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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Gary Moore - After the War
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30/11/2024
( 987 letture )
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Sono passati appena 2 anni dall’ uscita del precedente Wild Frontier, quando a Gennaio 1989 Gary Moore rilascia quello che sarà il suo ultimo album della fase hard an’ heavy, quell’ After The War che fungerà da vero e proprio testamento ed eredità ai posteri, a dimostrazione lampante ed imperitura del genio del chitarrista di Belfast. Come nel caso dei precedenti dischi di questa fase della sua carriera, siamo davanti ad un lavoro incredibile, sia per qualità complessiva che per resa sonora, con almeno tre brani capolavoro presenti in scaletta, che vanno a sigillare in maniera perfetta un’era irripetibile per l’artista, che successivamente deciderà di virare le sonorità dei suoi album verso i lidi del suo amatissimo blues, creando anche in questo ambito album eccezionali e dal valore musicale imprescindibile. Come già affrontato in sede di altre recensioni dell’ artista, il decennio eighties è un tassello fondamentale nella carriera di Gary Moore, un decennio dove il musicista è riuscito ad affermarsi come uno dei chitarrista più talentuosi e versatili della sua generazione, costruendo canzoni e dischi enormi, costellati da una qualità compositiva quasi imbarazzante; ma come ogni grande artista che si rispetti che ha sempre bisogno di stimoli nuovi e nuova linfa per la sua musa, anche Gary Moore comincia a sentire il momento di staccarsi da un certo genere, foss’anche in ultimo una necessaria esorcizzazione del lutto per l’amico fraterno Phil Lynott, naturalmente celebrato anche in quest’ ultima fatica attraverso un brano immortale ed autobiografico come Blood Of Emeralds.
Conscio di dover lasciare di se un ricordo indelebile nel genere hard rock, il nostro si mette all’ opera confermando la line up del precedente disco, implementandola con l’innesto del grande Cozy Powell dietro le pelli, e arricchendo il tutto con collaborazioni di “lusso”, vedi ad esempio il “Madman” Ozzy Osbourne, in quel momento al massimo storico (qualitativo) della sua carriera solista e rifinendo il tutto portando dietro la consolle un produttore del calibro di Peter Collins, Rush e Queensrÿche tra gli altri, il quale garantisce al disco una qualità sonora impeccabile e una resa tecnica di altissimo livello, rendendo le undici canzoni, comprese l’intro e l’outro strumentali Dunluce pt.1 e 2, veri e propri gioielli sonori. Apre in maniera vera e propria le danze del platter la titletrack After The War, e lo fa con la consueta energia travolgente dei brani di Moore, ovvero attraverso riff di chitarra chirurgici e potenti, arricchiti da splendide parti di tastiera ad opera del “solito” Neil Carter, il tutto incoronato da strofe e ritornelli decisamente riusciti; si segnala, anche se non sarebbe necessario, un solo splendido che segue un’ottima parte centrale rallentata ed evocativa. Neanche il tempo di riprendere fiato che il folletto irlandese ci regala immediatamente il primo dei tre capolavori del disco, ovvero l’iper metallica Speak For Yourself, canzone eccezionale aperta da un riff di chitarra mastodontico e dall’ andamento serratissimo, che sosterrà il brano per tutta la sua durata, fungendo da base di appoggio per strofe ispiratissime e per un ritornello se vogliamo semplice, ma assolutamente centrato; splendida anche in questo caso la parte solistica dove ancora una volta Gary Moore lascia sfogare tutto il suo estro e tutta la sua tecnica. La successiva Livin’ On Dreams ci riporta il Moore più melodico e radiofonico già incontrato musicalmente ai tempi di Run For Cover, dove il pezzo non avrebbe assolutamente sfigurato; il brano è sicuramente riuscito e decisamente piacevole, e ci ricorda come si possano scrivere canzoni accessibili senza sacrificare la qualità, ma soffre sicuramente l’arrivare dopo una canzone enorme come Speak For Yourself, e soprattutto il precedere una bomba sonora come Led Clones. Già, Led Clones, come rendere giustizia ad un pezzo di tale qualità se non definirlo uno dei momenti sonori più memorabili del disco?? Al di la della qualità enorme della canzone, ulteriormente arricchita dalla voce di Ozzy Osbourne che si affianca a quella di Moore, Led Clones è una canzone dal testo sarcastico e pungente che non le manda a dire a tutti quei gruppi che troppo si rifanno alle sonorità degli immortali Led Zeppelin; nel caso specifico il gruppo reo del peccato di lesa maestà, ovvero plagio a quel tempo definito un po’ troppo sfrontato, erano i Kingdome Come, band di indubbio valore, che però causa queste critiche ha visto offuscato quello che sicuramente sarebbe stato un meritato ritorno di critica, soprattutto alla luce di altri epigoni venuti successivamente che certo non hanno ne le capacità da loro dimostrate, ed ancor meno il talento compositivo… Ovviamente dal punto di vista musicale il pezzo richiama moltissimo l’atmosfera degli Zeppelin, in particolare quella della magnifica Kashmir, della quale spesso ricalca l’andamento orientaleggiante e rallentato, inserendo anche partiture orchestrali che arricchiscono la resa complessiva del tutto. Come per i dischi precedenti, arriva anche per After The War il momento del pezzo completamente strumentale, ed anche in questo caso, come in passato, ci troviamo davanti ad un brano incredibile; non diversamente possiamo definire The Messiah Will Come Again, brano splendido, dove come da copione, la Les Paul di Moore è al centro, e colora il tutto in maniera con melodie malinconiche e dalle fortissime tinte blues, creando atmosfere di una bellezza disarmante. Finito il momento emozionale, il disco torna a battere strade più rock, e lo fa con Running From The Storm, vera e propria sorellina minore della più famosa Out In The Fields, dalla quale prende a prestito struttura e della quale richiama le parti vocali delle strofe, e lick e soli di chitarra; sicuramente un brano riuscito ma allo stesso tempo più derivativo di altri. Come ognuno di noi ben sa, Gary Moore è un chitarrista dal talento enorme e dalla capacità inusuale di adattarsi a stili diversi, e la successiva This Thing Called Love è qua per ricordarcelo; per questo pezzo, infatti, il nostro decide di “omaggiare” un altro grandissimo chitarrista, Eddie Van Halen, creando un pezzo che ricalca in maniera chiara Hot For Teacher, sia nella forma strumentale che nelle strutture vocali e dove l’irlandese ci dimostra che niente aveva da invidiare dal punto di vista tecnico all’ illustre collega. Segue Ready For Love, per la quale vale lo stesso discorso già fatto per Livin’ On Dreams, ovvero buon brano di matrice hard rock melodico e radiofonico che ha al suo interno richiami che a volte possono ricordare gli ZZ Top; buono e piacevole, ma certo più riempitivo che altro. Chiude nella sostanza il disco (Dunluce pt. 2 è un outro), quella che a tutti gli effetti è il lascito di Gary Moore alla musica hard rock, ovvero l’immortale Blood Of Emeralds, vero e proprio highlight di After The War! Come anticipato nel prologo di recensione, Blood Of Emeralds è un brano autobiografico nel quale il nostro rende omaggio ancora una volta al suo grande amico Phil Lynott, richiamato nel testo come “the darkest son of Ireland”; dal punto di vista strutturale il brano, oltre ad avere strofe e ritornelli ispiratissimi, ha un fortissimo flavour celtico che lo lega a doppio filo alle atmosfere del precedente Wild Frontier e dimostra ancora una volta la capacità del chitarrista di creare canzoni dal fortissimo impatto emotivo e capaci di fondere insieme elementi molto distanti dal punto di vista musicale; splendida in ultimo, la parte centrale del brano in cui il nostro riflette sul concetto della perdita e della sua metabolizzazione, regalandoci successivamente un solo da brividi che lancerà la conclusione di un brano epocale.
Siamo arrivati alla fine di un viaggio, il viaggio di un grandissimo artista che con After The War si congeda dal pubblico hard n’ heavy che ha conquistato in soli 7 anni, ed ai quali ha lasciato in eredità cinque grandissimi album, ognuno dei quali contenenti gioielli sonori di indubbio valore che tutti noi conserveremo in maniera differente nel nostro cuore; nonostante ciò, come ogni grande musicista che si rispetti, Gary Moore continuerà a stregare le folle attraverso le sue composizioni anche in futuro, ma lo farà con quello che sicuramente è stato il vero e profondo amore, il blues.
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9
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Misconosciuto fuoriclasse della musica pop/rock/blues il cui lascito è quella imprescindibile \"Blood of Emeralds\" potente come un inno e drammatica come un requiem. RIP Gary e go On a tutti! |
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8
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Ennessimo altro grande albun di Moore...si sente il tocco di Powell alle pelli..che drummer..uno di quelli che ci ha lasciato troppo presto |
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7
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Il disco è indubbiamente bello, ma per me non arriva al livello di un Wild Frontier o Run For cover. La scelta di tornare più verso un hard rock mainstream mi sorprese, ci sono episodi stucchevoli come Led Clones che non mi dicono più di tanto. Però stiamo sempre parlando di classe superiore, beninteso |
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6
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Gran bell’album anche questo, una tacca sotto Wild Frontier per me, ma comunque di Gary Moore si prende tutto a occhi chiusi. Alti livelli dall’iniziale title-track fino a Blood of Emeralds, che si ricollega allo spirito irish dell’album precedente, così come la cover di Buchanan suona un po’ come un antipasto di ciò che farà un anno dopo con lo stupendo Still Got the Blues. Lui ovviamente spettacolare come sempre. Voto 84 |
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5
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Ovviamente mi riferivo al pezzo Ready for love quando ho scritto di ZZ Top e Bad Company (sin dal titolo del brano...) |
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4
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Il mio primo Garymoore. Non ricordo nemmeno perché me lo duplicarono. Di sicuro mi ricordo che Led Clones aveva attirato la mia attenzione ed ero abbastanza critico. Ma nel \'90 internet non esisteva e non leggevo la stampa specializzata quindi non sapevo cosa c\'era sotto. Di sicuro il brano che mi colpiva di più era The Messiah Will Come Again. Brano perfetto. Solo anni dopo scoprii che era di Roy Buchanan (una citazioncina in recensione l\'avrebbe meritata; lui sì che, per me, è stato il più grande chitarrista sconosciuto della storia). Per il resto che dire? Divertenti This thing called Love una sorta di Van Clones e ZZ Clones (ma con spruzzate di Bad Company)? Chissà...E stupenda anche Blood of emeralds con molti rimandi al proprio passato sia solista che con i Thin Lizzy. Forse il chitarrista più completo della storia e anche gran cantante. 80 |
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3
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Album bellissimo, secondo solo a wild frontier. Da avere. |
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1
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....bel disco.....in fondo ha fatto sempre ottimi lavori.... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1.Dunluce (Part 1) 2.After the War 3.Speak for Yourself 4.Livin' on Dreams 5.Led Clones 6.The Messiah Will Come Again 7.Running from the Storm 8.This Thing Called Love 9.Ready for Love 10.Blood of Emeralds 11.Dunluce (Part 2)
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Line Up
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Gary Moore (Voce, Chitarra) Neil Carter (Tastiere, Voce) Bob Daisley (Basso) Cozy Powell (Batteria)
Musicisti Ospiti Ozzy Osbourne (Voce traccia 5) Don Airey (Tastiera traccia 6,7,8) Laurence Cottle (Basso traccia 6) Simon Philips (Batteria traccia 3,10)
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