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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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05/12/2015
( 2811 letture )
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Parlare di Eternity, primo album dei Kamelot, non è facilissimo. La band in questo disco è profondamente diversa rispetto a quella che tutti conoscono e non è un caso se lo stesso Thomas Youngblood, leader ed unico membro fondatore da sempre, ha più di una volta dichiarato che il vero inizio dei Kamelot è rappresentato da quel fantastico album che è The Fourth Legacy del 1999. E’ vero che lo stile che tutti conoscono e che ha reso grande e famosa la band inizia dal quarto capitolo della loro discografia ma è altresì vero che tale dichiarazione è molto fuorviante e non rende giustizia ad un lavoro come Eternity, che considerare brutto sarebbe un errore. Il disco paga di fatto un budget limitato quindi registrazione, mixaggio e produzione non sono all’altezza dei lavori che verranno, come è normale in qualsiasi band al debutto. I Kamelot dovranno ancora maturare, acquisire personalità e carattere e manca Roy Khan dietro al microfono, che i più attenti sanno bene entrerà nella band nel 1998 per registrare il mediocre Siege Perilous.
Al microfono troviamo Mark Vanderbilt, singer dotato di una voce totalmente differente da quello che sentiremo poi nei Kamelot, uno stile ed un timbro che ricorda più il compianto Midnight dei Crimson Glory o un Geoff Tate meno tecnico e personale, ma comunque in grado di attirare l’attenzione e risultare tutt’altro che banale o scarso. Le tastiere sono presenti, suonate da David Pavlicko ma sono lontane dalle orchestrazioni e dalle atmosfere che caratterizzano il sound degli ultimi dischi e che comunque sono stati importanti per la band anche prima dell’ingresso di Oliver Palotai. Alla sezione ritmica troviamo Ricard Warner alla batteria, autore di un lavoro senza infamia e senza lode, mentre al basso troviamo già Glenn Barry, che sarà uno dei membri più longevi nella band, restando fino al 2010. Mai i brani? Le composizioni sono di buon livello, lontane dal power metal darkeggiante e teatrale, più vicine all’heavy classico, posseggono comunque ottime idee e dimostrano come Thomas Youngblood abbia sempre avuto un gran talento: molti dei brani con arrangiamenti diversi ed il cantato di Khan, o più recentemente di Kaverik non avrebbero affatto sfigurato nel recente repertorio, un esempio su tutti il brano Call of the Sea. L’iniziale Black Tower spiazza per l’interpretazione vocale di Vanderbilt, fin troppo sguaiata e lamentosa, ma il brano possiede tutto il carattere delle composizioni dei Kamelot. Proud Nomad si regge su spunti decisamente interessanti, soprattutto per il guitar work, ma tutto il disco è molto incentrato sul riffing di chitarra, ed anche in fase solista Youngblood dimostra già le sue buone doti. Grande lavoro di chitarra, soprattutto nella parte centrale, anche per la successiva Red Sands, a cui però manca un buon ritornello ed una linea melodica più curata. One of the Hunted come altri brani paga l’interpretazione troppo sentita e sofferta della strofa, ma il coro è azzeccato ed anche questo brano cantato da Roy Khan non avrebbe sfigurato su un album come Black Halo o Epica. Fire Within è una traccia di heavy classico che in più punti mi ha ricordato Children of the Damned degli Iron Maiden, ma l’ombra della vergine di ferro è presente comunque in più punti, come nell’insipida Warbird e nella conclusiva The Gleeman. Abbiamo spazio anche per una ballad, What About Me, discreta e piacevole senza particolari picchi di interesse, ma tutto sommato scorrevole, nella quale l’interpretazione di Vanderbilt trova meglio la propria collocazione.
Tirando le somme Eternity è un disco più che sufficiente, con tutti gli ingredienti che andranno a comporre il tipico sound dei Kamelot, manca l’esperienza e un talento come Roy Khan ma a posteriori è facile affermare che la classe c’era già. Va anche considerata la data di uscita: siamo nel 1995 e per una band americana proporre un genere come quello dei Kamelot significava essere totalmente esclusi dal mercato, soprattutto se si trattava di band esordienti; in Europa le cose andavano molto meglio ed infatti la band trovò supporto nella mitica Noise, casa tedesca che all’epoca godeva del monopolio del power (primi Helloween, Running Wild, Rage, Gamma Ray, etc.). All’epoca il disco fu accolto tiepidamente e la cosa non stupisce, ma ricordo benissimo la copertina del disco e la facile reperibilità nei vari negozi di dischi specializzati di metal, a conferma che un certo interesse intorno al nome Kamelot iniziava a muoversi, anche se, per dei veri capolavori, bisognerà aspettare ancora qualche anno.
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10
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L\'album merita almeno un 75/80, non è un must ma all\'epoca era qualcosa di molto particolare nella scena, un mix di Epic e Prog Metal niente affatto male.
Tra Queensryche, Crimson Glory e Iron Maiden.
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9
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Se volete sentire Mark Vanderbilt dopo 25 anni di assenza potete ascoltarlo sul mio nuovo album \\\"IMAJICA\\\" (altro special guest Ian Parry dei riformati Elegy proprio in un remake dei Kamelot, la storica e totalmente ignorata dalla formazione odierna \\\"Until Kingfom Come\\\", song che apriva i concerti dei bei tempi con Khan). Il brano può essere ascoltato solo acquistando l\\\'album sulle mie pagine (bandcamp in primis)o ovunque (e-bay, amazon, mondadori, lafeltrinelli, IBS, mediastore etc), nella versione in digitale il brano con Vanderbilt è assente. |
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8
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Non si può dare 65 a questo disco dai... |
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7
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Non avevo mai ascoltato i primi kamelot e sto ascoltando per la prima volta questo album, sono alla traccia 8 e devo dire che è un gran bel disco. |
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6
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Sembra di sentire i primi Queensryche__minchia il cantante è un clone di Goeff Tate... ahah |
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5
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Diciamo che sono in linea con la rece e tutti i commenti. Bellino ma poteva dare di più  |
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4
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altra recensione INDISPENSABILE di un gruppo IMPRESCINDIBILE, tra l'altro anche con un gran bel disco, noto... MERITEVOLE di essere "rispolverato" per la grande importanza che immagino abbia avuto nella storia della musica, no?  |
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3
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Ce l'ho anch'io, e tra l'altro dei kamelot ho poco altro. In ogni caso per i tempi non era un brutto disco. Voce un pò troppo stereotipata, ma meglio di tante altre. le canzoni nel complesso non sono male, e qualcuna è davvero bellina. Concordo abbastanza col recensore. Come voto direi 70.. |
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2
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Anche io concordo con Refuge, è un buon album con tanti spunti ma ancora incompiuto, sebbene se avesse avuto Khan al microfono forse avrebbe maggiore appeal. Call of the sea cantata da Khan nel primo live fa effettivamente un altro effetto. |
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1
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Sono d'accordissimo con il recensore. Disco non memorabile, ma con qualche brano più che decente! Riascoltandolo mi sono anche ricordato della voce di Vanderbilt, che non la trovo affatto male e che in effetti ricorda moltissimo quella di Tate, anche un pochino quella di Gildenlow, per me. Bravissimo in ogni caso Youngblood, che già si faceva notare per la sua bravura. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Eternity 2. Black Tower 3. Call of the Sea 4. Proud Nomad 5. Red Sands 6. One of the Hunted 7. Fire Within 8. Warbird 9. What About Me 10. Etude Jongleur 11. The Gleeman
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Line Up
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Mark Vanderbilt (Voce) Thomas Youngblood (Chitarra) David Pavlicko (Tastiera) Glenn Barry (Basso) Ricard Warner (Batteria)
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