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Coheed and Cambria - The Color Before the Sun
24/11/2015
( 3044 letture )
Come possiamo intuire dalla splendida copertina fluida e cremosa, dal titolo e dal non - concept ampiamente annunciato da Claudio Sanchez e soci, il nuovo nato in casa Coheed and Cambria è decisamente meno cerebrale e strutturato dei suoi precessori. Terminata dopo circa 15 anni, la lunga, lunghissima ed epica saga chiamata ''Amory Wars'', la band di Nyack (New York) da vita a un solidissimo platter di progressive rock contaminato. Le precedenti abbondanze lirico-musicali, legate indissolubilmente al corso del mega-concept ormai terminato, sono qui ridotte all'osso senza orpelli né ricami di sorta. Ma attenzione, non parliamo di un album ''facile'', né tanto meno commerciale, quanto più una riflessione personale che il leader, nonché scrittore e cantante della band ha voluto mettere in atto, inchiostrando i vuoti con parole e musica di spessore e qualità. Dieci brani in scaletta, di cui otto veramente validi, dove voci camaleontiche si alternano a chitarre, bassi e synth costruiti per ricordarci a più riprese il prog degli immortali Rush.

Prendendo in mano la confezione, un digipack patinato con colori tenui e pastellati, ci rendiamo conto che siamo di fronte a uno ''stacco scenico'', un modus operandi giunto alla fine dopo anni e anni di battaglie spaziali e intergalattiche, amore, sopravvivenza e morte. Come precedentemente anticipatovi, le ''Amory Wars'' sono terminate con il bellissimo doppio – album The Afterman I: Ascension (2012) e The Afterman II: Descension (2013), lasciando gli ascoltatori con riflessi contaminati, i resti della navicella di Sirius Amory e tanta nostalgia/soddisfazione per aver seguito con passione una saga musicale di importanza enorme, con i suoi richiami a Star Wars e la voglia di mettersi in mostra nell'affollato panorama del rock moderno.
Così, esattamente tredici anni dopo il notevolissimo ma ancora acerbo debut album The Second Stage Turbine Blade, la band americana scende in pista con una nuova veste che deve molto al passato remoto della band, così come al suo futuro. Un ibrido di potente ed elegante progressive rock tinto di ''post'' e venature spaziali, come è giusto e auspicabile che sia. Si parte in quarta con l'opener Island, brano che ricorda da vicino le atmosfere passate e aliene di In Keeping Secret of Silent Earth: 3, con l'ugola di Sanchez in gran spolvero e le chitarre elettriche in primo piano. L'atmosfera, sebbene tesa, è decisamente più morbida del solito. I sali-scendi ritmico-emotivi sono più controllati, così come le parti e gli intermezzi strumentali.

Get off the island and swim back to the shore... Girl I don't think I could last here one second longer, cause in these waters I'm done for...

C'è un qualcosa di profondamente alchemico e personale nelle nuove parole di Claudio Sanchez, discretamente accompagnate dalle chitarre e dagli effetti elettronici bilanciati alla perfezione. Ci sfugge qualcosa?

I'm just a big dud, foolish from the star, I make a wrong move and the world just falls apart.

Una sensazione di vuoto e tormento, poi facciamo un salto indietro di qualche mese, nell'afosa estate del 2015 per capire cosa è accaduto alla famiglia Sanchez. La bellissima e isolata abitazione amabilmente dipinta in copertina è il soggetto principale dell'intera riflessione. Casa che il nostro dotato chitarrista-cantante ha quasi perso per problemi legali e cause di forza maggiore assolutamente non imputabili né a lui né alla sua famiglia. Il terrore di perdere un ''pezzo di cuore'', una posto sicuro e isolato dal mondo, in un isola che non c'è ai confini del Tempo e dello Spazio. Insicurezze perfettamente tramutate in sogni musicali, vaghi e sommersi dalla brezza oceanica e notturna.

Il finale muscoloso ed heavy di Island ci traghetta indissolubilmente alla traccia numero due, ovvero la buona Eraser che, con il suo semplice riff rock d'apertura ci ricorda quanto fatto dalla band con il pezzo Feathers (da Good Apollo, I'm Burning Star IV, Volume II: No World for Tomorrow), per poi riprendere le classiche coordinate stilistiche care ai Nostri, che fanno decollare il brano grazie a un ampio, disteso e distorto assolo di Travis Stever, storico chitarrista della band.
La durata media è leggermente ridotta (salvo qualche eccezione), e le strutture sono dirette e calde in questo The Color Before the Sun, dal titolo profetico e iconico, come rappresentato dalla terza traccia, la soft e immancabilmente affascinante Colors, semi-ballad di spessore e poesia, che porta con se note di profumi e tepori primaverili, con il suo incipit stentoreo, la gran cassa solitaria e l'arpeggio in clean così pulito, soffice, distante e melanconico.

I walk so tired so opaque, these words too many. I cant' share our culture's casualty, Can't see the forest from the trees.

E poi il magniloquente ritornello ci attrae e rapisce per immergerci in un mantra di arcobaleni digitali. Le chitarre si fanno più incisive proprio sui refrain, lasciando ampio spazio e margine per le trame melodiche di Sanchez, mentre il bridge è vicinissimo al sound ottantiano di scuola Rush.

Il tepore e la delicatezza terrena di Colors vengono spazzate via dal grandissimo singolo Here to Mars che, insieme a You Got Spirit, Kid si contiene il primato per ''miglior sequel'' di The Suffering, arcinoto brano tratto dell'indimenticabile Good Apollo, I'm Burning Star IV, Volume I: From Fear Through the Eyes of Madness (2005), dal quale la band riprende la costruzione delle melodie chitarristiche e i contagiosi sing-a-long da stadio.

Pardon me, I think I'm going out of my head and into the worst. A world without your verse a world without you hurts. Please, I'm sorry...

Here to Mars, ode spaziale all'amore, è un brano di energia stellare, costruito su riff prog semplici e linee vocali catchy, per un totale di retrospettiva emozionale aggiornata e d'effetto, mentre la successiva, breve Ghost, ballata acustica e intimista, non convince per la sua stessa struttura auto-celebrativa ma un po' zoppicante. Al di la della bella prestazione dietro al microfono del sempre geniale C. Sanchez, la canzone stenta a prendere il volo e ci appare più che altro come un intermezzo non ben definito che separa le due stanze dell'album, in 2 minuti e 45 secondi di musica che vorrebbe in qualche modo richiamare Wake Up senza però riuscire nell'arduo intento.

I fuss and fight my curiosity with welcome arms, and frightened fingers twitched anxiety. Here it comes...

La band riparte da Atlas, canzone molto personale dedicata al figlio del cantante, già anticipata 12 mesi fa grazie a una versione acustica in studio. La canzone ha ora una corazza tutta sua, con i suoi oltre sei minuti di evocativo prog rock made in Cambria, con riff nervosi e compatti, strutturati perfettamente e ancora meglio amalgamati con il basso pulsante e virtuoso di Zach Cooper e la batteria essenziale di Josh Eppard, sempre a suo agio nel creare sia partiture complesse che tappeti semplici, diretti e prettamente rock.
Atlas è un pezzo importante, anzi, fondamentale per comprendere appieno lo spirito del nuovo album della band americana. Una venatura alla In Keeping Secret of Silent Earth: 3 portata in auge dai vocalizzi e dal bridge ridondante ed evocativo, con le chitarre in primo piano e la melodia sempre imprevedibile e oltremodo piacevole.

Ovviamente, in un mare di colori cangianti e buona musica non può girare sempre tutto bene, e così -dopo la semi delusione di Ghost- ci imbattiamo in un'altra traccia non propriamente entusiasmante, ovvero una destrutturata Young Love, con il suo riff solista iniziale dissonante, accompagnato da una prevedibilità umorale e chitarristica un po' troppo banale per gli standard della band. Ma non disperiamo: su con i sorrisi e la vostra traboccante voglia di progressive rock, perché il brano successivo rappresenta forse l'apice melodico e compositivo di questa nuova fatica: You Got Spirit, Kid è alta scuola. Ruvido e diretto riff hard rock che danza insieme all'ugola caldissima di Sanchez, che in soli tre minuti si supera con i suoi cori, contro-cori e -ovviamente- squisiti fraseggi di chitarra.

You keeping on screaming from the top of your lungs, mr. 'Who gives a shit' just shut up. Oh, the podium is all yours, go ahead the plastic king of castle polyethylene.

Il brano si auto-spegne su un sotto-alimentato assolo di chitarra di scuola Pink Floyd, in un netto crescendo emotivo e musicale che si schianta sulla minacciosa e metallica The Audience, penultima traccia dell'album, così nervosa e decisa, guidata da convincenti riff di chitarra, giri di basso e una batteria fantasiosa. Leggermente prolissa la seconda parte, svista che comunque perdoniamo dopo aver accolto a braccia aperte l'oscuro bridge in crescendo che diviene mano a mano più epico e drammatico, con un'aggressività vocale che credevamo ormai sopita da tempo. Sorprese che fanno bene allo spirito.

This is the story of a boy who lost his way and found the fire, fire, FIRE. Awestruck, his courage lost, damaged goods, a trust now long-retired.

E poi ancora memorie, poesie, prog e space rock per la conclusione degna di nota di The Color Before the Sun, con la lunga e brulicante Peace to the Mountain, ode alla tranquillità e al distacco. La distanza da ciò che non convince e che ci fa male, paura e da tutto ciò che ci distrae senza avere importanza. E' un happy-ending a tutti gli effetti questo, con una marcia semplice mutuata dal pop d'autore, con melodie non sospette che si auto-celebrano nel ritornello, ripieno di gustosi riverberi, chitarre acustiche e batteria scarna e deliziosamente priva di trigger. Uno stacco acustico ci accompagna verso la vetta della montagna, dove i colori al mattino sono strabilianti e le passeggiate senza fine. Un posto di natura e purezza, distante anni luce dagli spettri spaziali e gli incubi sci-fi della ''Amory Wars'', le battaglie laser e le missioni eroiche.
C'è pace qui tra le foglie accarezzate dalla brezza dell'alba, dove passeggiamo mano a mano con questo gran pezzo di chiusura, classico epilogo ''da film'', dove i toni precedenti vengono interrotti da un'atmosfera bucolica. Il tutto viene maggiormente amplificato da un finale assolutamente esagerato, con archi, violini, trombe e una piccola orchestra da standing ovation, con la marcia iniziale che ritorna prepotente per poi spegnersi in un fading orchestrale, tra coriandoli e la Pace della Montagna.

I learned to keep quiet, how to keep my distance. Afraid to let strangers in, how to keep my secrets. Peace to the mountain.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
79.22 su 9 voti [ VOTA]
Maurizio
Mercoledì 2 Dicembre 2015, 12.36.08
5
buon disco voto 80
jo-lunch
Venerdì 27 Novembre 2015, 7.53.26
4
Bellissima copertina e un buon album che si ascolta volentieri. Un po' triste la storia della casa quasi persa. In effetti, a ben guardarla, la foto riprodotta in copertina è un tantino desolante. Per quanto riguarda le varie influenze di altri gruppi, a parte quelli citati, ascoltando gli altri album della band mi sembra di risentire anche un debole eco dei Black Sabbath, o è solo una mia impressione?
metalraw
Giovedì 26 Novembre 2015, 11.31.22
3
@roxy 35: grazie roxy. Hai ragione a citare quelle band come influenze principali della band. i Led soprattutto in passato nel periodo dei due ''Good Apollo'', secondo me. Per l'album in questione siamo d'accordo!
roxi 35
Giovedì 26 Novembre 2015, 10.48.10
2
Hey Metalraw, ma dove le prendi tutte queste parole? Quando finisco di leggere le tue recensioni devo scolarmi un litro di acqua! Sia chiaro che il mio e' un complimento, mi piace molto il tuo stile. Tornando ai nostri io ho tutti gli album di questa band, indubbiamente, quando li ascolto, non posso fare a meno di notare influenze varie, dai Rush ai Pink Floyd e, correggetemi se sbaglio, perfino wualcosina dei Led Zeppelin. Di questo album boccio due/tre pezzi, per il resto voto 80. Ciao.
Liquid Metal
Mercoledì 25 Novembre 2015, 14.50.15
1
Voto Liquid Metal: 10 fenomeni
INFORMAZIONI
2015
Atlantic
Prog Rock
Tracklist
1. Island
2. Eraser
3. Colors
4. Here to Mars
5. Ghost
6. Atlas
7. Young Love
8. You Got Spirit, Kid
9. The Audience
10. Peace to the Mountain
Line Up
Claudio Sanchez (Voce, Chitarra)
Travis Stever (Chitarra, Tastiere)
Zach Cooper (Basso)
Josh Eppard (Batteria)
 
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