|
26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
|
|
CORREVA L’ANNO - # 33 - 1996 seconda parte
07/04/2014 (4210 letture)
|
Ancora portati sul palmo della mano dai magazines specializzati ed idolatrati dalle folle di ragazzini nonostante la loro proposta ruvida e feroce, nel 1996 i texani Pantera non avevano ancora esaurito quella verve devastante, fonte primaria di una clamorosa escalation sull'Olimpo del metal estremo. Dopo tre colossali dischi di groove-thrash, la band rilasciò il suo lavoro più pesante e corposo, The Great Southern Trendkill: il disco era costruito sui classici riff granitici di Dimebag Darrell, che qui venivano però dilatati ed irrobustiti oltre misura, abbandonando quasi del tutto la velocità frenetica di pezzi come Fucking Hostile e simili. A parte qualche sparuto episodio, infatti, l'album prevedeva massicci e corposi mid-time, spessi come la roccia, ossessivi e infestati dalla voce sguaiata e feroce di un Phil Anselmo mai così soffocante. Per molti si trattava dell'ultimo grande capolavoro dei Pantera, che pur avrebbero pubblicato ancora un full length negli anni a venire; pezzi cadenzati come l'ipnotica Drag the Waters erano destinati a diventare dei nuovi cavalli di battaglia per il quartetto americano, che pure andava incontro ad alcune frizioni interne che ne avrebbero minato la serenità. Spiegava al tempo Vinnie Paul Abbop: 'L'ultimo album era fottutamente intenso, il più violento che avessimo mai fatto. Per questo disco invece ci è capitato spesso di iniziare a scrivere alle cinque del pomeriggio per finire alle tre del mattino. A quell'ora eravamo letteralmente spompati e così, dopo esserci presi una pillola per il mal di testa, ci sedevamo intorno al camino e iniziavamo a scrivere qualcosa di più rilassato. E' da queste session improvvisate che è uscita fuori una linea più melodica, ci è piaciuta così e abbiamo deciso di inserirla nel disco. Non c'è stata nessuna premeditazione'. A chi gli chiedeva se fossero una band di inguaribili arrabbiati, il drummer rispondeva così: 'Non so se siamo arrabbiati, di sicuro siamo irascibili. La nostra musica è aggressiva e dura, ma noi non possiamo creare canzoni che parlano di baciare i fiori o fare l'amore nel bosco'! Il 13 luglio 1996 Phil Anselmo fu ricoverato in ospedale in stato comatoso a causa di un'overdose di eroina raggiunto dal cantante a solo un'ora di distanza dalla fine di un'esibizione in Texas. Durante la crisi, il cuore di Anselmo si fermò per quasi cinque minuti prima di riprendere miracolosamente il battito grazie all'intervento dei paramedici, che lo rianimarono con un'iniezione di adrenalina. 'Sono contento che sia accaduto questo', dichiarò Anselmo: 'Sono contento perché ora so, perché ora potrò raccontare alla gente come la vera avventura sia la vita, come ogni singolo fottuto giorno riesco a scoprire qualcosa di nuovo, come il rispetto per la tua famiglia, i tuoi amici non sia soltanto una parola. E sono contento perché finalmente un pò di logica è entrata nel mio cervello'. Nelle lunghissime interviste concesse alla stampa, il singer dichiarò di essere sprofondato nel dramma della dipendenza più per sfida che per altro: 'E' stata una prova, un tentativo per vedere fino a che punto sarei arrivato, fino a che punto avrei potuto riprendere il controllo su me stesso; ma quando ti droghi non c'è più controllo. Mi credevo forte, ma solo ora so di avere veramente quella forza. Ci sono persone che sentono il bisogno di lanciarsi con un paracadute o di scalare una montagna a mani nude, io volevo andare in basso, volevo nascondermi in un buco silenzioso, da solo, dove non ci fosse gente che crede di sapere tutto su di me solo perché lo ha letto su un giornale. Ma da questo test ho imparato, sono uscito nuovamente allo scoperto ed ho trovato un posto migliore. Ho capito che ognuno ha i suoi problemi, e che non è possibile far girare il mondo a modo tuo. Posso dire che forse l'overdose è la cosa migliore che mi sia capitata, perché in questo modo ho imparato più cose su me stesso e sugli altri'. Allo stesso tempo, spiegò che i suoi compagni di band non avevano davvero la percezione di quello che gli stesse accadendo: 'Non sempre suonare ogni sera sullo stesso palco vuol dire riuscire a capire perfettamente come se la sta passando un altro. Se proprio lo vuoi, ci sono molti momenti per starsene da soli in tour, chiamala privacy o come ti pare, e in fondo se non voglio farmi scoprire dagli altri posso sempre inventare tante scuse, i drogati sono maestri nell'inventarsi scuse. Credo che tutti ovviamente si fossero accorti che c'era qualcosa di diverso in me, Dimebag più di tutti, ma non è facile dire 'ehy, dobbiamo parlare, risolvere tutto e fra due ore salire sul palco'. Tutti quelli che mi conoscono sono stati devastati da ciò che mi è accaduto e questo mi ha fatto sentire un verme, perché sono stato incapace di ripagare quell'amore e quel rispetto che molte persone avevano nei miei confronti, ma so proprio che proprio grazie a questo non potrò più osare farmi del male'. Il cantante giurò che non avrebbe più fatto uso di stupefacenti, ma invece ci ricadde poco tempo dopo: i fratelli Abbott cercarono di intervenire ma furono allontanati bruscamente. Fu l'inizio di una lacerazione profonda tra le due parti: da quel momento la storia dei Pantera avrebbe subito una notevole sterzata. Eppure le intenzioni di Anselmo sembravano genuine, col cantante alle prese con dichiarazioni più sentite e profonde che mai: 'L'amore è la volontà, quella che ti spinge ad alzarti ogni mattina e sapere che dovrai affrontare delle sfide, che potrai vincere o perdere ma che almeno non ti sarai tirato indietro. Sono passato attraverso un periodo in cui ero così critico, così pronto ad attaccare gli altri e invece ho visto che gli altri, nel momento in cui ero caduto al punto più infimo della mia vita, hanno allungato una mano e mi hanno aiutato. Io voglio continuare a vivere anche fosse solo per questo gesto, per ringraziare con la mia vita chi mi ha teso la mano. Ma questo non è un discorso spirituale e non voglio cadere in nessuna squallida fede, è qualcosa di decisamente più reale'. Superato il dramma, la formazione americana continuò con l'intensità di sempre la sua attività on the road; alcune esibizioni della band nel corso di quel 1996 furono registrate e pubblicate nell'estate 1997 all'interno del live Official Live: 101 Proof, una grande testimonianza della potenza sprigionata on the road da questa formazione indimenticabile, capace come poche di lasciare un segno tangibile ed indelebile nella storia della musica dura degli anni Novanta.
L'evoluzione è alla base della crescita e del progresso di ogni individuo. E' qualcosa di grandioso e di imprevedibile al tempo stesso, e in pochi -in ambito metal- possono incarnarne l'essenza quanto i britannici Carcass, che dopo aver esplorato i territori più complessi, elaborati e melodici del death metal con due dischi tecnici e devastanti come i poderosi Necroticism ed Heartwork diedero un'ulteriore, clamorosa svolta alla loro carriera. Chi era stato massacrato dal grindcore furibondo e dai testi splatter di Reek Of Putrefaction o dal death feroce di Symphonies Of Sickness, a fine anni ottanta, non avrebbe mai osato immaginare dove si sarebbero spinti i quattro di Liverpool: dal suono grezzo e morboso degli esordi, che loro stessi avevano contribuito a codificare, si erano spostati come detto ad un death metal molto complesso e innervato da virtuosi complementi melodici, che non perdeva in potenza e velocità e restava assolutamente letale; in quel 1996, tuttavia, il quartetto albionico rilasciò il suo quinto disco, Swansong, il quale era di fatto l'ennesima incarnazione di una band che non voleva mai ripetersi. Cinque dischi e cinque generi diversi, cinque pietre miliari e cinque modi di evolvere il metal estremo: questa volta si deflagrava nel death'n'roll, privilegiando godibili riff rock e mescolandoli con la voce gutturale tipica del death. Per la prima volta, i Carcass abbandonarono le rapide sfuriate ritmiche a rincorsa, per dedicarsi a mid-tempos quasi catchy ma mai commerciali, di certo meno feroci dei vecchi classici. I fan storici e gli addetti ai lavori rimasero interdetti, molti non capirono immediatamente il nuovo corso e non apprezzarono l'assenza di stacchi dinamitardi e sfuriate up-time: a suo modo, tuttavia, Swansong era geniale e avanti con i tempi, rappresentava il sigillo a coronamento di un'Era e poneva fine all'implacabile e clamorosa parabola evolutiva dei suoi fautori, che di lì a poco si sarebbero sciolti a causa dell'incompetenza e dell'ipocrisia dei discografici. Era effettivamente strano inserire nello stereo il nuovo disco di una band simbolo del death metal più potente e tecnico del pianeta, per poi imbattersi nel riffery hard rock e nei refrain catchy di Keep on Rotting in the Free World o della coinvolgente Rock the Vote, nel groove oscuro di Black Star o nel tiro vivace di Cross My Heart. Non c'era più Michael Amott a innestare la sua tecnica e la sua melodia squillante nel sound nervoso e veemente della band inglese: l'uomo che ne aveva in parte cambiato la traiettoria, modellandone il sound e stratificandone le strutture sin dal suo arrivo -ai tempi di Necroticism- aveva lasciato la line-up per dedicarsi ad un progetto personale, ed era stato sostituito da Carlo Regadas. Il cambio si sentì eccome, anche se in realtà era sempre stato Bill Steer la principale fucina di riff: il biondo chitarrista era ancora presente ed ispirato, ma nonostante ciò preferì cambiare in modo consistente l'orientamento del suo songwriting, che pur restava incentrato su pregevoli assolo melodici, inconfondibili nelle sfumature e nelle sonorità. Il lavoro delle chitarre era imbevuto di quel classico suono melodic-death che tanto era stato portato in voga dalle band svedesi: era percepibile nel mood melodico di Child's Play, ad esempio, ma anche in molte altre porzioni del disco. La stessa Rock the Vote era forse l'episodio più emblematico del platter: il gancio melodico che rendeva irresistibile il riff portante, il corposo lavoro del drummer Ken Owen col doppio pedale, l'ariosa apertura melodica in sede solista e Walker che nel refrain canta 'Is this really rock'n'roll? Or a form of state control?' ne facevano uno dei momenti migliori del full length, nonché un biglietto da visita per approcciarsi alle nuove fattezze degli storici deathster europei. Owen spiegò le ragione di tale svolta: 'Nella nostra concezione ogni disco deve figurarsi come un passo avanti, in qualsiasi direzione. Non ci siamo mai ripetuti, al contrario abbiamo sempre cercato il rinnovamento. Quando ci siamo occupati della stesura di Swansong eravano scontenti della nostra identità musicale, volevamo dare vita ad un lavoro che davvero potesse rispecchiare la nostra inclinazione; la nostra scrittura è andata progressivamente staccandosi dal passato. La produzione, gli arrangiamenti, i moods che attraversano il disco non hanno perso l'intensità e la pesantezza che da sempre ci contraddistinguono, ma il suono è meno veloce di un tempo. In compenso, per me questo disco ha molto groove; mi aspetto un buon numero di critiche perché so che certi cambi di direzione non sono ben accetti dai puristi: vorrà dire che perderemo tutti quei fans legati ancora alla nostra immagine di grind-death band mentre manterremo legati a noi tutti coloro che con noi sono cresciuti ed hanno ampliato le proprie vedute musicali. Non siamo interessati ad avere nel nostro pubblico ascoltatori coi paraocchi, aspiriamo ad un pubblico adulto e maturo, pronto ad apprezzare le diverse sfumature dei generi che la musica offre. Non abbiamo maturato questo per vendere più copie, non ne abbiamo certo bisogno: i Carcass non hanno mai prestato attenzione a ciò che è trendy o popolare'. Le grane erano però evidenti, in casa Carcass: la casa discografica pretendeva un disco più commerciale e voleva trasformare la band in un veicolo per portare il metal estremo alle masse. Si arrivò addirittura a pretendere delle clean vocals da parte del bassista Jeff Walker, che rifiutò strenuamente: il braccio di ferro portò a lunghi ritardi sulla pubblicazione e allo sfinimento dello stesso Steer, che decise di mollare la band a seguito delle invasive interferenze della label. Senza di lui non fu possibile neppure supportare il disco con un tour di addio e la leggenda dei Carcass si esaurì all'improvviso, prematuramente. Spiegava al tempo Ken Owen, a proposito delle diatribe con la Columbia: 'Quello che non condivido è la loro totale indifferneza nei confronti dell'opinione dell'artista e la pretesa di interferire troppo nella parte musicale. Pretendevano di cambiare il nostro approccio facendo cambiare a Jeff le sue vocals a favore di linee morbide e poppy, noi non abbiamo accettato e loro hanno scelto di non pubblicare l'album. A quel punto noi abbiamo richiesto indietro il disco in modo da poterci rivolgere a un'altra etichetta ed è stato allora che sono sorti i problemi, perché la Columbia ci aveva già versato un acconto in denaro per l'advance record che non avevano trovato di loro gradimento. Siamo rimasti fermi quasi due anni: tanto, infatti, ci è voluto per dirimere questa controversia. Per vie legali abbiamo tentato di ritornare in possesso dell'album e dei diritti e lo scontro ha avuto esiti positivi per noi'. Era davvero il canto del cigno: 'La fine del gruppo è stata concepita quasi come una liberazione: ormai si respirava troppa tensione e la situazione si era fatta insostenibile'. Il sipario sarebbe rimasto calato quasi per due lustri, sulla vecchia Carcassa: uno split passato ingiustamente in secondo piano e presto fagocitato dai ritmi impellenti del music-business, cinico ed insensibile di fronte all'estinzione di uno dei più fulgidi pilastri della scena metal estrema. A proposito di controversie, non potevano scegliere un titolo migliore, i britannici Napalm Death, per il loro sesto album: Diatribes arrivava in un periodo di forti tensioni interne, col cantante Barney Greenway in aperto contrasto con i suoi compagni di formazione. L'album segnava un potente ritorno all'ibrido tra death metal e grindcore di album quali Harmony Corruption, abbandonando le componenti più moderne evidenziate dall'ultimo Fear Emptiness Despair; tuttavia sembrò segnare anche la fine del soldalizio tra Greenway e la band, che lo allontanò a fine anno. Il cantante finì negli Extreme Noise Terror, il cui singer Phil Vane lo sostituì proprio nei Napalm Death. Ma le cose non funzionarono -probabilmente da entrambe le parti- e ben presto i due screamer tornarono nella loro formazione d'origine. Da segnalare anche la pubblicazione di God Cries degli Asphyx e Black Earth, disco d'esordio per gli Arch Enemy, una band che era ancora soltanto un progetto solista: quello proprio di Michael Amott, talentuoso killer delle sei corde passato alla storia, come detto, tra le fila dei Carcass. I brasiliani Sarcofago, intanto, rallentarono le loro velocità nel loro quinto ed ultimo lavoro, The Worst, sparendo poi da una scena che li aveva sempre visti come protagonisti secondari ma di culto.
Imponente e per certi versi clamorosa, invece, era stata l'ascesa dei loro connazionali Sepultura, che dal thrash prima rozzo e poi strutturato degli esordi si erano spostati su coordinate thrash-death sempre più influenzate da sonorità moderne e groovy. La band dei fratelli Cavalera completò la sua evoluzione con Roots, il disco che mostrava ormai senza veli l'ampiezza di vedute del combo sudamericano, che in questo disco acquisiva elementi nu-metal e soprattutto contaminava la propria musica con influenze tribali figlie dellla tradizione popolare brasiliana. Se il groove possente e trascinante di Roots Bloody Roots apriva il disco con un tiro inequivocabile, la sorprendente Ratamahatta, cantata in portoghese, lasciava sorpresi i vecchi ascoltatori del quintetto americano, che addirittura registrò un pezzo, Itsari, assieme agli indigeni Xavante, una etnia indigena del Mato Grosso. Gloria Cavalera, moglie del cantante/chitarrista Max e manager della band, tenne un diario personale dell'esperienza nella foresta assieme agli indigeni: 'Abbiamo girato lentamente sopra la tribù con l'elicottero e ci siamo quasi slogati il collo per vedere cosa ci aspettava dai finestrini. Con nostro stupore abbiamo visto maestose capanne di bambù e bambini che correvano ad accogliere l'aereo; i loro volti, proprio come i nostri, manifestavano una grande impazienza. Ad accoglierci abbiamo trovato il rappresentante degli Xavante, Cepasse, il capo Isupto, alcuni anziani e vari membri della tribù. Ci hanno manifestato il desiderio che le due musiche, la loro e quella dei Sepultura, si unissero e diventassero una sola. Siamo stati accolti in maniera meravigliosa, con un cerimoniale che ci ha impressionato molto e ci ha formalmente presentato alla tribù. In fila indiana siamo passati davanti a tutti i suoi membri, anziani, giovani guerrieri e donne che ci hanno accolti manifestando una sincera felicità'. Per la band si è trattato di un vero e proprio viaggio oltre i confini del tempo: 'Una volta conclusa la cena, siamo stati introdotti di nuovo nell'area del Parlamento per una serata di balli e canti tradizionali. Ci hanno fatto sedere su delle panchine in mezzo agli indios, l'unica luce era quella della luna, che creava un'atmosfera di grande intensità, dandomi la sensazione di essere tornata indietro nel tempo. Mi viene spiegato che stiamo assistendo al canto della guarigione Diatsi Wawere, che può essere eseguito intorno alla casa di una persona malata anche per tutta la notte. Alcuni membri della band e della spedizione si uniscono al cerchio e la serata si conclude con grande divertimento di tutti. Più tardi, mentre mi trovo nella mia tenda e ascolto le termiti che mangiano le foglie intorno a noi, mi scopro a meravigliarmi di come l'antica civiltà sia sopravvissuta fino ad oggi, conservando le sue tradizioni. La loro vita va avanti ogni giorno senza preoccuparsi del resto del mondo, niente TV, niente radio o giornali, solo autoconservazione. E' come se avessero attraversato il tempo rimanendo legati ai propri valori. La comunione tra l'etnia indigena e i musicisti bianchi fu sancita da rituali e usanze proprie della tribù: 'I membri della band vengono condotti in una capanna dove vengono donati loro tradizionali bracciali di bambù, le collane di piume e le cinture di corda. Infine vengono applicati i colori che, per la cerimonia della guarigione, sono il rosso dalla vita al collo e sulle cosce, con tre strisce lungo ciascun braccio e sui due lati del torace. Il nero viene invece applicato dalle caviglie alle ginocchia; infine vengono applicate piume ai capelli. Durante la cerimonia arriva l'apparecchiatura per la registrazione, che viene depositata sotto l'albero di mango: gli indios dicono che lì l'acustica è perfetta e gli alberi circostanti ci ripareranno dal sole. La band registra una canzone per prova, alcuni uomini della tribù usano vari strumenti a percussione e battono il piede a tempo con il loro canto, che a volte diventa sempre più forte e in alcuni momenti si riduce ad un sussurro'. Gli indigeni scelsero di esibirsi nel loro canto Datsi Wawere; dopo aver raccolto e registrato materiale a sufficienza, i Sepultura eseguirono Kaiowas: 'Al termine del brano gli indios cantavano 'dure', che significa 'bis'. La band suona ancora e poi parla con alcuni dei musicisti locali; vengono poste molte domande sullo stile musicale, sui tatuaggi e sul loro aspetto'. Era già ora del cerimoniale d'addio, con la tribù che ricoprì di doni i Nostri: 'Abbiamo imparato molto da questa gente semplice: quanto poco abbiano loro e quanto invece noi. Per trovare un dottore devono farsi una passeggiata di 400 chilometri! Sull'aereo, ritornando alle nostre vite, speriamo che questa comunità sopravviva agli ostacoli posti dalla civiltà e ci auguriamo di tornare presto tra loro'. Max Cavalera era molto fiero di questa idea: 'Ho pensato di farlo perché volevo tornare alle radici della musica del nostro paese, radici che risalgono a più di cinquecento anni fa e trovano le loro basi nella musica tribale. Questa esperienza per noi è stata incredibile, qualcosa che non riesco a spiegarmi facilmente: è difficile parlare delle sensazioni e descriverle, perché bisogna viverle per capirle. Ciò che abbiamo fatto noi è molto diverso a quello che fanno molte altre band: molti gruppi introducono ritmi tribali, in studio, noi invece siamo stati a diretto contatto con quella cultura. Siamo stati molto fortunati ad aver avuto l'opportunità di passare alcuni giorni con questa tribù, perché per farlo ci vogliono dei permessi speciali che le autorità non rilasciano a comuni turisti'. Il disco era possente e soffocante, caratterizzato da ritmiche cadenzate e ossessive; non c'era più spazio per la velocità, mentre le inserzioni tribali e gli strumenti tipici del folklore locale creavano un misto di sorpresa e varietà. Max Cavalera lo definì più semplice e diretto dei predecessori: 'Metà album è stato registrato con un'accordatura più bassa, tipica del vecchio death metal e hardcore. Si sentono molto le linee di basso e non ci sono assoli di chitarra. E' un disco meno pensato e più vissuto, più incazzato perché ero incazzato per mille situazioni'. La band era al culmine del proprio successo, ma non era tutto rose e fiori. Anzi: al termine di un tour di successo in Gran Bretagna, alla Brixton Academy il 16 dicembre 1997, la band disse a Max che non avrebbe rinnovato il contratto con Gloria, portando il chitarrista a lasciare la formazione in supporto della propria compagna, la quale peraltro aveva da poco perso in un incidente il figlio ventunenne Dana Wells. Una rottura che sarebbe deflagrata in una sterminata sequela di accuse e contro-accuse, oltre a tarpare di fatto le ali ad una band tra le più importanti e in forma del decennio.
L'ambito estremo non poteva prescindere, ormai da molti anni, dalle nefandezze operate dai massacranti Cannibal Corpse, pronti a tornare a mietere vittime con catramose avanzate di dissennatezza nonostante la separazione dallo storico vocalist Chris Barnes. Il sostituto, George 'Corpsegrinder' Fisher, ne rilevò il pesante testimone più egregiamente, dando inoltre un passo in più alla band grazie alla sua tecnica più raffinata: se Barnes era stato perfetto per i primi quattro studio-album dei boia originari di Buffalo, Fisher era l'ideale sangue fresco che permise all'act americano di rinnovarsi e trovare la definitiva maturazione, senza perdere un'oncia della sua proverbiale violenza. Vile era un elaborato folle e violento, che però conteneva in parte le velocità tipiche della band per sperimentare tempi saltellanti e talvolta meno tirati: vocals brutali e gutturali, riff carnosi affilati come rasoi, assoli acuminati, blastbeat duri e lucidi come marmo, ritmiche calzanti, tamburi spietati come colpi d'accetta, ripetuti cinicamente a velocità esorbitante. In realtà, già da The Bleeding la band aveva leggermente modulato le proprie mitragliate rapide, adottando anche sfumature più cadenzate ed evitando di spingersi alle sfrenate rapidità supersoniche di Tomb Of The Mutilated, pur restando molto più veemente di tanti altri concorrenti sulla piazza. Affermava al tempo il bassista Alex Webster: 'The Bleeding ha dato il via ad un nuovo corso per i Cannibal Corpse e Vile ne è il proseguimento ideale. E' ricco di sonorità pesanti, selvagge e brutali, ma è privo di sonorità in eccesso. I vocalizzi di George, poi, sono la ciliegina sulla torta. Contrariamente a Chris, che rimane comunque un grande vocalist, George è in grado di raggiungere tonalità più alte e più varie. Utilizza le sue corde vocali in tutt'altra maniera, è più aspro e acuto, mentre Chris aveva una voce profonda e cavernosa. Non sarebbe stato sensato scegliere un cantante simile a Chris, non volevamo un suo clone'. La scelta di mandare via Barnes era stata doverosa: 'E' difficile spiegare come sono andate le cose, non voglio dire nulla di spiacevole su Chris né parlare di ciò che è accaduto in sua assenza perché non sarebbe corretto. Posso solo dire che avevamo delle opinioni divergenti circa una quantità di cose che riguardavano il nostro gruppo, per cui abbiamo preferito interrompere il nostro soldalizio prima che fosse troppo tardi'. Il nuovo disco, comunque, era il classico olocausto di ferocia inaudita firmato Cannibal Corpse, la rappresentazione più fedele dell'estremismo messo in musica esaltato dalle scioccanti copertine splatter. Un massacro organizzato a regola d'arte, con tecnica sopraffina e precisione chirurgica ad animare gli schizzi di sangue, le budella scagliate sul muro, le teste mozzate e spaccate dopo cacofonici impatti col suolo. Si trattava dell'ennesima pietra miliare nella storia del brutal death metal, il quinto capolavoro -su cinque- dei terribili distruttori floridiani, probanti ed efferati nelle loro furibonde orge di violenza sparate con disumana potenza e scarnificante velocità dalla congiunzione letale di chitarre compresse e ritmiche telluriche: pesanti come una valanga di macigni su un negozio di cristalli, i Cannibal Corpse si erano piano piano ritagliati un ruolo sempre più centrale nel settore ed in quel 1996 rappresentavano ormai la band leader del movimento, mentre tutti i grandi storici iniziavano lentamente ad abdicare. Anche la scelta di trasferirsi dal 1993 in Florida, sede della scena death metal più fervente, era stata propedeutica per l'accrescimento di un già rinomato status-quo in ambito brutal, ancora nelle parole di Webster: 'C'è un bel movimento in Florida, niente a che vedere con la monotonia e le lunghe, grigie serate passate a Buffalo, nello stato di New York. Qui a Tampa ogni sera c'è un nuovo locale da scoprire o un concerto da vedere. Io e gli altri usciamo spesso assieme ai ragazzi dei Deicide o dei Morbid Angel per una birra o una partita di biliardo'. Ancora una volta, i testi presentavano morbose descrizioni di follia seriale, penetrando nella mente di sgozzatori, squartatori e serial killer ma senza affatto voler promuovere una cultura della violenza fine a sé stessa: 'Spero che i nostri fruitori siano individui con quel che si suol definire sale in zucca, capaci di distinguere ciò che è finzione da ciò che non lo è. Non siamo affatto promotori della violenza, siamo solo intenzionati ad esprimere il nostro lato oscuro e più perverso. Se qualcuno pensa davvero che il nostro gruppo faccia propaganda a determinati valori, dovrebbe puntare il dito anche contro Stephen King o Dario Argento'. In un'altra intervista a proposito della forte censura che perseguitava la band fin dagli esordi, Webster affermò: 'Noi di certo non ce la beviamo la storia che la gente diventa violenta per via della nostra musica, visto che anzi noi creiamo un luogo immaginario in cui è possibile staccare per un po', perché è un posto ben lontano dalla realtà. La maggior parte della gente lo sa che i nostri testi non sono altro che pura evasione, divertimento. Di sicuro non giustifichiamo la vera violenza. Quei testi parlano di zombie e serial killer, come un film horror, quindi è ridicolo che la gente si fissi su questa cosa solo perché parliamo di argomenti così orrendi. Può anche darsi che negli ultimi 25 anni siano capitati un paio di episodi davvero spiacevoli e che in qualche modo il death metal c'entrasse qualcosa, ma quanti crimini sono stati commessi da parte di fan del country, del rap o del R'n'B'? Il drummer Paul Mazurkiewicz, anch'egli presente fin dalla fondazione della band, ribadiva la dose con ulteriore sentimento: 'La violenza reale mi turba profondamente. Anni fa ho visto 'Le facce della morte', e non è stato tutto rose e fiori per me, perché sangue e sbudellamenti -quando sono veri- sono tutta un'altra cosa e mi fanno stare male'. Il brutal death metal non fu più lo stesso, da quel 1996: None So Vile, secondo lavoro dei canadesi Cryptopsy, alzò ancora di più l'asticella dell'efferatezza, portando a conseguenze drastiche il sound violento e disumano dei Cannibal Corpse. Growls feroci, velocità esorbitanti, riff malati e blastbeat incontrollati appestavano un disco capace di riscrivere ancora una volta le regole dell'estremismo in musica.
Anche la nuova scuola aveva bisogno di idoli, di dischi simbolo. The Jester Race lo era. Il secondo lavoro degli svedesi In Flames assurgeva al ruolo di nuovo classico, mal visto dai puristi e osannato dalle nuove generazioni, andando a rappresentare una nuova pietra di paragone, un manifesto conclamato di un genere nuovo: il melodic death metal, col suo forte sapore scandinavo e le sue gelide malinconie. I riff melodici e armonizzati, iniettati sul cupo growling di Anders Fridén, fecero addirittura nascere la definizione di Iron Maiden del death metal: a conti fatti, gli In Flames abbellivano i propri pezzi disagiati con morbidi fraseggi melodici, imbastiti dalle due chitarre di Jesper Strömblad e Glenn Ljungström in brani gonfi di potenza e intensità atmosferica come la titletrack o la stupenda Moonshield, dispensando delicati momenti acustici e struggenti intrighi strumentali. Senza un solo momento di calo, il platter contribuì a costruire un trademark imitato in seguito non solo dagli stessi In Flames, ma da intere costellazoni di band dedite alla riproposizione di quel melodic death che sembrò scalzare il classico death svedese, prima di allora appannaggio di formazioni devastanti come gli Entombed. Artifacts Of The Black Rain o Dead Eternity riscrivevano il concetto stesso di death metal, anche se la frangia più tradizionalista faticava a considerare il melodic death un genere allo stesso livello del death puro; gli In Flames differivano da Dark Tranquillity ed At The Gates soprattutto per la mancanza di strutture tipicamente prog -frequenti nei primi- e di up-time furibondi, classici dei secondi: privileggiavano le cavalcate cesellate con gusto e melodia, riversandole in torrenziali assoli di chitarra e suonando così altamente personali ed innovativi. All’uscita del disco nei negozi, seguì un trionfale tour in compagnia di Samael, Grip Inc. e Kreator che consacrò definitivamente la band a livello continentale. Il chitarrista Jesper Stromblad, mente della band, era molto soddisfatto del lavoro della sua formazione: 'Apparentemente The Jester Race segue le orme del primo Lunar Strain, ma in realtà abbiamo concepito il sound in modo diverso in fase di registrazione, cercando di rendere il tutto più tipicamente heavy metal e al tempo stesso più brutale e di impatto, aumentando il livello di distorsione e accordando le nostre chitarre su tonalità più basse. Gli arpeggi e le inserzioni folk sono sempre state una nostra caratteristica e non abbiamo nessuna intenzione di abbandonarla, oltre ad essere una cosa che riteniamo musicalmente valida e indice di una certa maturità che, con un pizzico di presunzione, la maggior parte dei gruppi non ha. Noi ascoltiamo molta musica tradizionale svedese, essa rappresenta le nostre radici e la sentiamo molto vicina al nostro modo di essere. Ho imparato ad amarla e apprezzarla da mio padre, anch'egli musicista'. A proposito della florida scena melodica nata nella sua Svezia, Stromblad dichiarava: 'La definirei new wave of swedish death metal, essendone la Svezia la patria. Senza dubbio l'heavy classico influenza la nostra musica e credo sia superfluo dire che vedo di buon occhio la fusione dei due generi. Quello che scaturisce è qualcosa che può raggiungere il grande pubblico senza per questo essere commerciale, credo che la cosa non sia da poco'. Ancora: 'Non voglio passare per presuntuoso, ma gli In Flames sono stati tra i primi a proporre in tempi non sospetti un certo tipo di sound che oggi sta prendendo molto piede. Al tempo venimmo anche criticati dagli estremisti del genere, ma eravamo convinti delle nostre scelte e non abbiamo mai neanche valutato l'ipotesi di tornare sui nostri passi, perché ci è sempre piaciuto sperimentare'. Capolavoro assoluto anche per i prog-deathster Opeth, il cui secondo Morningrise celebrava la sontuosa commistione di elementi melodici ed altri più aggressivi, esplorando le trame più fitte e labirintiche del progressive: soltanto cinque canzoni, tutte della durata superiore ai cinque minuti, andavano a coprire oltre sessanta minuti di visioni oniriche e sperimentazioni soniche dalle profondità spiccate e sempre in costante movimento, cerebrali e apparentemente lontane dalla classica accezione di death metal.
I Signori del doom, i Cathedral, si confermarono in quei mesi gli esponenti più ispirati e affidabili del settore. Il loro quarto disco, Supernatural Birth Machine, proseguiva sulla scia intrapresa nelle due releases precedenti e dunque si costituiva di un possente mix di riff catacombali e venature settantiane: sembrava di ascoltare i vecchi Black Sabbath in versione più dura e granitica, e la sensazione era ancora una volta positiva, perché il disco rappresentava l'ennesimo ottimo lavoro dell'act di Lee Dorrian. La chitarra di Gary Jennings scolpiva nel marmo riffoni poderosi e massicci, posti alla base di pezzi ossessivi, lenti e dai tempi dilatati quali Stained Glass Horizon o Nightmare Castle, uno slow-time maciullante che recuperava la schiacciante atmosfera funerea del debut Forest of Equilibrium, come noto molto più duro e privo di inflessioni ritmiche rispetto al resto della produzione dei Cathedral. La stessa Magnetic Hole presentava un profilo impervio e asfissiante, privo di inflessioni melodiche se non in concomitanza del nichilistico assolo di chitarra: riff pachidermici e corposi venivano macinati con lena, dando la sensazione di una creatura di dimensioni ciclopiche che si aggirava senza pace in un raccapricciante scenario luttuoso. Nel computo globale, il disco era più pesante del precedente, anche se annetteva anche ulteriori influenze hard rock, come testimoniava al tempo il batterista Brian Dixon: 'Sì, è vero, alcune canzoni sono più rock'n'roll oriented, ma soltanto alcune; ad esempio Fireball Demon e le altre in cui io e Gary abbiamo più influenzato il songwriting. Infatti io sono un Kiss-fan e la canzone cui ho appena fatto cenno voleva avere proprio quel tipo di immediatezza. Ma in generale l'album è più oscuro e più heavy dei precedenti e lo ritengo anche meno diretto: difficile che piaccia al primo ascolto, penso che rispetto a Carnival Bizarre l'assimilazione sia meno rapida'. Dunque Fireball Demon era l'episodio più diretto e prettamente hard rock del lotto, forse l'unico -assieme a Phaser Quest- in una scaletta solida e costituita su un notevole wall of sound. Gli elementi doom erano sempre centrali ma, come spiegava Dixon, venivano proposti con un feeling diverso: 'E' logico che la musica rifletta il nostro stato d'animo. Se nei primi tempi i Cathedral suonavano funerei era anche perché vivevamo un periodo di frustrazione e depressione. Ora ci sentiamo senz'altro più sereni e in armonia col mondo, quindi di conseguenza ermergono sfumature un tempo non riscontrabili nel nostro sound'. Lenta, tellurica ed ipnotica era Cyclops Revolution, un esercizio di hard-doom dal riffing retrò che durava ben sette minuti; addirittura nove ne ricopriva Birth Machine 2000, tetra e marmorea nel suo spietato riff portante, ritmata e tenebrosa nel suo incedere circospetto. Il suo refrain vagamente melodico e i corposi fill batteristici la rendevano uno dei brani migliori del disco, forte di un impatto cospicuo e di un groove di fronte al quale era difficile non scuotere la testa a tempo, ovviamente seguendone i ritmi rallentati. A metà pezzo era presente anche un'apertura melodica dai tratti onirici, dalla quale si ripartiva con una erculea combinazione di riff taurini ed un andamento dal ritmo a tratti più energico, il quale scaturiva nell'inquietante e psichedelico assolo di chitarra: erano composizioni come questa che mostravano tutta la classe dei quattro britannici, di fatto progressivi nella costruzione di strutture articolate ed in continuo movimento. Evidente e caratteristico era anche il caldo tocco melodico dal sapore hard rock che permeava gli assolo di chitarra: fieramente ispirati alle composizioni di Tony Iommi, le sezioni soliste si incastonavano nelle architetture con un mood del tutto affine a quello dei vecchi Sabbath, dando la sensazione di trasportare l'ascoltatore direttamente negli anni 70: 'Il nostro fine è catturare il classico feeling degli anni '70 spiegava ancora il drummer: 'Il modo di comporre è quello nostro tradizionale: si parte con un riff di chitarra di Gary cui cerchiamo di andar dietro nel modo che ci sembra più azzeccato. E non si può mai essere certi di ciò che ne esce, perché ciascuno ha un background differente: io prediligo l'hard rock americano e i Kiss, Gary il progressive anni '70 (predilezione evidente nei lunghi e ribollenti guitar-solos, ndr), il nostro batterista il funky di vent'anni fa e Lee Dorrian ha un'estrazione tra il punk e il grindcore, come tutti sanno. Melodie vocali e testi vengono aggiunti alla fine, in genere quando siamo già in studio a registrare. E' un lavoro molto pressante, ma noi otteniamo il meglio quando siamo sotto pressione'. Caratteristica della band inglese era la presenza promiscua di episodi cadenzati e soffocanti con altri ricchi di groove e più tipicamente settantiani come la movimentata Urko's Conquest o Suicide Asteroid, ma il collante che teneva assieme le varie tracce era costituito sempre e comunque dal tiro imponente e roccioso dei riff di chitarra. Dragon Rider 13 si muoveva cadenzata e opprimente prima di sterzare in una improvvisa scorribanda alla Children Of The Grave e poi rallentare in un nuovo groviglio di riff cimiteriali, completando l'ennesimo lavoro di grande qualità rilasciato dal four pieces albionico. Sul retro della copertina del cd era spiegato che la band affrontava le tematiche liriche con un gran 'sense of humour': 'E' importante non presentarsi in modo troppo serioso; del resto noi non siamo più così, sempre ammesso che un tempo lo fossimo. Per farti un'idea esatta dell'umorismo cui ci riferiamo dovresti guardarti una delle commedie di dark-british humour anni '70 che abbiamo scoperto di adorare'! A chi gli chiedeva un parere sulla futura evoluzione della musica dura nel nuovo millennio, Dixon rispondeva così: 'Penso e spero fortemente in un ritorno sulla breccia del vecchio e sano hard rock dei seventies. Sarebbe bello riuscire a spazzare via le melensaggini brit-pop con un bel colpo di coda'! L'album fu supportato con un adeguato tour europeo, il quale confermò la band di Lee Dorrian al vertice dell'intero movimento doom metal; in tale settore spiccava anche la presenza dei My Dying Bride, freschi di pubblicazione: Like Gods of the Sun fu un'evoluzione rispetto a The Angel And The Dark River, anche se non venne compreso subito dal grande pubblico.
Dalla fredda Norvegia, il nome di Burzum evocava ancora raggelanti visioni di sangue e roghi. Il giovane Varg Vikernes era rinchiuso dietro solide sbarre, in seguito ai crimini di cui si era macchiato: l'omicidio del compare Euronymous gli valse un bel pò di anni al fresco, ma anche una fama di malefico pressoché inscalfibile. Nonostante la sua detenzione, la sua band riuscì a pubblicare un disco inciso prima dell'arresto, e dunque dato alla luce con tre anni di ritardo: Filosofem, un nuovo manifesto del genere. Vikernes sperimentò molto, attingendo alle radici black con un apporto minimalista ma più malinconico e atmsoferico: tetre tastiere accompagnavano un lavoro meno brutale rispetto ai classici del black, nel quale la violenza era soprattutto interiore e concettuale. Minimalista non era soltanto la musica, ma anche la registrazione: 'Per Filosofem non avevo neppure un amplificatore per la chitarra: mi sono collegato direttamente all'amplificatore dello stereo di mio fratello e ho usato qualche vecchio pedale fuzz'. Vikernes restava un individuo deviato ed un personaggio atipico, che anche nelle sue dichiarazioni mostrava un carattere molto deciso e chiuso: 'A differenza della maggior parte dei musicisti, non suonavo per diventare famoso, guadagnare e fare sesso. Non mi interessavano la fama e i soldi, ed avevo una visione ingenua delle donne, quasi medioevale, o meglio da mondo fantasy: così detestavo l'atteggiamento da decelebrati degli altri metallari, quelli sesso, droga e r'n'r. Quello che mi guidava era il desiderio di sperimentare con la magia e il tentativo di creare una realtà alternativa con l'uso del magico'. Chi applicava ancora la violenza più becera e feroce al classico canovaccio black metal erano gli svedesi Marduk, che nel loro quarto Heaven Shall Burn... When We Are Gathered accolsero il nuovo singer Legion e diedero una nuova dimostrazione di rabbia blasfema e occulta efferatezza, spigolosi, scarni e spietati come da tradizione. Sempre maggior fama, nel frattempo, giungeva ai Gorgoroth, che negli appena venticinque minuti del loro secondo disco, Antichrist, definirono ormai saldamente il suono tipico e brutale del loro black, rintracciabile in brani quali Bergtrollets Hevn, l'autoreferenziale Gorgoroth e Possessed (by Satan). Se da un lato il black metal è sempre stato un genere fieramente ancorato ai dogmi della propria tradizione, dall'altro ha conosciuto realtà volutamente dissacranti, concentrate proprio sulla sperimentazione a discapito dei cardini incontrovertibili. Come i norvegesi Dimmu Borgir, che col loro nuovo Stormblåst definirono un capolavoro di black metal sinfonico nel quale le tastiere recitavano l'eresia: atmosfere oscure e influenze derivate dalla musica classica facevano da sfondo ad un intimidatorio cantato in lingua madre, sigillo ferale ad un platter forgiato nelle oscurità più raggelanti. Lo scettro del symphonic black era però degli inglesi Cradle Of Filth, i vampiri che si consacrarono definitivamente con la varietà compositiva di Dusk... and Her Embrace: pezzi monumentali e arrangiamenti strumentali notevoli, imbevuti di atmosfere gotiche -quasi romantiche- ma ammorbate dalle urla lancinanti di Dani Filth andavano a creare un impressionante contrasto tra la natura grezza di questa musica ed il suo volto più sinfonico, fino a quel momento sconosciuto ai più. Risalivano le quotazioni dei Bathory, padri del black evocativo e del viking metal: dopo la sterzata thrash di octagon, che non era piaciuta ai fan, Quorthon decise di assecondare le richieste dei suoi fedelissimi sostenitori e pubblicò Blood On Ice, contenente composizioni incise nel 1989 e mai realizzate. Si trattava del ritorno al viking metal maestoso tipico del Nostro, che dunque si riconciliò col proprio pubblico. In ambito alternative destarono attenzioni le sperimentazioni nu-metal del demo Mate. Feed. Kill. Repeat, autoprodotto di una misteriosa band dello Iowa -gli Slipknot- mentre Antichrist Superstar apriva definitivamente le porte della fama e della popolarità all'industrial trasgressivo e provocante dei Marilyn Manson, trascinati da un frontman ambiguo e destinato a passare alla storia come l'ultima rock-star maledetta di sempre.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
27
|
Accipicchia!mi ero perso la seconda parte,come al solito ottimo articolo, anche per me il 1996 e' un bell'anno,ci sono album molto interessanti, che tra l'altro ho riascoltato ultimamente,come ad esempio i Corrosion Of Conformity(wiseblood),i Neurosis(Trough silver in blood),Tool(Aenima) Type o Negative(October Rust),Scald(Will of The Gods),Bathory(Blood on Ice),Dissection(Where Dead Angels lie),Agalloch(from which of this Oak) D.R.I(Full speed Ahhead),Biohazard(Mata Leao),Turbonegro(Ass Cobra). Inoltre pur prendendo le distanze dal loro assurdo pensiero ci sono i controversi Absurd con Facta Luquntur che contiene al suo interno la bella canzone punk/epic metal Mourning Soul,inoltre ci sono i pionieri del Folk metal cioe' gli Skyclad con Irrational Anthems e Oui Avant-Garde a' Chance,evtanti altri gia' citati.Chiudo con un capolavoro(per i miei gusti) tutto italiano con i nostri Novembre e il loro favoloso Album Arte Novecento. |
|
|
|
|
|
|
26
|
Oddio Enry@ che hai citato!!! Zoon!!!! Un capolavoro!!!! |
|
|
|
|
|
|
25
|
Articolo come sempre bello così come, per i miei gusti, bello è stato anche il 1996. Per svariare fra i generi cito Nemesis Divina, Stormblast, Dusk...and her embace, The Jester Race, Holy Land, Vile, Blood on Ice, The Dark Saga, Morningrise giusto per citarne alcuni. Manca però un disco sensazionale che, una volta tanto giustamente, fu accolto da tutti con il massimo dei voti, da Grind Zone fino a Rockerilla: parlo di 'Zoon' dei Nephilim, unico disco del progetto solista di Carl McCoy dei Fields of the Nephilim, della serie "ecco cosa può fare una icona del gothic-rock quando si incazza". Uno straordinario incrocio fra gothic metal e death metal e uno dei dischi più belli non solo del 1996. In realtà manca anche un discone come Millennium dei Monstrosity che meritava di essere citato. Ottimo lavoro comunque, è sempre un piacere leggere questo tipo di articoli. |
|
|
|
|
|
|
24
|
Correggo 3 errori miei dovuti alla fretta:1)Moahni Moahna.2)Temple of Life è un loro album.3)non Evergray ma Evergrey è corretto. @Sambalzalzal non sapevo sinceramente che stessero scrivendo per un nuovo lavoro,spero she sfornino un capolavoro e la gente stavolta si accorga di loro,grazie dell'informazione. |
|
|
|
|
|
|
23
|
Hulk@ esattamente, i MLF sono una band che potrebbe mettere d'accordo sia i patiti del thrash che quelli del metal più classico ma per i motivi che dici sono sempre rimasti una band di culto. i miei preferiti sono The Secret Doctrine e Maleficium proprio di questo 96' e penso che questo album in particolare sia il loro capolavoro. parlando della voce di CR... proprio pochi giorni fa riascoltavo la cover di Lost Reflection dei Crimson Glory presente sulla raccolta Past, Present and Future... che dire se non spettacolare!!! Si, sono le labels e relativi managements che impongono i trends da seguire, c'è poco da fare. Uno può esserne consapevole o no ma è così che vanno le cose. I gruppi di nicchia sono quelli che molte volte in questo senso sono delle vere e proprie garanzie. Non si sono snaturati e negli anni hanno resistito riuscendo a conquistarsi una piccola fetta di propri fedeli seguaci. A quanto pare i ML stanno scrivendo nuovo materiale limitandosi per il momento ad esibirsi solo dal vivo... speriamo che il nuovo arrivi presto e che possa avere un eco questa volta! |
|
|
|
|
|
|
22
|
@Sambalzalzal ,proprio così CR ha una gran bella voce,e i loro album sono molto belli,mi dispicae per i Morgana purtroppo non sono riusciti a sfondare,il pubblico si indirizzò o fu indirizzato verso altro,ma ce ne sono tanti quasi con lo stesso destino loro,non necessariamente legati a quell'anno come per es.(sempre per i miei gusti si intende),come i Tad Morose,gli Avalanche,i Mohani Mohana,i Temple of Life o i più recenti Evergray.Comunque con quelle arrabbiature e Vikerness che all'inizio mi piaceva ma da llora cominciò ad irritarmi per la sua ambigua ideologia,anzi delirante e aberrante pensiero direi non lo ascoltai più, anzi scoprii altre sonarità che prima non volevo ascoltare come il doom dei Cathedral,i gruppi stoner metal,i Neurosis,e soprattutto i Tool che rinfrescarono innovandolo il metal di allora.Comunque ritornando al discorso delle label ci si può accorgere sempre più nelle recensioni commenti sia dei recensori che quelli nostri,parole come il solito clichè,misa di deja vù.derivativo a massimo,plagio,fotocopia ecc.,tutto ciò denota secondo me il predominio delle Major che premendo sugli artisti tendono a livellare e uniformare,tentando di omologarci,molti resistono ma faticosamente e in tempo di crisi è dura,ma fanno si che esistano comunque sempre le eccezioni,invece gruppi che hanno un minimo di personalità e originalità non hanno seguito e,è questo che fa male penso. |
|
|
|
|
|
|
21
|
bellissimo articolo bravi!!tante bellissime uscite nel lontano 1996,tengo quasi tutti gli album di quel periodo,compreso quello dei type o negative october rust un capolavoro gotico e decadente del grande e compianto peter steele!! |
|
|
|
|
|
|
20
|
Hulk@ a quanto pare allora non fui l'unico a pensarla a quel modo! i Morgana LeFay@ altra band da sempre bistrattata ai massimi livelli. Maleficium ebbe un minimo di visibilità appena uscì ma poi la band risprofondò nel semi anonimato che l'aveva sempre caratterizzata. Un peccato considerata la bellezza degli albums e la voce di CR che è grandissima. Purtroppo come dici "money talks", anche nella musica purtroppo. |
|
|
|
|
|
|
19
|
Splendido articolo è un piacere leggerlo.Per me comunque non fu affatto noioso e decadente il 1996,prendendo spunto ad es. dall'ottima inquadratura sui Carcass fatta da Rino Gissi,ricordo che mi arrabbiai moltissimo per le critiche contro Swansong,alcuni miei amici lo buttarono addirittura nel secchio della monnezza,io invece lo conservai e feci bene perchè lo riascoltai più volte e mi si rivelò per quello che era, un capolavoro,un bellissimo death 'n roll coi fiocchi,stessa arrabbiatura per cio' che ha spiegato già @Sambalzalzal su Amok e Jester Race,questo per dire come la stampa di settore di allora,i media che volevano pompare e indirizzare altro,ma soprattutto le Label e i loro manager,possano con fortissime pressioni troncare la vena sperimentale artistico- creativa di un gruppo,indirizzare una certa musica alle masse,e decretare la luce o l'ombra di una band rispetto ad un altra.Anche per il trash quasi lo stesso discorso,per me furono delusioni o semidelusioni sia i Pantera che i Sepultura,ma mi rifeci nel mondo trash dell'underground con i gruppi Faustus(USA) con....And Still We Suffer e i più che bravi finlandesi Antidote con Mind Alive,ma potrei citarne molte altre di cui pochissimi allora parlavano.Io comunque seguivo un po tutto anche le underrated band,comunque i Soundgarden,i Neurosis,I korn,i Slipknot (all'inizio sperimentali) i behemoth(Grom),i Sentenced(down) li ho sempre seguiti con passione insieme anche agli Iced Earth(The dark Saga) i Morgana Lefay(Maleficium)agli Angra(Freedom Call) e ad Ayreon(Actual fantasy).Almeno per me quindi il 1996 non fu l'annus orribilis del metal. |
|
|
|
|
|
|
18
|
@Lord Ancagalon: per non parlare di un certo Nemesis Divina...  |
|
|
|
|
|
|
17
|
The Tharsher@ ehhhhh mi ero fatto la bocca su almeno un altro nome ma capisco che hai dovuto fare una potatura o non sarebbero bastate altre tre parti eheheheh |
|
|
|
|
|
|
16
|
Per quanto mi riguarda basta e avanza il magnifico Blood on Ice dei mai troppo apprezzati Bathory per rendere il 1996 un anno memorabile, e se poi si aggiungono masterpiece come Stormblast, l'incantevole Dusk and her embrance con le sue tinte gotiche e Jester Race si può tranquillamente parlare di altra grande annata, poi chiaramente va a gusti, dipende da quale tipo di metal si apprezza. Altro capolavoro forse non menzionato è Velvet darkness they fear, probabilmente il mio preferito in ambito goth metal. Su Manson non la vedo così negativamente, in fondo ai tempi era ancora ascoltabile, ben lontano dalle odierne schifezze. Quoto Arraya su Roots e Numetal. |
|
|
|
|
|
|
15
|
Il 1996 fu l'anno di Manson?! Annamo bene!! |
|
|
|
|
|
|
14
|
Non capisco perché The great Southeb trendkill viene visto come una delusione, io lo trovo invece un grande album! Poi solo gusti! È innegabile che il 1996 fu l'anno di manson. |
|
|
|
|
|
|
13
|
@gianmarco: è impossibile purtroppo pensare di citare TUTTO quello che usciva in quegli anni, qualcosa per forza deve restare fuori! |
|
|
|
|
|
|
|
|
11
|
irreligius perchè non c'è |
|
|
|
|
|
|
10
|
A dir la verità la scena di Seattle aveva gia abdicato; vedi la morte di Cobain nel '94, l' uscita di Above dei Mad Season e l'unplugged degli Alice in Chains (a mio parere) chiusero il cerchio (anzi, l'ultimo vagito potrebbe considerarsi Euphoria Morning di Chris Cornell nel 1999). Pantera abbastanza deludenti, e quando dico abbastanza intendo "Molto". il thrash non pervenuto, Seattle a pezzi, grossi nomi ormai nella fase iniziale del declino. ottimi invece gli Opeth e i Tool di Aenima. Sepultura discorso a parte: comprai la cassetta originale, ma dopo la prima buona impressione inizio ad adagiarsi pesantemente sopra i coglioni, non per via dei ritmi tribali Xavantes in se, quanto perchè si stavano delineando i prodromi di quello strano genere che voleva passare per metal ma che metal non era, il nu metal appunto, che ad esclusione di poche realtà (i primi Korn e i Deftones) si sarebbe rivelato per me una sciagura. Personalmente ripiegavo su Stoner (e colgo sempre l'occasione per rammentare che un buon special sulla scena e doveroso) e Doom, generi che secondo il mio gusto personale del momento, non mi davano segni di stanchezza come il metal classico ad esempio. MManson invece lo ascoltavo per conto terzi, a volte non mi dispiaceva ma, mai comprato un suo cd per intenderci. |
|
|
|
|
|
|
9
|
@samba: no, non ci sarà una terza parte, perchè?  |
|
|
|
|
|
|
8
|
Articolone come al solito , mio disco preferito spice delle spice girl ahahah no scherzo in abito metal quello degli inflames mi era piaciuto molto e pure quello di mason lo ascoltavo volentieri. |
|
|
|
|
|
|
7
|
il mio album preferito di quell'anno è down on the upside dei soundgarden, sarà perchè quell'anno ero in giro per gli states e lo passavano di continuo in radio...mi è entrato dentro |
|
|
|
|
|
|
6
|
IL 1996 segna lo spartiacque dei miei gusti/ascolti. Il thrash prodotto fino agli inizi degli anni '90, comunque ricco di melodia, aveva lasciato spazio a musica più complessa e non di mio gusto. I grandi del thrash latitavano, a parte qualche raro caso e la musica nata negli anni '90, dai Nirvana ai Soundgarden di superunknown, ai vari tool etc...proprio non l'ho mai digerita. Anche gli helloween di master of the rings e time of the oath mi avevano deluso non poco, Solo Angra e Blind Guardian riuscivano a darmi le emozioni degli anni precedenti |
|
|
|
|
|
|
5
|
grandi arch enemy, spiritual beggars |
|
|
|
|
|
|
4
|
Dai, aenima dei tool dove sta ? Altro che burzum... |
|
|
|
|
|
|
3
|
Siamo in piena crisi per il thrash.....Roots fu una delusione, i Pantera una mezza delusione tutto il resto è noia........ |
|
|
|
|
|
|
2
|
P.s. ma c'è anche una terza parte per questo anno? |
|
|
|
|
|
|
1
|
Come sempre complimenti Rino@ per esserti destreggiato nella descrizione di alcuni tra i lavori più significativi di questo periodo! Parlando più in particolare degli albums trattati, ricordo quanto mi avvelenai con il seppur ottimo The Jester Race degli In Flames e tutta la foga e l'attenzione che scatenò. L'anno prima era uscito Amok dei Sentenced e nessuno se lo filò come avrebbe meritato. Ricordo un sacco di commenti in negativo sul come il metal classico non stesse bene con il "vocione" Death e dovetti abbozzare. Poi uscì questo e si gridò al miracolo. Vabè, misteri della vita. Blood On Ice del leggendario Quorthon da quando uscì in poi fu colonna sonora di tantissimi episodi della mia vita e continuo a ringraziare l'uomo ed il musicista ovunque sia ora! Strepitoso! |
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|