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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Orange Goblin - Thieving From the House of God
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05/10/2024
( 525 letture )
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Orange Goblin è un’entità presente nel mondo dello stoner da decenni. Più precisamente dal 1995, anno in cui ci si riferiva a loro come Our Haunted Kingdom, passando dal 1997 di Frequencies from Planet Ten e per lo split con l’acidità fatta carne degli Electric Wizard. Poi, uno dopo l’altro, la creatura capitanata da Ben Ward cominciò a sfornare ottimi dischi, dei quali l’apice fu sicuramente Time Travelling Blues, ma forse ancora di più dal grande buio di The Big Black, poi la staffetta di sua maestà John Garcia in Coup de Grace, con il riconoscimento da parte di uno dei padrini dello stoner rock per il lavoro svolto dai londinesi. D’altronde, c’è poco da sindacare, quando le influenze affondano nel doom sabbatthiano e nell’heavy rock n’ roll dei Motorhead, non trascurando il blues più puro.
Dopo una quaterna di titoli incredibili, con Coup de Grace a rappresentare la parte più selvaggia, nel 2004 il combo del Goblin Arancio si presenta con Thieving from the House of God, caratterizzato nell’estetica da una spoglia copertina, poco originale rispetto agli artwork dei precedenti lavori.
Lo stesso non si può dire della musica, in quanto buona parte dei brani facenti parte del lotto sono diventati dei capisaldi delle setlist dei londinesi, una su tutti è Some You Win, Some You Lose, in cui il possente timbro al vetriolo di Ben Ward, su un hard rock spietato, tratta i “benefici” di una vita dissoluta. L’intero disco pur se marchiato dall’heavy rock si caratterizza per un’influenza blues molto accentuata, dimostrata anche dall’esecuzione della cover degli ZZ Top, la cui resa è tale da mettere in difficoltà l’ascoltatore nel riconoscere il brano come appartenente al power trio texano.
Le chitarre del disco sono pregne di quella vena blues (If Ain’t Broke It, Break It, Hard Luck), guidate in certi momenti dalla furia della sezione ritmica in accelerazioni speed dal gusto Motorheadiano (Tosh Lines, Lazy Mary) e sprofondamenti doom (Crown of Locusts). Roboante e massiccio, il basso di Martyn Millard dà del suo meglio in brani come One Room, One Axe, One Outcome e Round up the Horses, traccia dominata da un incedere stoner e caratterizzata a metà brano da acide note funkeggianti di chitarra.
Le cavalcate heavy di You’re Not the One (Who Can Save Rock’n Roll), delle già citate Hard Luck e Lazy Mary, sono guidate da una batteria in pieno tiro, mentre la la voce di Ward aderisce perfettamente alle strumentali valorizzandole ulteriormente.
L’album nella sua bellezza possiede delle vere perle per gli amanti dello stoner e a brillare sono sicuramente la blueseggiante Black Egg, dal bizzarro titolo, che vede la collaborazione di Sarah Shanahan, a supportare la mastodontica voce di Ben Ward con un cantato soul, in un brano che nell’insieme si presenta come un perfetto esempio di stoner blues.
Conclude lo stoner entropico di Crown of Locusts. L’heavy rock della traccia vede Ben Ward sostenuto nei ritornelli dal growl di Billy Anderson, poi si interrompe a metà brano con un interludio di batteria tale da ricordare le composizioni più psych dei primi anni ’70. Tutto ciò permette al basso di riaprire il brano in una strumentale dall’incedere sublime ed ipnotico in cui gli slide di chitarra e la ritmica di batteria guidano la composizione fino al cambio di dinamica che grazie alle chitarre trasforma il brano ulteriormente fino al climax stoner/doom finale.
Un’intensità diversa, ma colmo della veracità degli Orange Goblin, Thieving From the House of God è un ottimo disco che implementa le innovazioni che i londinesi apporteranno al genere. Le forte connotazioni blues e quella vena psych che non snaturano lo stoner autentico rafforzano la proposta del combo inglese che fino al 2014 continuerà a produrre senza sosta con cadenza biennale –triennale nel caso del successivo Healing Through Fire- fermandosi solo dal 2014 in poi per periodi più lunghi. La produzione è di ottima qualità e cresce negli ascolti, all’inizio magari si sarebbe preferita la voce di Ward meno all’interno del brano, ma ragionandoci, un timbro così importante è difficile da contenere e gestire, per cui la scelta per quanto leggermente diversa rispetto a Coup de Grace si allinea molto di più a The Big Black generando un ottimo risultato complessivo. Per alcuni gli Orange Goblin viaggiano da anni sull’ombra del capolavoro mancato e, a volte, vengono considerati né carne né pesce nel vasto universo della canonicità, tuttavia se andiamo a considerare i loro album complessivamente quante band possono vantare un repertorio così vasto e di altissima qualità? Thieving From the House of God non è il loro capolavoro, ma forse la realtà è che il capolavoro come concetto neanche esiste, è l’autenticità di una proposta valida a determinare quanto si incide in una scena musicale così vasta e, purtroppo, simile… e il Goblin Arancione da quasi 30 anni ha sostenuto la causa dello stoner innovandolo e migliorandolo, mentre intorno si emulavano gli stilemi dei precursori privandosi della propria identità. E’ questo ciò che distingue un grande progetto da altri di bassa lega.
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3
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....un altro bel dischetto....un nome...una garanzia... |
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2
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Discreto, da qui in poi gli OG hanno proseguito senza più portare idee fresche, andando avanti con il mestiere. Sempre potenti, diretti, ottimi riff, però tutto uguali |
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1
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Gran disco. Fino a questo poi son tutti grandi album. Anzi forse thieving è uno dei migliori. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Some You Win Some You Lose 2. One Room, One Axe, One Outcome 3. Hard Luck 4. Black Egg 5. You’re Not the One (Who Can save Rock’n roll) 6. If Ain’t Broke, Break It 7. Lazy Mary 8. Round Up the Horses 9. Tosh Lines 10. Just Got Paid 11. Crown of Locusts
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Line Up
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Ben Ward (Voce) Joe Hoare (Chitarra) Pete O’ Malley (Chitarra) Martyn Millard (Basso) Chris Turner (Batteria)
Musicisti ospiti: Tony Sylvester (Voce su traccia 6) Billy Anderson (Voce e rumori su tracce 6, 11) Sarah Shanahan (Voce su traccia 4)
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