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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Coheed and Cambria - Good Apollo, I’m Burning Star IV, Vol.1
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30/10/2021
( 1566 letture )
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The fiction will seek the real…
Nell’attesa della seconda parte di Vaxis: The Unheavenly Creatures, torniamo indietro nel tempo per un’occasione speciale. Un’atmosfera sospesa, thriller, poi un giro di piano che ci immerge nei primi fanta-documenti di Good Apollo, I’m Burning Star IV, vol.1: From Fear Through the Eyes of Madness, perno fondamentale della storica Amory Wars Saga, ideata dalla terremotante mente di Claudio Sanchez, leader dei Coheed and Cambria che, giunti al terzo giro di boa, sfornano un capolavoro moderno di progressive rock. La prima parte di Good Apollo è un concentrato di bontà senza precedenti, che segue a ruota il già clamoroso In Keeping Secrets of Silent Earth: 3 del 2003.
Le luci in sala si spengono ed è ora di iniziare lo spettacolo: la doppia intro Keeping the Blade / Always & Never setta il mood dell’opera con la sua cinematica teatralità, dove la dolcezza di voce e chitarra acustica ci prepara alla grande battaglia in procinto di esplodere nell’immensità dello Spazio.
You stormed off to scar the Armada / Like Jesus played leader, I'll drill through your hands / The stone for the curse you have blamed me, with love and devotion, I'll die as you sleep…
È subito pandemonio prog con Welcome Home, che ha fatto la storia grazie alla sua bellezza cristallina e al suo innegabile piglio melodico, effettivamente bilanciato da chitarre taglienti ed heavy, orchestrazioni dal dramma garantito e preponderanti porzioni soliste. Un maelstrom di innata bontà che prende a braccetto prog rock, metal e l’epicità di una grande saga che deve ancora essere raccontata e sviluppata a dovere. Tematicamente l'album inizia a risolvere i problemi di Kilgannon (alla ricerca dei fondamentali Keywork), e fa più luce sulla scomparsa di Coheed e di sua moglie Cambria. Inoltre, si esplicano maggiormente i problemi legati al virus Monstar. Welcome Home è, ad oggi, manifesto e croce-delizia della band americana, con i suoi 6 minuti di fiera battaglia progressiva, dura, dove ogni strumento trova una precisa collocazione. Senza spintonare, ogni suono esce dal vostro fidato impianto hi-fi con eleganza, sorprendendo nota dopo nota. Il climax sembra essere sempre dietro l’angolo, in uno continuo susseguirsi chitarristico, tra melodie accattivanti e complesse architetture sonore. Graffiante e dolce, il suono della band omaggia sé stesso e i grandi nomi del passato solo in parte, creando un ibrido e un trademark assolutamente riconoscibile, che fa rivivere in ogni occasione gli irripetibili fasti mozzafiato dei Rush. Dopo un bridge di pura fantascienza, con un incandescente scambio solista, i contro-cori accompagnano il lungo brano verso la sinfonica conclusione, brevilinea e decisamente azzeccata. Lo spirito ambivalente del quartetto, capace di complicarsi la vita e poi uscire allo scoperto con perle esemplificate di rara bellezza come Ten Speed (of God’s Blood & Burial) e Mother May I è davvero impressionante. Nella prima, la progressione rock è snella e lascia campo libero all’interpretazione vocale di Claudio Sanchez, alla chitarra di Travis Stever (scatenato anche in fase solista) e di Michael Todd, che cuce un basso su misura delineando ritmica e melodia senza sacrificare la sua tecnica sopraffina. Mentre la prima smuove le acque senza diventare eccessivamente complicata, Mother May I gioca con una struttura instabile, che strizza l’occhio al pomp rock e al pop, innalzando il lavoro di basso-batteria, tra tocchi e contrappunti di Todd ed Eppard. Un ritornello da cantare a squarciagola incastonato in una finta forma-canzone, con sali-scendi emotivi e continui cambi di umore. Ma facciamo un passo indietro fino alle note speciali di Good Apollo I: The Writing Writer, sospesa tra synth e tensione durante la sua introduzione interlocutoria, adagiata su un andamento lento e ipnotico. Il brano si evolve attraverso una struttura ritmica sulla quale il basso pulsante ruba la scena alle chitarre, tessendo trame alle spalle, gentilmente supportato e corroborato dalla batteria in levare. Idea pop inserita in una stratificazione prog, dove non ci facciamo mancare nulla, compreso un breve refrain epico e ficcante cantato all’unisono. Il brano, esattamente come la successiva Once Upon Your Dead Body, si muove sulle coordinate tracciate dal fenomenale debutto The Second Stage Turbine Blade, maturando velocemente e adeguandosi alle necessità del nuovo concept album. Una breve accelerazione graziata da pulitissimi lead chitarristici e imponenti stacchi di batteria prende repentinamente piede, per poi ritornare sul refrain, ri-cromato da cori extra e una prestazione maiuscola.
The morning will come / In the press of every kiss / With your head upon my chest / Where I will annoy you / With every waking breath / Until you decide to wake up.
Wake Up si lascia andare alla dolcezza accarezzandoci con note soft e una melodia incredibile, semplice ed efficace. Il mattino arriva con innata quiete e colori tenui, così decidiamo di abbracciare una vera ballata d’altri tempi, che spezza il ritmo teso e complesso del concept in favore di 3 minuti di quiete. “This story is for you”, canta Claudio Sanchez accompagnato da acustica, tastiera e batteria. Un breve respiro, sincero e appassionato, che non fa che elevare ancora di più la bontà innata di Good Apollo, I’m Burning Star IV, epocale prequel dell’amatissimo (e altrettanto intenso) Good Apollo, I’m Burning Star IV, vol.2: No World for Tomorrow del 2007. Ma non c’è troppo tempo per pensare, perché è subito l’ora di The Suffering, secondo singolo estratto e altro centro sci/fantasy senza precedenti, con la sua breve durata e il suo andamento corale, dove voci femminili fanno da contraltare alle melodie ora cupe ora solari di Sanchez, determinato più che mai ad infilare un ritornello più bello dell’altro, una linea di chitarra più notevole della precedente e una narrativa sempre varia e affascinante. La band si muove con maestria all’interno di una struttura compatta ma piena di cambi di tempo e umore, giungendo alla fine del primo atto.
Il rovescio della medaglia, costruito attorno alle magistrali The Willing Well, Part 1: Fuel for the Feeding End, The Willing Well, Part 2: From Fear Through the Eyes of Madness, The Willing Well, Part 3: Apollo II – The Telling Truth e The Willing Well, Part 4: The Final Cut / Bron Yr rappresenta l’apice dell’intero lavoro e, senza battere ciglio, in oltre 30 minuti di musica sciorina una dose letale di complesso prog rock ricco ancora una volta di sfumature e inediti colori. Un breve intro rumoristico apre le danze a una composizione dove la batteria di Josh Eppard fa il buono e il cattivo gioco mentre sorregge la pesante impalcatura con gusto e maestria. Le chitarre, mai troppo pesanti, si muovono su binari paralleli, intrecciando e smontando idee e riff, qui sorrette da contrappunti elettronici e pregevole effettistica di contorno. Nemmeno il tempo di gustarci il coro finale che è subito il turno di The Willing Well, Part 2: From Fear Through the Eyes of Madness, title-track e secondo perno focale dell’intero lavoro. Quella che inizia come una fiaba fantastica e spensierata si trasforma in un complesso andi-rivieni di chitarre e layer, dove un bridge drammatico apre le porte a una mini-sezione creando una gustosa matriosca. Gli ultimi brani racchiudono tutte le sfumature del Coheed-sound e -nel contempo- spingono in direzioni opposte, cercando sempre qualcosa di nuovo ed eccitante: un riff, un solo, una strana melodia, un coro ficcante o un esotico pattern di batteria. Tra scambi granitici e strumentazione alle stelle, il brano prosegue verso un pregevole scambio di riff tra Sanchez e Stever, con un ritornello finale da pelle d’oca. L’orologio inizia a ticchettare pericolosamente mentre i minuti scorrono via sbriciolando la clessidra del tempo: Apollo II – The Telling Truth prende piede senza che ce ne accorgiamo, recuperando effettistica retrò e progredendo con il concept e la sua innegabile bellezza. Claudio Sanchez interpreta a meraviglia sorretto da un indiavolato Josh Eppard che produce un continuo stantuffo ritmico con accelerazioni improvvise, mentre Travis Stever ricama stuzzicanti lead sotto-trama, fino all’esplosione strumentale e il conseguente bridge distensivo.
Con palpitazione e tristezza arriviamo alla mega-conclusione: The Willing Well, Part 4: The Final Cut costituisce il Gran Finale ma, a differenza di altre storie che tendono a scemare, calando le braghe sul più bello, in questo caso percorriamo la direzione opposta. Parlare di piccolo capolavoro sarebbe quanto meno riduttivo, trattandosi di un fantascientifico bignami di rock progressivo che non si lascia sfuggire proprio nulla, sposando l’anima della doppia-C con il flavour senza tempo di Pink Floyd e Rush, donando una propulsione metallica e un brio tutto nuovo. Tra synth, organi, wah-wah e un articolato assolo di quattro minuti, chiudiamo il libro di The Willing Well nel miglior modo possibile, tra applausi scroscianti e navicelle in fiamme. Tutto finito? Nemmeno per sogno: le stelle non ci perdonano e ci danno appuntamento alla prossima puntata.
Can you hear me? The fiction will seek the real.
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4
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Anch'io ho imparato a conoscerli con questo album: veramemte notevoli! |
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3
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Conosciuti con questa uscita. Concordo col voto. |
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1
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Un disco grandioso questo! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Keeping the Blade 2. Always & Never 3. Welcome Home 4. Ten Speed (of God’s Blood & Burial) 5. Crossing the Frame 6. Apollo I: The Writing Writer 7. Once Upon Your Dead Body 8. Wake Up 9. The Suffering 10. The Lying Lies & Dirty Secrets of Miss Erica Court 11. Mother May I 12. The Willing Well, Part 1: Fuel for the Feeding End 13. The Willing Well, Part 2: From Fear Through the Eyes of Madness 14. The Willing Well, Part 3: Apollo II – The Telling Truth 15. The Willing Well, Part 4: The Final Cut / Bron Yr
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Line Up
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Claudio Sanchez (Voce, Chitarra, Tastiera) Travis Stever (Chitarra, Tastiera) Michael Todd (Basso, Voce) Josh Eppard (Batteria, Programming)
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