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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Virgin Steele - Visions of Eden
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16/07/2022
( 2026 letture )
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Dopo i due mastodontici The House of Atreus, David DeFeis comincia a scrivere il copione dell’opera teatrale Lilith, incentrata sulla leggenda sumera della prima donna e prima moglie di Adamo, creata da Dio contemporaneamente al marito e cacciata dall’Eden perché ribelle ai voleri del consorte. Lilith è il simbolo stesso delle antiche società matriarcali, e il suo esilio all’Inferno -dove genererà con Lucifero tutti i demoni- rappresenta la fine del potere femminile e l’avvento delle civiltà patriarcali con conseguente sottomissione della donna. Tra il 2004 e il 2005 l’opera viene rappresentata nei teatri tedeschi dalla compagnia Landestheater Schwaben, mentre i Virgin Steele iniziano le registrazioni della trasposizione in musica della prima parte di quella che intende essere una futura trilogia. L’album che ne viene fuori, Visions of Eden (sottotitolo The Lilith Project – A Barbaric Romantic Movie of the Mind), è probabilmente il più ambizioso, teatrale e controverso progetto mai portato a termine da DeFeis e compagni. Le critiche principali vengono mosse alla presuntuosa produzione, eccessivamente casalinga e a dir poco sminuente delle meravigliose melodie contenute nel disco. Le tastiere vengono poste smodatamente in risalto, soffocando e devastando il lavoro di chitarre e batteria. A proposito di pelli, si ha in alcuni brani l’impressione che venga utilizzata una drum machine fredda e impersonale, fatto che snatura gravemente il sound puramente epic metal che la band ha sempre avuto. Soltanto nella ristampa del 2017 -curata dalla SPV- le cose vengono finalmente aggiustate: la batteria e il cantato acquistano in potenza, le tastiere vengono giustamente ridimensionate, le chitarre tornano ad essere protagoniste, seppure in questo lavoro il portentoso Edward Pursino e il valido Joshua Block siano nel complesso incomprensibilmente sottoutilizzati. Altro difetto universalmente riconosciuto è l’eccessiva prolissità. La durata media delle tracce è di sei/sette minuti e a volte ciò si traduce in un ascolto che diventa snervante. Non è semplice riuscire a terminare l’album per intero e soprattutto verso la fine, dove inoltre il valore delle composizioni cala un po’, si avverte la tentazione di abbandonare.
Premesso tutto ciò, occorre finalmente sottolineare i grandi pregi dell’ennesima fatica dei nostri. I punti di forza principali sono essenzialmente due: la consueta perfezione dei testi di DeFeis e la straordinaria bellezza di parte delle melodie, che rientrano di diritto tra le migliori in assoluto mai scritte dal musicista di Long Island. Il brano d’apertura, ad esempio, Immortal I Stand (The Birth of Adam), è una cavalcata epica di inestimabile valore, probabilmente l’ultimo leggendario capolavoro dei nostri. Il dialogo fra Dio ed il neocreato Adamo viene furbescamente musicato da DeFeis in modo da adattare la composizione e l’atmosfera del pezzo -quest’ultima, sia qui che in tutta la tracklist, maggiormente cupa rispetto alle cose passate- alla propria ugola, che non è più quella ruggente di un tempo. Il mastermind riuscirà in quasi tutto l’album a realizzare questo tipo di adeguamento, compensando così l’inarrestabile calo delle proprie prestazioni vocali. Il pezzo successivo, l’interminabile Adorned with the Rising Cobra, racconta della nascita di Lilith e della sua fiera ribellione alla prepotenza di Adamo e di Dio stesso, e rappresenta in toto pregi e difetti del disco. Lunghezza eccessiva, melodie che si avvitano ripetutamente su loro stesse, eppure magnificenza assoluta, cantato da brividi e ritornello a dir poco meraviglioso.
Run from my arms... don’t run from my arms Sleep and forget you were born Fear not my face or my Savage Grace All become numb with the Dawn
Appare abbastanza evidente come Visions of Eden possa quasi essere considerato un album solista di David DeFeis; ad ulteriore riprova di ciò vi è il fatto che mai come adesso le tastiere sono state così al centro della scena, relegando sovente a semplici coprotagonisti gli altri strumenti. Se tale tendenza si avverte già dai primi due brani, è a partire da The Ineffable Name che essa emerge ancora più evidente. Il pezzo in questione, la cui bellezza risiede ancora una volta nello splendido inciso nonché in un grande assolo di pianoforte, narra della cacciata di Lilith dall’Eden e della creazione di Eva, nata per essere completamente sottomessa ad Adamo. Black Light on Black è uno degli episodi più violenti e significativi del disco; una ringhiosa Lilith urla la sua rabbia dopo la scoperta dell’esistenza di Eva (Fuck you Adam, fuck you Eve, fuck your God and his infernal needs) e finalmente Pursino si manifesta imperioso con uno straordinario assolo, che introduce una lunga e morbida parte centrale, funzionale essenzialmente per il prosieguo della storia. Bonedust è una delle tracce più dirette e potenti dell’album, caratterizzata da bellissimi riff di chitarra e da un elegante cambio di tempo, dosato nel modo corretto. Tre angeli neri vengono inviati da Dio all’Inferno per riportare Lilith nell’Eden ma ella minaccia di pronunciare il nome segreto di Dio. Se lo facesse, l’intero universo verrebbe distrutto. La narrazione di questo incontro prosegue poi con Angel of Death, epica e nello stesso tempo delicata ballata con un ritornello ancora una volta preziosissimo, reso straordinario dal sublime coro in sottofondo.
Your God’s not forgiving He’ll leave you in shame But I know the one charm For I know the Name
Nel momento in assoluto più soft e lineare dell’album, God Above God, Lilith prega Dio di lasciarla in pace e spera in un Dio sopra Dio insieme al quale dominare il mondo. Figura questa che si manifesta infatti nel brano successivo, The Hidden God. Si tratta di un mid-tempo orientaleggiante e di buon impatto, ma eccessivamente lungo e qualitativamente inferiore rispetto a quanto fino ad ora ascoltato. La divinità che si accoppia con Lilith non è altri che Adamo sotto le mentite spoglie di Samael, inviato da Dio stesso per ingannare e sottomettere ancora una volta la donna. L’ultima parte del disco fatica a raggiungere i livelli della prima ed è specialmente nelle ultime quattro tracce che l’ascolto si fa arduo. Il velocissimo epic metal di Childslayer -nel quale Lilith giura vendetta contro Adamo/Samael minacciando di uccidere tutti i figli avuti da quest’ultimo con Eva- non soffre tanto di prolissità quanto di una melodia non certo memorabile. Proseguendo, la delicatissima When Dusk Fell, pur essendo una ballata degna di questo nome, non trae certamente giovamento dai suoi sette minuti di durata. Al calare delle tenebre Lilith irrompe nell’Eden insieme ai demoni da lei generati per compiere la sua vendetta e nell’episodio finale, che è poi la title-track, avviene la resa dei conti con Dio, Adamo, Eva ed i tre angeli neri. La condanna da parte di Dio è definitiva e la regina dell’Inferno si congeda dalla storia con il proposito di rinascere in un nuovo mondo, con leggi terrene e non divine, dove il male ha la meglio sul bene. L’album scema infine con DeFeis che invoca le principali divinità mesopotamiche (Kali, Astarte, Shiva, Iside, Ishtar, Ecate, Cristo). Musicalmente parlando anche in questo epilogo si ha l’impressione che la composizione sia sacrificata -oltre che diluita- in favore della narrazione.
Tirando le somme, Visions of Eden è probabilmente il disco più ostico dei Virgin Steele nonché quello in cui risalta maggiormente lo strapotere lirico, compositivo e persino esecutivo di David DeFeis. Se dal punto di vista narrativo non si può non parlare di capolavoro assoluto, da quello strettamente musicale il giudizio è un po’ diverso. Alcuni passaggi e soprattutto alcuni ritornelli restano tra i migliori mai realizzati dalla band. Di contro l’eccesso in lungaggini, che nei brani iniziali può essere tollerato poiché compensato da melodie sublimi, nella seconda parte del platter ove non sussistono particolari picchi, rende l’ascolto piuttosto estenuante. Il vero aspetto negativo è infine rappresentato dalla incomprensibile produzione, anche se, come già evidenziato, il rimedio, sia pur parziale, arriverà dopo ben undici anni. Tali difetti fanno ancora oggi sì che l’album venga parecchio sottovalutato e considerato da molti come un parziale passo falso. Giudizio impietoso oltremisura poiché in effetti il suo vero valore non si discosta di molto rispetto alla perfezione del decennio precedente. È vero, i tre Marriage e i due Atreus rimangono irraggiungibili per bellezza ed equilibrio. Qui manca a tratti un tantino di equilibrio, ma la bellezza c’è tutta, eccome se c’è.
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9
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Insieme al successivo secondo me l'ultimo vero lavoro meritevole dei virgin stelle. Sicuramente il remix ha dato maggior forza alle composizioni anche se la batteria palesemente campionata non mi fa impazzire. 80 |
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8
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Oddio… quando è uscito per me fu una mezza delusione, poi con gli ascolti successivi anno dopo anno l’ho rivalutato un po’, non così tanto però da poterlo considerare un capolavoro. Si è sempre parlato, a ragione ci mancherebbe, della sua produzione: la batteria che puzza di drum machine, le chitarre - a parte gli assoli - fin troppo sullo sfondo (era un qualcosa che già si poteva intravedere da lontano anche in The House of Atreus). Ma per il sottoscritto il problema vero qui è che non tutti i pezzi sono coinvolgenti come Immortal I Stand, o come la splendida doppietta slow Angel of Death / God Above God. Fossero stati tutti a questo livello avrei amato quest’album, a prescindere dalla produzione. Capisco benissimo che possa piacere, è comunque un album 100% Virgin Steele. Anche a me alla fine non dispiace, ma lo ritengo comunque inferiore (e in qualche caso di parecchio) a qualsiasi cosa fatta precedentemente dalla band dai tempi di Guardians of the Flame. Qui - col senno di poi - qualcosina comincia a scricchiolare. Voto 77 |
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7
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Nonostante siano tra i miei gruppi preferiti dopo i due House of Aetrus non sono mai riuscito ad apprezzare i dischi successivi. Questo album dopo già tre canzoni mi stanca. Produzione pessima, voce in calo evidente, brani troppo troppo lunghi. Peccato. |
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6
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Concordo sul fatto che questo disco contenga alcune delle melodie più belle scritte da De Feis. Globalmente, forse gli preferisco i due Atreus e la saga dei Marriage, ma è sicuramente un album che solo loro avrebbero potuto comporre. |
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5
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La produzione originale ha fatto passare questo album per un mezzo passo falso. In realtà è un capolavoro madornale, avrei preferito che lo avessero risuonato completamente, ma il remix va bene lo stesso. Qualche lungaggine di troppo, come sottolinea il recensore, ma come si fa a non co sfoderare geniale un'opera del genere? Impossibile dargli un voto basso, nessuna band al mondo riuscirebbe a creare una cosa simile. I fatti stanno così. Come sottolinea la recensione, magari non c'è l'equilibrio perfetto degli album precedenti, ma un disco del genere si venera e basta. |
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4
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Fasanez@ mi immagino lo spettacolo! purtroppo negli anni d'oro ero in sicilia e per vedere un concerto bisognava prendere un treno che per arrivare a destinazione impiegava 20 ore! Ne ho visti tanti , ma non tutti vista la difficolta' geografica e scarsamente se non assolutamente precaria organizzativa dei live! Da adulto essendomi stabilizzato per lavoro al nord ne ho visti molti di piu' di live…… . |
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3
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@Christian Non li hai mai visti? ahi ahi ahi. Io li ho persi dopo Atreius, ma li ho visti live almeno... 4 volte, nei tour dei Marriage e in paio un festival se non erro. Fantastici. |
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2
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Concordo… @epic… mi piacerebbe un giorno vederlo live in italia! Una delle mie band preferite di sempre! Artista molto sottovalutato… band di molto Superiore ad altre band blasonate e sopravalutate dello stesso genere! Discografia Maiuscola di Defeis |
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1
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Capolavoro, il remix ha reso giustizia. I testi più belli di DeFeis, melodie che sono un genio può creare. È il disco preferito di molti miei amici. Il mio resta La saga the House of Atreus, ma questo qui è di poco inferiore. Nessuna band riesce a comporre roba simile. Voto 87 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Immortal I Stand (The Birth of Adam) 2. Adorned with the Rising Cobra 3. The Ineffable Name 4. Black Light on Black 5. Bonedust 6. Angel of Death 7. God Above God 8. The Hidden God 9. Childslayer 10. When Dusk Fell 11. Visions of Eden
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Line Up
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David DeFeis (Voce, Tastiere, Chitarra, Basso) Edward Pursino (Chitarra) Joshua Block (Chitarra) Frank Gilchriest (Batteria)
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RECENSIONI |
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