paice, rientrati da poco rispettivamente in forza ai Whitesnake il primo ed ai Deep Purple il secondo, con Bob Daisley al basso e Gary Ferguson e Paul Thompson alla batteria, ma soprattutto collaborando in fase compositiva e interpretativa con l’amico storico Phil Lynott e con un Glenn Hughes che attraversava in quel periodo, il momento più buio delle sue dipendenze (nda. si suggerisce una lettura all’autobiografia di quest’ultimo, dove gli episodi relativi alla realizzazione proprio di Run For Cover, sono decisamente esplicativi), entrambi presenti sia in veste di vocalist che di bassisti.
Parte subito in quarta Run For Cover, con la title track, una vera e propria killer song con gli attributi quadri, lanciata da un crescente intro di tastiera che sfocia in accordi ipermetallici supportati ancora da accordi di tastiera che ne enfatizzano la resa; il riffing delle strofe è serrato e selvaggio, chirurgico ma “sguaiato”, proprio come le melodie cantate da Moore, che sfociano in un ritornello azzeccatissimo! Che dire poi della parte strumentale, dove Moore ci delizia facendo esplodere letteralmente le corde della sua fida Les Paul in un solo decisamente ispirato. Come premesso all’ inizio, in Run For Cover tanti sono gli artisti presenti e già nella successiva Reach For the Sky troviamo dietro al microfono Mr. “The Voice of Rock” Glenn Hughes, che nonostante il periodo personale non certo bellissimo, lascia comunque una prestazione vocale degna di nota, anche se apportata in maniera più contenuta. In questo caso siamo di fronte ad un pezzo dall’andamento più rallentato rispetto alla titletrack, arricchito con ottime strofe ed un bel ritornello melodico, dal mood molto più bluesy, dove Gary Moore può dar sfogo a tutto il suo estro chitarristico. Arriviamo a questo punto ad uno dei due momenti di highlight del disco, che, cosa assolutamente non casuale, portano la firma e la collaborazione del nostro con l’amico fraterno Phil Lynott. Military Man, introdotta da una breve batteria marziale, è una canzone sublime, costruita col più classico degli approcci alla Thin Lizzy ovvero attorno al basso di Lynott, pulsante e centrale come sempre, che definisce le linee sulle quali procedere e sulle quali Gary Moore sfodera il meglio di se stesso; molto sentito da entrambi gli artisti il tema della guerra e del patriottismo, fulcro delle liriche cantate da Lynott, che tornerà preponderante anche nell’altro pezzo che vede insieme i nostri sull’album, ovvero la favolosa Out In the Field di cui parleremo a breve. Come già segnalato nella recensione di Victims of the Future, ritroviamo su Run For Cover la magnifica ballad Empty Rooms della quale abbiamo già ampiamente tessuto le lodi in passato, qui riproposta in una forma leggermente più elettrica e con maggiori arrangiamenti tastieristici rispetto alla versione di appena due anni prima, nonché leggermente più corta a livello di minutaggio. Decisamente ottima, ma sfortunatamente schiacciata in mezzo a due capolavori che la rendono (volendo) leggermente più ordinaria, risulta essere la successiva Out Of My System, nella quale ritroviamo un sempre ottimo Glenn Hughes dietro il microfono; canzone di matrice hard rock introdotta da uno splendido fraseggio di chitarra di Moore e ammorbidita nei suoni da tastiere decisamente eighties, ha dalla sua delle splendide strofe e un ottimo ritornello armonizzato, oltre che una parte solistica decisamente rilevante. CAPOLAVORO. Difficile trovare aggettivi diversi per definire Out In The Fields, una delle migliori, se non la migliore canzone di sempre di Gary Moore, scritta a quattro mani con Phil Lynott e del quale è interpretabile come canto del cigno e testamento musicale, dato che pochi mesi dopo ci lascerà prematuramente orfani del suo talento, mai troppo lodato. Si tratta di pezzo enorme che già dalle iniziali chitarre armonizzate, lascia senza fiato per purezza e bellezza nella scelta degli arrangiamenti; a questo dobbiamo aggiungere l’alternarsi alla voce del duo Moore/Lynott su strofe azzeccatissime che sfociano in ritornelli sopraffini, un bridge in crescendo da brividi, e semplicemente uno dei soli più belli e difficili di sempre di Gary Moore…niente di che, no?? Onestamente la potremmo chiudere qua la recensione, tutto quello che viene dopo un capolavoro del genere, per quanto buono, perde per forza di significato, ma dalle nostre parti non amiamo lasciare le cose a metà. La successiva Nothing To Loose, nonostante la buona prova di Glenn Hughes dietro il microfono, risulta alla fine dei conti un buon mid-tempo che, a prescindere da tutto, sa comunque di meno ispirato (attenzione non abbiamo detto brutto), anche se svolge egregiamente il suo lavoro. Frizzante e molto easy listening risulta essere Once In a Lifetime, arricchita da tastiere preponderanti che la portano a lambire lidi AOR; fortunatamente ci pensa la voce aspra di Moore a “stemperare” il risultato finale; si segnala il particolarmente melodico e apprezzabile ritornello, oltre che le belle melodie delle strofe. Siamo quasi in chiusura, ma nonostante ciò Gary Moore non rinuncia a regalarci il classicissimo colpo di coda, ovvero la grandissima All Messed Up canzone rock decisamente adrenalinica ed ispirata, colorata alla perfezione sia dai fraseggi chitarristici del piccolo irlandese, che da una prova stavolta decisamente maiuscola di un Glenn Hughes in questo caso in forma come nei momenti migliori. Chiude uno dei dischi migliori di Gary Moore e non solo, la cadenzata Listen to Your Heartbeat, bella canzone dal mood anni 80 e costruita quasi esclusivamente sulle tastiere e solo marginalmente arrangiata con la chitarra, ad esclusione dell’ipermelodico e breve assolo.
Come anticipato ad inizio recensione, Run For Cover è un album mastodontico, un disco da “isola deserta”, una pietra miliare nel mondo della musica hand & heavy, asticella difficilmente raggiungibile da altri e, non ultimo, anche difficile confronto per il suo stesso creatore, che nonostante ciò dimostrerà di avere ancora tanto da dire, scrivendo altre canzoni capolavoro nei dischi a venire, anche se probabilmente non raggiungerà più la stessa ispirazione qualitativa presente in questo album, se non nel successivo Wild Frontiers. Un must assoluto da avere, senza se e senza ma!!
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13
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Da chitarrista,non sono mai stato un grande amante dei virtuosi...ma credo che Moore,malmesteen e Van halen siano stati i migliori in assoluti..non solo sfoggio di assoli tecnici,ma sopratutto grandi canzoni e la collaborazione di musicisti di grande livello.Anche se,per me,il numero uno rimarra sempre Randy Rhoads...se quel piccoletto non moriva probabilmente faceva il vuoto... |
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12
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Comunque......capolavoro! |
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11
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Sto approfondendo il Gary Moore degli anni 80 e sinceramente mi sta piacendo perché il sound é più Hard Rock/Heavy Metal Americano con un determinante influenza Irish che dona personalità e poi nella line up di questo album e dei successivi due ci sono alcuni dei miei musicisti preferiti su tutti direi Bob Daisley e Don Airey nonché alcuni dei suoi ex soci nei Thin Lizzy.
Anche se con il successivo secondo viene il vero capolavoro! |
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10
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Album cha ascolto fin dalla sua uscita. Indiscutibilmente molto ispirato, completo e di grande versatilità. Il mio voto è 90. |
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9
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Poco da aggiungere, Discone, ispirato tanto da accorgersene sia al primo ascolto che al 1000simo. Voto 95 e non 100 perché il suono della tastiera (meraviglioso), e figlio di quei anni 1984. Cast galattico |
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8
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Grande disco, voto giusto. |
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7
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Composizioni spettacolari con un Gary Moore in stato di grazia, vocalmente e chitarristicamente. Phil Lynott in Military Man è straordinario e anche Glenn Hughes non scherza nei 4 pezzi in cui canta. Pelo nell\'uovo : riascoltandolo oggi sanno un po\' di datato e fastidioso le tastiere pop anni \'80 sparse qua e là che appiattiscono alcuni pezzi. Per conquistare il mercato americano nel 1985 bisognava fare così, ma con un Don Airey a disposizione davvero non si poteva fare meglio ? |
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6
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Grandissimo album! Per me di Gary Moore è tutto splendido a partire da Back on the Streets andando avanti per almeno 15 anni. Difficile secondo me trovare un solo apice (per i miei gusti potrebbe essere Corridors of Power per esempio). Certo che con pezzi come Out in the Fields o Military Man - per citarne giusto un paio - questo album diventa imprescindibile. Non sono molto d’accordo sul reputare Wild Frontiers l’ultima vetta della sua discografia: vero che dal ‘90 parliamo di blues rock e non più di hard rock, ma se guardiamo solo ed esclusivamente alla pura qualità… Still Got the Blues per esempio è un album che non ha assolutamente niente da invidiare a quanto fatto negli anni ottanta. Voto 87 |
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5
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Molto Bello....Out in the fields capolavoro. |
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4
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Out on the fields, All Messed up e Empty Room. Bastano questi tre pezzi per fare un disco ottimo. Se poi ci mettiamo che in quattro brani compare anche il fattissimo, ma sempre straordiario Glenn Hughes (e Nothin to lose è lì a confermarlo) allora si può parlare di disco da avere. Come ho già scritto altrove per me Gary Moore è stato forse il chitarrista più completo della storia (e gran cantante, altroché. Sotto questo punto di vista gli si avvicina Rik Emmett) padroneggiando ogni stile possibile. Io ho un debole per la produzione blues, ma è questione di sfumature. 80 |
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3
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...un gran disco....chitarrista indimenticabile ed eclettico.....90.... |
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2
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Disco sicuramente tagliato per il mercato americano ( ci aveva provato già con G-Force senza fortuna ), con uno stuolo incredibile in fase di realizzazione:Andy Jones, Beau Hill, Mike Stone e Peter Collins. Album fantastico ed in alcune cose preannuncia Wild Frontier ( title track e Out in The Fields ) che, anche per me come si legge da rece, sarà l\'ultimo grandissimo album |
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1
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Album molto camaleontico musicalmente parlando. Si passa da brani hard a songs con una forte componente aor. Moore è sempre stato un guitarrist molto duttile, non ha mai ostentato il suo virtuosismo, ma ha messo le sue capacità musicali al servizio della song. Album molto melodico ma non wimp 🤘🎸 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Run For Cover 2. Reach For the Sky 3. Military Man 4. Empty Rooms 5. Out of My System 6. Out In the Fields 7. Nothing to Lose 8. Once In a Lifetime 9. All Messed Up 10. Listen to Your Heartbeat
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Line Up
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Gary Moore (Voce, Chitarra) Glenn Hughes (Voce, Basso) Phil Lynott (Voce, Basso) Neil Carter (Tastiera, Voce) Don Airey (Tastiera) Bob Daisley (Basso) Gary Ferguson (Batteria) Paul Thompson (Batteria)
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