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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Ministry - The Land of Rape and Honey
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31/03/2018
( 3686 letture )
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The Land of Rape and Honey è la terza fatica in studio degli statunitensi Ministry, che segnò nel lontano 1988 un momento fondamentale per Al Jourgensen e Paul Barker. Questo disco infatti può essere considerato come un vero e proprio distacco rispetto ai precedenti lavori (With Sympathy e Twitch), connotati da suoni patinati e per lo più incentrati sul synth-pop / new wave, sacrificando il tutto per un maggiore assalto sonoro senza compromessi, mixando l’aggressività dell’elettronica con la potenza algida e chirurgica dell’heavy metal. Il risultato all’epoca inaudito fu (ed è tuttora) sorprendente, oltre che precursore dell’intero movimento industrial, ambito in cui i Ministry rimangono tutt’ora, seppur tra alti e bassi, pionieri.
E allora bando alle ciance e immergiamoci in questo tour de force elettronico che è The Land of Rape and Honey. Il titolo del disco è dissacrante (palese il richiamo a mo’ di presa in giro ai Caravan di The Land of Grey and Pink) e anticipa a parole una vera e propria dichiarazione d’intenti: destrutturare le convenzioni musicale dell’epoca. Il songwriting è lineare, robotico, freddo. I brani si susseguono asfittici, martellando l’ascoltatore incessantemente. Questo risultato è in parte dovuto all’ottimo missaggio che ha reso asettico e chirurgico il suono dei Ministry, privandolo di ogni traccia di calore umano e automatizzando il sound in qualcosa di cibernetico. L’inziale Stigmata è la base che fornisce il canovaccio stilistico a tutto il disco. In questo brano troviamo la voce sforzata e sporca d’effetti metallici di Jourgensen, sempre meno umana e sempre più ossessiva man mano che il disco procede. In secondo piano emergono i sintetizzatori potenti, i bassi pompati, le chitarre stoppate e la macchinosa drum machine, martellante e fortemente ritmata, programmata in modo da fornire pochissime variazioni significative, ribadendo il concetto d’ossessività potenziata dalla strenua ripetizione. Altro highlight del disco è Deity, dalle ritmiche campionate dal retrogusto thrash, con un AJ che si limita a vomitare liriche, spesso e volentieri ripetute più volte, affinché il messaggio penetri. C’è spazio anche per brani più marziali e cadenzati, come Golden Dawn o Destruction, dove fa capolino un maggiore groove, seppur sempre robotico, quasi monotono nel riproporre senza soluzione di continuità la stessa linea di basso e batteria. La seguente Hizbollah invece rimane impressa per la litania araba, unico rimasuglio umano in aperto contrasto col sintetico tappeto campionato in sottofondo. La titletrack è un manifesto, una dichiarazione d’intenti vera e propria: il punto di non ritorno che vede i Ministryabbandonarsi definitivamente a bordate industrial glaciali. Si ritorna finalmente a ritmi più sostenuti con la tripletta finale, che vede tra le altre una scheggia impazzita nonché perla nascosta come I Prefer, che in quasi tre minuti colpisce duro con suoni di sintetizzatori cafoni e senza alcun calo di tensione.
The Land of Rape and Honey riuscì ad ottenere un grande riscontro in termine di vendite, lanciando definitivamente la carriera dei Ministry. Questo fu possibile gli elementi che lo compongono sono perfettamente bilanciati, tant’è che l’album suona ancora fresco e innovativo, oltre a riuscire nell’improbabile quanto nobile intento di unire musica estrema e senza compromessi ad un approccio più accessibile alle masse, fondendo generi apparentemente inconciliabili come l’heavy metal e la musica elettronica.
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13
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X Lucio. Bene ti sia piaciuto. Per me è il loro disco più intenso e migliore a livello compositivo, ma anche di produzione. Senza nulla togliere a psalm69. |
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12
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Di quell'album sisceghamente ricordo con piascere la cover di Lay Lady Lay di eeeeeeeeee Bob Dylan! |
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11
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Ascoltato anche Filth Pig.. Che dire: Dei 4 finora sentiti mi pare quello più Monolitico ed inoltre la presenza di rimandi ad Alice in chains, Soundgarden e quindi di riflesso ai Led Zeppelin, è almeno per Me, preponderante... Per finire, ho visto che non c'è la Recensione di questo Album.. |
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10
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Ascoltato... Rispetto a The mind.. lo ho trovato più compatto però secondo Me, anche se quest'ultimo (The mind..) è più altalenante, le prime Tre canzoni sono ad un livello più alto.. Prossimamente ascolterò anche l'altro Album consigliatomi e poi tirerò le somme... Comunque fino ad ora nessuna delusione.. Visto che non è il mio Genere, è già buona.. |
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9
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Oggi me lo sono riascoltato ben 2 volte questo terremoto sonoro.... Che spettacolo!
Rimane sempre uno dei pochi dischi che metterei per animare un mega party di selvaggi arrapati.... Monime9!
Ossequi!! |
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8
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Ma la rece dell ultimo? |
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7
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Assieme a Psalm 69 l'apice dei Ministry, un monumento dell'industrial: canzoni come Stigmata o Deity sono un punto di riferimento per chi vuole suonare tale genere. Voto 95. |
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6
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Nel testo della recensione c'è un errore madornale... Il titolo è una storpiatura di "land of milk and honey", ovvero il modo in cui ci si riferisce ad Israele nel vecchio testamento. Tra l'altro, nel testo della title track questo rimando è chiarissimo. |
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5
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Disco monumentale. Per i tempi distruttivo. Uno dei manifesti dell'industrial metal e uno dei più riusciti dei Ministry. 95/100 |
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4
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Disco che ha mantenuto negli anni tutta la sua carica violenta e disturbante. Ossessivo e claustrofobico come l'industrial deve essere, nessuna luce fuori dal tunnel. 90 voto giusto |
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2
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disco storico dell'industrial metal....fondamentale.... |
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1
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Il mio preferito insieme a P69, una colonna dell'industrial metal...90 anche per me. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Stigmata 2. The Missing 3. Deity 4. Golden Dawn 5. Destruction 6. Hizbollah 7. The Land of Rape and Honey 8. You Know What You Are 9. I Prefer 10. Flashback 11. Abortive
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Line Up
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Al Jourgensen (Voce, Chitarra, Programmazione) Paul Barker (Basso, Tastiere, Programmazone)
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RECENSIONI |
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