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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Ministry - Dark Side of the Spoon
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01/04/2023
( 979 letture )
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La nave dei Ministry salpò per la settima volta, nel 1999, con Dark Side Of The Spoon e fu occasione per molti fan di vecchia data di prendere una scialuppa di salvataggio ed abbandonare la nave, mossa già iniziata in realtà con il precedente Filth Pig, che però sembra essere stato rivalutato nel tempo e mantenuto, da molti, tra i migliori lavori della band. Questo disco, invece, pare essere ancor più divisivo, in posizioni che lo considerano una perla sperimentale sottovalutata e altre che lo ritengono un limpido passo falso, privo di idee e della spinta rabbiosa che ha sempre caratterizzato la band. Il titolo prese spunto, evidentemente, dai Pink Floyd sostituendo però il cucchiaio alla luna, visto l’oscuro periodo in cui la band ancora era immersa a causa della dipendenza dalle droghe. Già con il precedente lavoro la strada era stata indirizzata verso un sound più heavy e Dark Side of the Spoon segue tale direzione con una maggiore predilezione per riff aggressivi di chitarra. Il risultato potrebbe sembrare, per alcuni, confuso, privo d’identità, incapace di decidere cosa vuole essere, ma non si può non notare tanta genialità in così tanta semplicità e stravaganza. Ogni brano ha una sua personalità nascosta, che emerge gradualmente manco fosse il cervello affollato di Billy Milligan. L’esplosività metal viene gradualmente diluita dopo Bad Blood e si dilata fino ad espandersi in divagazioni industrial-orientali in un’ipnosi dissacrante. Tutti i brani si susseguono con una facilità sconcertante. Alternano caldo e freddo, ilarità e decadenza. È una sorta di trip in versione dark-stravaganza psichedelica alimentata da alcol e droghe con uno spesso strato di fuzz e campionamenti folli in sottofondo. Eccellenti le linee di basso distorte, spesse e pesanti dell’immenso Paul Barker sincronizzate perfettamente con i ritmi martellanti di Rey Washman con una batteria lenta ma presente ed efficace quando necessario. Le chitarre stridenti di Svitek e Al Jourgensen macinano forte con effetti talvolta micidiali. Quest’ultimo tenta di emulare Jim Morrison meglio che può, con una nenia drogata e oscura; successivamente si sfoga in brani più carichi e tirati per poi diventare, col passare delle tracce, un po’ scarico e poco incisivo nel songwriting e nell’intenzione.
Se cercate indignazione e aggressività repressa, Supermanic Soul, è, forse, l’unica che vi stuzzicherà il palato con la sua croccantezza. Uno snervante pezzo industral-core isterico, immediato e dritto come un pugno in faccia quanto Bad Blood, che è, probabilmente, il pezzo forte del disco e quello più noto, in pieno stile Ministry, entrato nella colonna sonora di The Matrix e nominata nel 2000 ai Grammy come Best Metal Performance. Whip and Chain è paranoica, sofferente e autolesionista imbastardita egregiamente da una ritmica ripetitiva in cui le chitarre restano in sottofondo a sporcare l’atmosfera. Da Eureka Pile in poi i toni cambiano e rasentano la banalità ma in modo meditativo. L’incredibile ritmica di basso e batteria sputa note ipnotiche amplificate da vocalizzi mediorientali in cui però il cantato risulta scanzonato e poco incisivo rendendola più scarna di quello che sarebbe potuta essere. Tale attitudine del leader prosegue anche nella southern-punkrock Step, che i piatti jazz e l’ìndustrial swing rendono una semplice ballata robotica e coraggiosa ma la sua parte vocale esilarante apporta, purtroppo, poca roba; ancora, in Nursing Home si percepiscono le contaminazioni new wave con un riff di basso suadente, un banjo e un sassofono esaltante, mentre la vocalità polemica di Al è ancora una volta a contorno dell’arrangiamento. La performance del leader ritorna ad essere espressiva in Kaif dove chitarra e basso spaccano le ossa in un lento notturno e oscuro. La sua parte vocale termina qui visto che in Vex and Silence passa il microfono perverso a Barker, mentre la batteria audace, meccanica ed essenziale trascina il moto ondulatorio delle sensazioni provocate. Jourgensen conclude spostandosi al sassofono nella conclusiva traccia strumentale che non spicca molto se non per quel vezzo d’assolo che rende definitivamente apprezzabile o detestabile, a seconda del gusto, la predisposizione al free-jazz nel tentativo di distinguersi, col rischio, però, di rendere il complesso difficile da approcciare.
Dark Side of the Spoon sfida la vostra mente a viaggiare ed esplorare nuove possibilità seppur in modo ancora rudimentale, spingendosi in sonorità che la band non aveva mai cercato in passato, ma mantenendo la tipica atmosfera lugubre dei soliti Ministry. Un disco contorto e disordinato, senza un filo conduttore che non fosse l’eroina che li trascinava. Questi 45 minuti di atmosfera industrial, guidata da colpi di batteria e bassi incessanti, dove la grinta viene persa col passare delle tracce a discapito di un affascinante, ma forse problematico istinto all’astratto ed all’allucinogeno, risultano forse più accessibili di Filth Pig ma anche meno impattanti. Un lavoro non certo imprescindibile, ma che andrebbe scoperto ed ascoltato almeno una volta, e, di sicuro, una casella che non può mancare ai fans più fedeli, se non altro, per completare la loro discografia.
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2
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per me anche è un 80 pieno. |
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1
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Non un capolavoro come i due precedenti album in studio, ma sicuramente il disco più malato è depresso dei Ministry. No future, no hope. Io lo adoro. Comunque un 80 ci può stare. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Supermanic Soul 2. Whip and Chain 3. Bad Blood 4. Eureka Pile 5. Step 6. Nursing Home 7. Kaif 8. Vex And Siolence 9. 10/10
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Line Up
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Al Jourgensen (Voce, Chitarra, Elettronica, Banjo, Sassofono) Louis Svitek (Chitarra, Elettronica) Paul Barker (Basso, Elettronica, Voce) Rey Washman (Batteria, Elettronica)
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RECENSIONI |
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