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CORREVA L’ANNO - # 27 - 1993 seconda parte
20/12/2013 (4307 letture)
Anno domini 1993, non soltanto Sepultura. L'ambito metallico più estremo era quanto mai vivo e vegeto, alle spalle dei quattro brasiliani: se la scena classica -heavy, thrash, power- godeva di ottima salute, ancor meglio si poteva dire dell'ambito più efferato, all'interno del quale vennero rilasciate pubblicazioni epocali con una frequenza notevole. Anche il death metal era in fermento e contribuiva a dettare le regole del gioco con la stessa importanza con la quale thrash ed heavy classico avevano fatto nel decennio precedente. I Death, naturalmente, erano sempre in prima fila, tra i pochi a mettere d'accordo praticamente tutti grazie al carisma innato e alla lungimiranza compositiva del proprio leader. Con Individual Thought Patterns, il genio di Chuck Schuldiner riabbracciava il discorso che si era ben manifestato attraverso il tellurico e cattedratico Human: ovvero quello della progressione tecnica applicata alla potenza e alla brutalità tipiche del death. Il nuovo disco riprendeva dunque le coordinate del predecessore, anche se assumeva più spiccate tinte progressive; i brani erano ancora pesanti, spietati, pressanti e spesso dotati di vorticose accelerazioni frontali, ma erano ancora più elaborati e complicati rispetto al passato. Non mancavano corposi mid-time ed oniriche sfumature melodiche, eccellenti comparti atmosferici ai consueti ed impattanti riff scoccati dalla sei corde di Schuldiner; il chitarrista era sempre più prodigioso ed ispirato anche nell'intessitura di magniloquenti assoli melodici, fibrillanti e suggestivi sprazzi di raggelante desolazione che venivano sciorinati come torrenti di note incandescenti. Le trame complesse e le composizioni granitiche esprimevano ancora una volta tutte le peculiarità tipiche del death metal più maturo: violenza, brutalità, potenza, melodia, complessità tecnico-strutturale e ambientazione decadente. La devastante opener Overactive Imaginations era un assalto frontale roboante e vorticoso, scoccato ad alta velocità ed impreziosito da un assolo melodico stordente; la marziale e monolitica In Human Form cambiava immediatamente registro, dettando tinte fosche e ritmiche maciullanti, mentre la complessa Jealousy risaltava come pezzo tra i migliori del lotto, in quanto contraddistinto da diverse rapidità ed infervorato da repentine accelerazioni. In Trapped In A Corner era contenuta una sezione solista memorabile, la migliore dell'intera carriera di Chuck Schuldiner: prolungata all'inverosimile, essa si presentava come una complessa tempesta di note, avvolgente in avvio e fulminante in coda. Difficile trovare un assolo tanto prezioso e stordente nell'intera storia del genere: le chitarre duellavano in intriganti duelli progressivi alla velocità della luce, squillanti e cristallini, mozzando il fiato e lasciando quasi stordito l'ascoltatore. Alla meno tirata ma comunque rocciosa Nothing Is Everything seguivano altri pezzi imponenti e compositi come Mentally Blind, Out of Touch e Destiny, tutti dotati di efficace alternanza tra accelerazioni brucianti e sezioni più cadenzate; il conclusivo mid-time The Philosopher era l'episodio più progressivo ed intimidatorio e da esso fu tratto l'unico videoclip per il platter. Il vocalism semigrowl di Schuldiner restava gutturale e catchy al tempo stesso, completando un altro masterpiece assoluto. Del resto la line-up era stellare, considerato che alla batteria spiccava l'approccio debordante del colossale Gene Hoglan, mentre al basso spiccava il corposo e tangibilissimo operato del mitico Steve Di Giorgio. All'altra chitarra, invece, compariva il talento fluido di Andy LaRoque, ascia virtuosa già al servizio di King Diamond. Il virtuoso Schuldiner era ancora una volta fiero del proprio lavoro: 'Individual Thought Patterns aggiunge varietà alla musica dei Death, basti pensare al fatto di aver lavorato con uno shredder come Andy, che ha fatto veramente un duro lavoro per quest'album. Spero che il disco trascini l'heavy metal ad una forma d'arte di livello superiore: con questo album si dimostra che si può ottenere un suono pesante e melodico allo stesso tempo, anche senza abbassare del tutto l'accordatura delle chitarre. Inoltre ho cercato il rischio anche come cantautore: non mi ero prefissato alcun limite, ho abbandonato le strade già battute e conosciute perché la progressione é ciò che permette alla musica di rimanere emozionante. So che posso sembrare superbo, ma non ho intenzione di rimanere ancorato alla stessa formula per sempre. Sarebbe come avere un ristorante e servire in eterno lo stesso menu. Voglio che i Death si evolvano e non si pongano limiti. Ci sono band che, per far contenti i fans, continuano a suonare la stessa musica che li ha portati al successo, senza accorgersi che, così facendo, annientano la loro creatività. La musica che creo deve piacere a me per primo, e la tensione continua verso la ricerca della perfezione musicale è la mia motivazione principale. Attraverso i suoi testi, Schuldiner puntava ancora il dito contro la falsità umana, manifestando tutta la sua misantropia nei confronti di una razza umana sempre più corrotta e traditrice; attaccava ancora giornalisti, ex compagni e discografici che tante volte lo avevano pugnalato alle spalle, condannava ogni sorta di chiusura mentale e lasciava intendere che la sua non poteva essere più considerata "soltanto" una band death metal: 'Oggi le persone ritengono che il death metal per essere tale debba essere per forza suonato a velocità supersoniche e con tematiche sataniche; oggi penso che bisogna scrivere cose in cui la gente possa identificarsi e questo non succede leggendo di uno zombie che mangia un braccio a qualcuno o cose del genere. Quindi ora mi piace affrontare le situazioni della vita reale. Ho trovato più semplice scrivere di questo e penso che essi facciano riferimento ad un sacco di persone. In questo mondo accadono un sacco di cose di cui vale la pena scrivere, tutto quello che devi fare é aprire un giornale o accendere la televisione. Io considero i Death una band heavy metal, e ognuno é libero di classificarla come preferisce. Suoniamo heavy metal, so che suoniamo molto pesante, e questo é ciò che conta. Sono davvero stanco di ogni tipo di classificazione, di etichetta credo che sia limitante. Questa scena si é evoluta partendo dal metal tradizionale, é lì che sono le mie radici'. I Death suonarono in Germania, Olanda, Austria e Belgio, e volarono successivamente negli States, esibendosi per ventisette date consecutive prima di una nuova leg europea; tra le altre, da ricordare fu la data londinese, nella quale venne ammutolito l'Astoria Theatre. Dopo nuove apparizioni in Olanda, Belgio, Germania, Francia e Spagna fu anche la volta dell'Italia, omaggiata con un'epica data fiorentina.

Dalla Florida rimbombava anche il clangore spietato dei Morbid Angel, altra band che aveva contribuito a scrivere pagine fondamentali nella storia del death metal, ponendone a sua volta le coordinate. Se Blessed Are The Sick (1991) era stato pressante, il nuovo Covenant ne centuplicava la forza e la pesantezza; i riff di Trey Azagthoth, spessi e morbosi in perfetta attinenza col moniker della band, si scagliavano impetuosi e contorti, seguendo un distorto e dissennato nichilismo, mentre Pete Sandoval sciorinava con compattezza e insistenza blastbeat martellanti, mid-time catramosi e accelerazioni dirompenti. David Vincent completava lo squadrone della Morte con il suo vocalism basso e feroce, contribuendo a creare pezzi spettacolari e trascinanti, che nonostante le trame semplici e la brutalità priva di respiro possedevano una forte personalità e si elevavano dalla massa con una forza spregiudicata ed un alone intimidatorio. La produzione del disco, asciutta e asettica, poneva in rilievo la possanza e la pesantezza congiunta di chitarre e batteria, che sapientemente e con ottimi risultati cercarono di combinare il furore del debut Altars Of Madness e la maligna arcignità del disco successivo, prediligendo però per le frustate telluriche ed i riff ipnotici. Il disco resta impresso nei solchi della storia come il capolavoro assoluto della band floridiana, la sua quintessenza ed il punto di equilibrio raggiunto tra le menti dei suoi tre artefici. L'egocentrico Azagthoth affermava al tempo: 'Su Covenant le parti di chitarra sono eccellenti, visto che con l'uscita di Richard le ho scritte tutte io. Inoltre abbiamo dimostrato che un gruppo come il nostro può rimanere brutale e fedele al death metal anche se firma per una major. Questo disco rappresenta una summa dei precedenti e, al di là della produzione fenomenale, il sound è ancora più feroce. E' vero, ci sono parti rallentate, tecnicismi ed un pizzico di sperimentalismo in più, ma in questo disco siamo anche più incazzati che mai'. A proposito della sua band, il chitarrista aggiungeva: 'La differenza fra noi e gli altri, dai Death agli Atheist agli Obituary, è che noi siamo creativi e immaginifici. Le nostre canzoni sono una diversa dall'altra, ognuna con una sua atmosfera; alcuni pezzi sono brutali, altri più rallentati, con le tastiere a creare suggestioni diaboliche. La nostra musica è semplicemente migliore, è superiore a qualsiasi altra cosa in circolazione e per me questa è l'unica cosa che conta. Non me ne frega un cazzo di tutto il resto, non mi importa di dove sta andando il mondo, non mi importa della guerra in Bosnia, non mi importa se la gente si ammazza, non mi importa di niente se non di me stesso. Lo scopo unico della vita è trarre piacere in ogni modo. Mi interessano la spiritualità, la reincarnazione e tutto ciò che può aprire le porte alla percezione e alla ricerca di sé stessi; ho scoperto di recente i testi di Tony Robbins e Deepack Chopra, che mi stanno aiutando molto. Non sono autori che si occupano di occulto, ma in qualche modo ti conducono in un'altra dimensione, ti aiutano a cercare la divinità dentro di te'. Anche David Vincent era esaltato dal risultato ottenuto: 'Con Covenant il nostro discorso musicale non è cambiato di una virgola. Le death metal bands di adesso credono che il death metal non sia abbastanza duro, abbastanza solido, così si mettono a fare tutta sta roba ibrida. C'è chi si butta sul punk, chi sul thrash, chi sul doom; tutti vogliono fare roba crossover, ma noi siamo una band death metal al cento per cento e non potremmo essere definiti in nessun altro modo. Covenant è molto aggressivo, ha un suono più pieno; la base ritmica è più potente rispetto al precedente, tutto il disco forse è meno tecnico, meno contorto in certi sensi: è più diretto rispetto a Blessed Are The Sick'. Il compatto blastbeat di Rapture ed il suo assolo velenoso, gli affilatissimi riff -sinistri e sfuggenti- dell'imponente Pain Divine o le atmosfere apocalittiche della decadente World Of Shit (The Promised Land) -un titolo eloquente, in quanto a misantropia- con le sue repentine accelerazioni e gli assoli desolanti, costituivano un trittico d'apertura devastante ed incontenibile, assolutamente estremo all'epoca come ancora ai giorni nostri. Nevrotiche stilettate thrashy scuotevano con impeto e riffing tagliente la temibile Vengeance Is Mine, arroccata su sfibranti ripartenze; The Lion's Den si sfogava in coda, trasformando in una sfuriata massacrante la sua andatura fin lì trascinata e scandita da uno scrosciante lavoro di doppio pedale. Si trattava di pezzi impattanti e terremotanti, dei nuovi classici imprescindibili del death metal: ed era straordinario osservare come ognuna delle band capofila del genere interpretasse lo stesso genere con eccezionale personalità, senza che andare a somigliarsi l'una con l'altra. Se Blood On My Hands era una velocissima e scarnificante dimostrazione ritmica operata con blastbeat e sfuriate di doppia cassa, Angel Of Disease era più thrashy, addirittura catchy nella sua foga saltellante, e non a caso era stata scritta prima del debutto discografico; la cadenzata Sworn To The Black dipingeva scenari inquietanti e opprimenti, ribaditi dalle atmosfere dark ambient della strumentale Nar Mattaru e dal mood greve di God Of Emptiness, col suo maestoso e sacrale refrain 'pulito'. Secondo le visioni di Azagthoth, l'evoluzione e il miglioramento del cantato di Vincent non era riconducibile al fatto che il singer aveva smesso di fumare: 'E' la voce di Shub Nigguroth (deità del mito di Cthulhu, ndr) quella che canta per noi, perché può assumere ogni forma che vuole, anche quella di Dave. Nei testi scritti da Vincent diventava sempre più palese l'avversione nei confronti della religione, come spiegava lo stesso bassista e cantante: 'Il satanismo ha un ruolo fondamentale nella mia vita ed in quella del mio gruppo. Ci sono un sacco di cose che mi fanno inferocire, che mi rendono ostile come mortale. Queste cose sono presenti nella mia vita di tutti i giorni, e la rabbia che accumulo giorno dopo giorno attraverso queste fonti mi alimenta e mi energizza; io vivo attraverso l'odio, io vivo attraverso il rancore, io vivo attraverso il male. Questo ovviamente non potrebbe non influenzare quello che faccio con i Morbid Angel, tutti i miei stati d'animo si riflettono nel materiale che compongo'. In un'intervista del tempo, Vincent spiegava: 'L'Impero Romano, ai tempi di Cesare, prima di diventare il Sacro Romano Impero, rappresentava una società perfetta. I romani avevano tutto il mondo sotto il loro dominio; poi è arrivata la Chiesa ed ha rovinato tutto; la Chiesa rovina tutto ciò che tocca. Ha rovinato tante culture, ha rovinato l'Europa. Ha imposto le proprie idee con la spada, ed adesso sta morendo per la spada. Ed io penso che questo sia magnifico. Sono contento di poter assistere a questa disfatta, perché io sono stato anti-cristiano da sempre, io so che il cristianesimo è sbagliato e vederlo crollare mi riempie di gioia. Spero che sarà sostituito dalle religioni originarie di ogni terra, come il paganesimo. Il mondo va avanti da secoli a forza di lavaggi del cervello: prima converti tutti ad un'unica religione, poi imponi un metodo di governo su scala mondiale. Finora c'è stato soltanto un Signore delle Marionette incaricato di assicurarsi che ognuno vedesse, sentisse e pensasse le cose giuste. La gente è stanca di vivere in schemi prefissati ed univoci, è stanca di dire sempre di sì. Nessuno parla più il latino, e questo è un danno dal punto di vista culturale; ogni popolo dovrebbe impegnarsi per mantenere la sua identità separata da quella degli altri popoli. Nell'antichità i romani non si ponevano alcun problema nel gettare i cristiani in pasto ai leoni, perché i cristiani erano considerati degli invasori, e predicando la loro religione condannavano la cultura pagana, criticando il modo di vivere dei romani. Ma i romani non accettavano queste stronzate, li buttavano direttamente nell'arena. Oggi sarei contento se la storia si ripetesse, tutto il Vaticano meriterebbe di essere gettato nell'arena'. Interessante era anche un suo aneddoto risalente ad una calata italica dell'Angelo Morboso: 'Quando abbiamo suonato a Roma sono stato in una specie di mercato dell'usato, vicino ad un grosso fiume: Porta Portese. Lì ho trovato un paio di bei coltelli a serramanico, li colleziono; gli altri volevano andare a vedere il Vaticano e tutte quelle cazzate lì, ma a me non fregava assolutamente niente. Il bello è che un paio di loro non li hanno neanche fatti entrare, perché avevano i capelli lunghi! L'ennesima prova che la Chiesa è finita: un sacco di gente sta iniziando a capire quanto siano in realtà corrotti tutti quei maledetti preti di merda'. Trey Azagthoth, invece, aveva una visione religiosa ancor più particolare: 'Ognuno deve essere libero di scegliere per sé e per la propria morale. Io non sono satanista, non me ne frega niente del Diavolo e l'unica entità in cui credo è Mumu Tiamat, Dio della Mesopotamia e creatore del mondo, un Dio malvagio che odia tutti, compreso chi -come me- lo idolatra. La mia musica è sempre stata devota agli antichi dei sumeri come Absu e Mumu Tiamat, e sempre lo sarà. Per me -sia come uomo che come musicista- la civiltà sumera, insieme a quella egizia e quella ebraica, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale'. Bardati di pelle nera, stivali e catenacci, i Morbid Angel erano uno degli esponenti più temibili e rispettati nel loro settore: Covenant lo ribadiva con una forza sprezzante, asfissiante, priva di appigli e spiragli, caustica come una calata nell'Inferno più profondo.

L'ottimo momento della scena death metal venne confermato dalla pubblicazione del quarto studio album degli inglesi Carcass, seminali nel passaggio del grindcore più rozzo ad un death evoluto e sofisticato. Col precedente Necroticism, i quattro britannici si erano rivelati musicisti completi e maturi, abbandonando il death/grind degli esordi a vantaggio di un sound più elaborato, definibile death a tutti gli effetti: brutale, potente, ma tecnicamente ineccepibile, elaborato ed innervato dalla melodia sinistra iniettata nelle sezioni soliste dall'ingresso del nuovo chitarrista Michael Amott. Ancora più emblematico era il nuovo Heartwork, prodotto all'interno del quale la band inglese sfoggiava una caratura tecnica addirittura più raffinata ed un quoziente melodico sbalorditivo, che avrebbe posto i semi natii del melodic death novantiano. Velocità e devastanti ritmiche a rincorsa rimanevano centrali e poderose nel sound devastante della formazione di Liverpool, così come la potenza e la forza sprigionata tanto nel drumming scrosciante di Ken Owen quanto nel riffing di Bill Steer e nelle vocals, raschiate ma leggermente più catchy, di Jeff Walker. Si poteva parlare a tutti gli effetti di death tecnico, come nel caso di Necroticism: riff complessi e pesantissimi si succedono su canovacci complessi, tra armonizzazioni di chitarra e ritmiche terremotanti, attive con continui cambi di tempo; Amott era il valore aggiunto: gli assoli fluidi e cristallini tracciati sulle sue sei corde pescavano dall'heavy metal tradizionale e si estendevano con pregiati connotati melodici all'interno di brani cupi e massicci, dalle sonorità tipicamente death metal. L'equilibrio e l'armonia tra forza ed eleganza era superbo: Buried Dreams apriva il disco con una gittata tellurica, This Mortal Coils ne ribadiva il tiro con impatto trascinante, forte di velocità insostenibili e di un assolo mozzafiato; le sue ritmiche straripanti, unitamente a quelle di Carnal Forge, scuotevano il platter con una veemenza irresistibile, segnandone alcuni dei momenti migliori in assoluto. Stop'n'go mirati e un sinistro assolo suadente rendevano ancor più ricco e memorabile il brano; magistrale era anche la titletrack, Heartwork, introdotta da un connubio serratissimo di riffing e batteria: un esempio ottimo per evidenziare le abilità della band nel passare drasticamente e nel breve volgere di pochi minuti dall'aggressione frontale alla sfumatura melodica. Come tutti gli altri pezzi, anche Heartwork esibiva un gran repertorio di riff complessi e suggestivi molto validi, mitragliati in rapida successione: l'abbondanza di intuizioni geniali concentrata in un contesto temporale relativamente ristretto era impressionante. Ancor più clamoroso è pensare che le sezioni di chitarra ritmica furono registrate dal solo Steer -e pertanto semplificate rispetto a quanto precedentemente composto- in quanto Amott perse il suo passaporto durante un viaggio in India e non poté tornare a casa in tempo per le registrazioni. La vertiginosa Death Certificate ribadiva ancora una volta la prova di forza del combo inglese, incontenibile quando alle prese con serrate ritmiche da headbanging ed eccellente nel coniugare riff tritaossa ad elementi più armonici e musicali; massicci break dal profilo luttuoso appesantivano il pezzo, rendendolo davvero corposo e granitico. Arbeicht Macht Fleisch era una sassaiola spietata, abbellita ancora una volta da un prezioso solo di Ammott, mentre No Love Lost suonava più contenuta, dal riffato quasi hard rock: un flirt insolito che si sarebbe fatto molto più marcato nel disco successivo. Embodiment o Blind Bleeding The Blind puntavano prevalentemente sulla melodia dei riff e sull'incedere pressante piuttosto che sulla velocità. Dall'inizio alla fine, il disco presentava un feeling mostruoso ed una potenza dinamitarda, mostrando immediatamente l'elevata fattura tecnica e la schiacciante prestanza, elementi congiunti che ne facevano un nuovo caposaldo del death metal. Ricorderà molti anni dopo Jeff Walker, bassista e cantante: 'E' inutile fare i falsi modesti. I Carcass hanno fatto qualcosa di nuovo, è sotto gli occhi di tutti; e non lo abbiamo mai fatto per soldi, ma per piacere personale, per puro divertimento. Forse è per questo che siamo riusciti ad andare oltre ai soliti schemi, perché se avessimo seguito le logiche del mercato non saremmo mai stati i Carcass'. Anche i testi erano innovativi: dalla decomposizione carnale si passava ora a trattare il declino morale, affrontando argomenti come la guerra, la religione e la progressiva sostituzione dell'uomo con la macchina.

L'ispessimento tecnico sembrava divenuto la frontiera definitiva per definire matura una band death, se è vero come è vero che persino gli olandesi Pestilence, alfieri di un suono classico e feroce, optarono per una sopraffina commistione di death, jazz, prog e fusion nel loro capolavoro Spheres, un disco permeato di sonorità quasi aliene per le orecchie dei puristi. Un'esperienza sonora nella quale linee prog ben si intersecavano a segmenti tipicamente death, con suoni di chitarra sintetizzati, un basso dall'indole jazz-fusion ed un timbro strozzato e gutturale nel vocalism di Patrick Mameli. Le vibranti sezioni chitarristiche di Mind Reflections, la sezione ritmica delirante di Multiple Beings, la disumana Soul Search o l'ipnotica Demise of Time delineavano l'ossatura di una tracklist che culminava nelle acide intersezioni della titletrack e rappresentava il fulcro di un'autentica pietra miliare, che tuttavia rappresentò l'ultima scintilla vera della band dei Paesi Bassi, dilaniata da tensioni interne e dall'insuccesso del disco, che ne determinarono lo scioglimento. Elevatissimo era anche il quoziente qualitativo di Elements dei floridiani Atheist: un concept sugli elementi, un viaggio atmosferico negli anfratti più eleganti della musica nonchè un manifesto a difesa delle vituperate ricchezze naturali del nostro pianeta. L'album completava il mirabile trittico aperto da Piece Of Time e proseguito con Unquestionable Presence, e vedeva acuirsi in maniera ulteriore gli elementi thrash presenti nelle ritmiche dei predecessori; insorgevano invece elementi jazz, fusion e addirittura latini (Samba Briza), centrati in composizioni multiformi e dall'appeal straniante. L'inequivocabile tasso tecnico di questi audaci musicisti si misurava in continui cambi di tempo e misure inconsuete, assoli complicati e grandi quantità di riff macinati in un contesto altamente cerebrale, perfettamente ragionato e curato in ogni dettaglio. Assieme agli Atheist, i Cynic sono sempre stati l'altra entità cardine del death metal più progressivo; proprio in quel 1993 la band orfana del poliedrico bassista Tony Choy -passato proprio agli Atheist- compie il suo capolavoro assoluto e definitivo, Focus, traguardo raggiunto dopo un'inenarrabile serie di sventure che ne avevano condizionato la gestazione: tra le altre, i problemi alla voce del cantante e chitarrista Paul Masvidal ed un uragano che distrusse la sala prove dei Nostri. L'album che nasce è qualcosa di spettacolare ed innovativo, quasi incomprensibile ad un primo ascolto: un incrocio di traiettorie deformi e parabole contorte, un incastro magico di elementi apparentemente discostanti ma che riesce a fissare nella storia importanti canoni di virtuosismo tecnico e compositivo. Il classico growl death metal si mescola a voci ora glaciali, ora melodiche, filtrate ed intercalate in un complesso canovaccio ricco di sopraffine digressioni jazzistiche e fusion. Le due chitarre si intreciano con tecnica ma anche con gran gusto ed equilibrio, mentre il grandioso Sean Reinert detta i ritmi con mirabili controtempo e soluzioni alquanto cervellotiche, completando lo spettro sonoro di un album a dir poco assurdo. Lo stesso Masvidal, che tra l'altro aveva registrato insieme a Reinert il masterpiece Human con i Death, nel 1991, fungendo da spalla al grande Chuck Schuldiner in veste di seconda chitarra, affermerà: 'Atheist e Cynic erano le due band con la maggior tendenza prog di tutta la scena. eravamo dei supersfigati e avevamo ascoltato di tutto, fin da quando eravamo piccoli. Tra la fine del liceo e l'inizio del college iniziai ad appassionarmi al jazz ed alla fusion. Quando lavorammo con Chuck a Human non ci approcciammo alla cosa con l'idea di arrivare a fare death-prog, ma semplicemente suonando sui pezzi di Chuck: infondendo nei pezzi death la nostra sensibilità di stampo jazzistico. Ciò lo ispirò a spingere la sua musica in una nuova direzione'. Anche gli svedesi Entombed, seminali per la scena europea con i loro primi due dischi di devastante death metal, avanzarono in quei mesi un'evoluzione imprevedibile e a suo modo rivoluzionaria, introducendo atipiche spruzzate di rock'n'roll nel loro terzo lavoro, Wolverine Blues. I melodici riff hard rock e quelli ben più massicci, tipici del death metal, a sorpresa, flirtavano con esiti molto più gradevoli di quanto si potesse immaginare, compattati sotto un groove che ricordava quello più recente dei Sepultura: ecco dunque gli efferati nordici alle prese con il riffing r'n'r e le ritmiche poderose di Eyemaster, le belle sezioni soliste melodiche di Rotten Soil o il groove spigoloso della titletrack, brano tra i più corposi e pesanti del lotto. Wolverine Blues restava un disco di deciso e granitico death metal, abbellito con raziocinio ed eleganza da discrete infiltrazioni di hard rock: uno stile maturato con gradualità, un piccolo gioiello ancora estremo e ostico per la maggioranza degli ascoltatori, non certo un esperimento campato per aria. La voce secca e atona di Lars Petrov non deflagrava nel growl ma restava rabbiosa, mentre le chitarre scolpivano nella roccia riff potenti e riconducibili all'electro blues/metal dei padri Black Sabbath: le aperture melodiche e le intuizioni catchy rendevano gustosa e curiosa la portata death metal di brani pesanti e opprimenti come Demon, Contempt, Hollowman o Heaven's Die, creando un mix dinamico, fresco e vibrante, a suo modo devastante. Si era venuto a creare un feeling non ipotizzabile sulla carta, figlio proprio del contrasto tra le claustrofobiche cadenze tombali caratteristiche dei primi Entombed e gli inediti slanci rock, chiare reminescenze del background da garage di questi ragazzi. Di fatto, si stava definendo un genere nuovo: lo avrebbero definito death'n'roll, e l'etichetta sembra più che appropriata. Alex Hellid, chitarrista della band, dichiarava all'epoca: 'In realtà noi non abbiamo fatto altro che mettere insieme brani che a noi piacevano. Vedi, a noi non interessava suonare ancora cose come 'Left Hand Path', anche se molta gente continua a dire che quella è la cosa migliore che abbiamo fatto. Abbiamo scritto nuove canzoni perché eravamo stanchi dei vecchi brani ed il risultato è semplicemente diverso. Mola gente dirà che gli Entombed non suonano più death metal, ma per me 'Wolverine Blues' è death! Del resto chi stabilisce cosa è death metal e cosa non lo è? Noi suoniamo i brani che ci piacciono e nei quali ci riconosciamo maggiormente. La nostra musica è death metal, o almeno è il death metal come lo intendiamo noi'. Molto calde e hard erano anche le sezioni soliste incastonate nei vari pezzi, degno complemento dell'opera, un album che restava comunque roccioso e soffocante, segnato dalla lentezza ipnotica di Full of Hell o dal drumming esplosivo di Blood Song, un pezzo importante che ben amalgamava sensazioni funeree e improvvisi rilasci d'energia. La produzione era piena e spessa, tesa ad esaltare la distorsione del riffing; di sicuro la band scandinava ridusse quasi completamente alle sfuriate ritmiche rapidissime tipiche del death e dei suoi primi due dischi, andando a creare l'inevitabile spaccatura tra fans e addetti ai lavori. Nicke Anderson, batterista e mastermind della band, dichiarò: 'Questo disco non è affatto un cambio di rotta o una fuga da quello che gli Entombed erano in passato, è solo un passo avanti, una logica evoluzione. Non possiamo essere condizionati dalla paura di perdere parte dei fans, noi abbiamo sempre fatto quello che volevamo ed ora più che mai non abbiamo timore nel guardare avanti'. Il platter era santificato dalla conclusiva Out of Hand, un brano energico e che assestava sane legnate ritmiche a rincorsa su un elettrizzante canovaccio r'n'r: un biglietto da visita che forse sintetizza alla perfezione il profilo adrenalinico e la lungimiranza geniale del full length. Di lì a poco, il death classico sarebbe deflagrato nel suono di Goteborg, una diramazione melodica che avrebbe rappresentato un genere quasi a sé stante; tra i pionieri vi erano gli ancora acerbi e grezzi Dark Tranquillity, esordienti con Skydancer: in esso, sfuriate ai limiti del melodic black si alternano ad evanescenti stacchi acustici e melodici assoli di chitarra, definendo il prodotto più underground del combo scandinavo. Ancor più rivoluzionario fu With Fear I Kiss the Burning Darkness, secondo lavoro degli At The Gates: gli svedesi introdussero riff moderni e malinconici nelle collaudate sonorità death metal, creando un ibrido sorprendente, al'epoca, discutibile alle orecchie dei puristi che lo ritenevano troppo morbido ma, di fatto, capace di influenzare e non poco le nuove generazioni. Seppure muovendosi in direzione differente, i Paradise Lost erano un'altra band che nel corso degli anni aveva sviluppato il proprio death sound verso direzioni inedite e tutt'altro che convenzionali, flirtando col gothic e rinunciando quasi del tutto alla componente doom/death nell'importante Icon, rilasciato proprio nel 1993. Abbandonata la violenza death del debutto Lost Paradise e le atmosfere plumbee di Gothic, Icon riprendeva e portava a compimento il percorso musicale intrapreso con Shades of God: snellimento del sound volto a dare maggiore risalto e carica emotiva alle melodie; composizioni più brevi e dirette; addio pressoché totale del growl da parte di Holmes.

La scena estrema non poggiava soltanto sul movimento death metal, ma era rafforzata anche dal sottobosco del doom, che solo un paio di anni prima aveva conosciuto il sound perverso e catacombale dei Cathedral, i quali recuperavano la lezione ed i monolitici riff sabbathiani con una cupezza ed un'ossessività più marcate rispetto ad altri storici esponenti del genere. Tuttavia, il ritorno sulla scena della creatura di Lee Dorrian mostrò una band profondamente rinnovata: The Ethereal Mirror ne consacrava la grande caratura artistica e la soffocante prestanza granitica, ma al contempo ne definiva un'essenza più melodica, offrendo una manciata di canzoni dotate di maggiori sfaccettature. I riff restavano rocciosi e poderosi, corposi, maciullanti, innestati su trame più variegate e metricamente ancora molto dilatate; ma in certi casi erano presenti anche andamenti martellanti o vivaci (la splendida Ride), affiancati ad un vocalism più positivo, venato di un mood hard rock e non più improntato ad una spettrale nenia semirecitativa. Naturalmente gli episodi da psicosi più maciullanti costituivano il fulcro portante del lavoro, ponendosi come cadenzati ed opprimenti esercizi oscillatori dal riffery spesso come la roccia: la minacciosa e massiccia Enter The Worms, l'ipnotica Grim Luxuria o Jaded Entity, uno dei momenti più duri, lenti ed esasperati del platter. Questo si concludeva con altri due ciclopici monoliti di doom classico, molto vicini all'impenetrabile materiale di Forest Of Equilibrium: le taurine e spettrali Ashes You Leave e Phantasmagoria, autentiche cattedrali gotiche erette con perentoria prestanza in scenari nebbiosi e cimiteriali, nei quali la testa dell'ascoltatore sembrava oscillare a rilento, inesorabilmente ed inevitabilmente. I ciclopici riff squadrati e voluminosi dei Cathedral creavano una matassa ossessiva che si trascinava attraverso chitarre pesanti e ritmiche rallentate, ma al tempo stesso prevedevano sparute ed imprevedibili variazioni sul tema, aprendosi in accelerazioni o armonizzazioni repentine -Ashes You Leave- e dunque delineando composizioni ben strutturate e mai banali; la distorsione marcata, la ruvidità delle chitarre ed i catacombali riffoni di Phantasmagoria erano a tutti gli effetti un terrificante manifesto di doom gotico e morboso, fitto e spesso come il granito, spaventosi ed inquietanti nel loro incedere derelitto ed insalubre. Importante ed interessante era la vena melodica che venne iniettata negli assoli ed in alcuni riff nel corso di tutto il disco, una stilla di musicalità quasi onirica che mostrava tutta l'influenza di un musicista come Tony Iommi sul combo inglese, conferendo un meraviglioso tocco settantiano alle composizioni. Nel full length erano immortalati pezzi intensi e grandiosi come l'immensa Fountain Of Innocence, un crescendo depressivo nel quale si alternavano liquide aperture melodiche e corpulenti riff doom, con le voci effettate a costituire sensazioni di indicibile decadenza prima del refrain, più aggressivo; passaggi drastici tra sfumature differenti e riff carichi di groove generavano un disco meraviglioso ed irresistibile, profondamente diverso dal predecessore: se quello era unico e grandioso per il suo funereo estremismo, questo era eccezionale per la sua grande versatilità, e perché mostrava un'anima più duttile della band. Nell'arco dello stesso lavoro era dunque possibile spaziare dal doom classico al godibile stoner-rock della catchy Midnight Moutain, una particolarità che invece era preclusa dal debut. Ricordava in un'intervista del tempo Lee Dorrian: 'In questo disco è possibile evidenziare non poche differenze rispetto al nostro primo album, Forest of Equilibrium; in quel disco regnava un'atmosfera sonora estremamente depressa, lenta, mentre in questo nuovo lavoro eravamo interessati a sperimentare soluzioni diverse e più variegate. Ad ogni modo tutto questo non significa che rinneghiamo quel materiale, che era semplicemente il risultato del feeling, del nostro sentire di quel momento. Non ci siamo mai preoccupati di pianificare un nostro corso musicale, abbiamo sempre suonato quel che ci sentivamo ed ora abbiamo pensato di provare più vie possibili al nostro sound. Le songs di quest'album sono forse più heavy; anche il cantato è diverso: nel primo disco esso rientrava in canoni piuttosto rigidi, seguendo una linea abbastanza statica. Nel nuovo album invece appare una sorta di nervosismo, se così lo possiamo definire, che concorre a rendere tutto più variegato e coinvolgente'. Il lavoro di chitarra di Gary Jennings e Adam Lehan era eccellente e completo: i due imbastirono trame ben articolate, sciorinando una serie mirabile di riffoni marmorei e splendide armonie soliste. Nel complesso, era l'approccio -anche lirico- alla vita stessa da parte di Dorrian e dei suoi compagni ad essere mutato: 'Per il primo lavoro noi sapevamo esattamente quello che intendevamo creare, tutto era calato in un clima assai tragico e si andavano ad analizzare situazioni e cose con un approccio spiccatamente negativo e malinconico. Oggi invece abbiamo maturato un diverso modo di affrontare o risolvere mentalmente le stesse problematiche'. Aggiungeva il teatrale vocalist britannico: 'Questo album è di sicuro più melodico rispetto a quanto proposto in passato, e ciò credo che non mancherà di sorprendere parecchia gente; cerchiamo di essere il più possibile vari e creativi in ciò che facciamo. Spiegare il significato del titolo a parole è piuttosto complicato; esso trova il suo valore nel tentativo di affrontare le grandi problematiche del genere umano, quelle stesse questioni che fuoriescono dalla razionalità umana ma che tuttavia appartengono al suo sentire. Il tutto ha poi riscontro visivo nella copertina del disco che, in fondo, riprende abbastanza l'artwork presentato sulla copertina del primo disco'. L'album era aperto da una piacevole strumentale di melodic-doom come Violent Vortex e veniva ultimato da un brano acustico e dolce, la breve Imprisoned In Flesh; con esso i Cathedral confermarono la loro grandezza e assestarono un colpo determinante per la loro carriera e per la storia del doom metal, guadagnandosi definitivamente e all'unanimità il ruolo elitario che già l'esordio aveva promesso loro. Negli stessi mesi uscivano anche uscivano anche l'altrettanto solido Relentless dei consolidati Pentagram e Turn Loose the Swans dei My Dying Bride, un'autentica tragedia messa in musica: un doom pesante e caratterizzato dall'alternanza vocale di growl e clean vocals, apertura e chiusura con violini, spaccature funeral e forte trasporto emotivo. Claustrofobico e violentissimo, infine, lo scenario funereo portato dagli avventori del black metal, un mondo a sé stante scosso da storie di sangue e violenza. Come quella di Euronymous, chitarrista dei Mayhem, ucciso a coltellate dal giovanissimo compagno di band Varg Vikernes. Citando fonti enciclopediche: 'I motivi dell'assassinio non sono mai stati definitivamente chiariti; molti addussero motivi politici, dato che Euronymous, coltivando un interesse morboso per le ideologie d'estrema sinistra, aveva persino preferenze per lo stalinismo e il maoismo mentre Vikernes si limitava allo spettro di estrema destra, dichiarandosi un nazionalista e seguace dell'odalismo; altri gli diedero motivi pecuniari, poiché il fondatore dei Mayhem doveva rendere del denaro al bassista, il quale li aveva anticipati per la produzione di un disco dei Burzum. Al processo Vikernes sostenne di aver agito per legittima difesa, poiché alcuni amici musicisti gli avevano detto che Euronymous voleva portarlo in una zona periferica per torturarlo, filmandone la sadica operazione'. Vikernes venne arrestato una settimana dopo, con l'accusa di omicidio, incendio doloso di chiese, possesso illegale di armi e profanazione di tombe, ricevendo 21 anni di reclusione, la massima pena prevista dal codice penale norvegese. Dischi come Those of the Unlight degli svedesi Marduk, Pure Holocaust dei devastanti Immortal, Thy Mighty Contract dei greci Rotting Christ o Det som Engang Var dei Burzum -paranoica creatura del folle Conte Grishnack, il killer di Euronymous- gettavano un raggelante vento di cinismo e ferocia nello scenario estremo del tempo, evocando le visioni di feroci vendette pagane.



LAMBRUSCORE
Mercoledì 22 Gennaio 2014, 7.51.59
20
S.N.F.U. e New bomb Turks, tra l'alto, li ho visti live in quegli anni lì.
deedeesonic
Martedì 21 Gennaio 2014, 20.23.39
19
A me piacciono molto anche smash e ixnay on the hombre. Altri acquisti che mi vengono in mente quell'anno sono "Something Green and Leafy This Way Comes" degli s.n.f.u. e "!!Destroy-Oh-Boy!!" dei New bomb Turks
jek
Martedì 21 Gennaio 2014, 20.17.26
18
E' sempre un piacere leggere questi articoli, bravo Rino.
LAMBRUSCORE
Martedì 21 Gennaio 2014, 19.56.51
17
Deedeesonic, no ,Ignition è del '92, l'avevo comprato e rivenduto, comunque lo preferisco alla svolta commerciale / televisiva che hanno avuto in seguito, era un disco niente male, dai...
deedeesonic
Martedì 21 Gennaio 2014, 19.21.34
16
Riguardo la vicenda Euronymous/Varg Vikernes, lessi , tra le altre ipotesi(se la memoria mi assiste), che poteva trattarsi di gelosia nei confronti di una ragazza.
deedeesonic
Martedì 21 Gennaio 2014, 19.11.14
15
Ah si LAMBRUSCORE, hai citato due gruppi che adoro: Pennywise e Poison idea!! Sbaglio o fu anche l'anno dell'uscita di Ignition degli Offspring (ancora molto prima della svolta "Americana")?
LAMBRUSCORE
Martedì 21 Gennaio 2014, 18.53.22
14
Alcuni album che mi vengono in mente. PENNYWISE- Unknown road. POISON IDEA-We must burn. DISFEAR-A brutal sight of war. RINGWORM The promise. DISGUST-Brutality of war. CAPITALIST CASUALTIES-Raised ignorant.
the Thrasher
Giovedì 26 Dicembre 2013, 13.15.15
13
eh eh grazie Delirious!
Delirious Nomad
Giovedì 26 Dicembre 2013, 13.03.37
12
ARGH!! Non avevo ancora commentato! Questo é semplicemente l'anno del Technical Death, la sperimentazione ai suoi massimi livelli (anche nel thrash): Cynic, Pestilence, Atheist, Death, Gorguts, Coroner, Believer, Anacrusis, Obliveon, Voivod, Disharmonic Orchestra... Un'infinità di gioielli sperimentali, tutti tranne i Nocturnus, sempre in anticipo di un anno . Anche Heartwork é sperimentale, a suo modo, ed ha segnato l'inizio di un genere . Grande Rino, come sempre bravissimo!
Numbered Days
Giovedì 26 Dicembre 2013, 11.31.30
11
Questo è l'anno di quello che per me è il capolavoro assoluto della musica, Heartwork.. irragiungibile.. Ma non si scordano Individual Through Patterns dei Death altro capolavoro targato Schuldiner, e anche se inferirore al predecessore un album di grandissimo livello come Covenant Aaaaaaah che bei anni quelli per il Death Metal...
the Thrasher
Giovedì 26 Dicembre 2013, 1.09.44
10
grazie mille Wild Wolf, anche per la segnalazione: in effetti stiamo parlando di un caposaldo del black!
Wild Wolf
Domenica 22 Dicembre 2013, 23.01.41
9
Articolo spettacolare Rino, come sempre..mi permetto solo di aggiungere all'annata 1993 Under a Funeral Moon dei Darkthrone, forse il più importante in ambito black uscito quell'anno assieme a quello da te citato di Varg..ma ancora complimenti per il lavoro!
the Thrasher
Domenica 22 Dicembre 2013, 22.50.43
8
Esatto, anche perchè poi penso che la musica dei Death non sia del tutto ''comprensibile'' se scissa dalle vicende personali di Chuck: ovvero, ascoltare la musica dei Death sernza conoscere la vita e il pensiero di Chuck non è la stessa cosa, è come gustare solo una parte del tutto!
FABRYZ
Domenica 22 Dicembre 2013, 22.03.23
7
Allora sara' mio !!!! Dei Death conosco bene la musica,soprattutto la seconda parte di carriera + tecnica e progressiva (the sound of perseverance e' un cd che adoro) ma conosco poco del padre padrone,il grande Chuck e con questo libro sicuramente raccontare dei Death equivale a raccontare la sua vita
the Thrasher
Domenica 22 Dicembre 2013, 21.44.40
6
eh eh eh, si ''viscerale'' è abbastanza esatto come termine! comunque sì, nel libro ho cercato di inserire quanti piu aneddoti/curiosità possibile, approfondendo tutti gli ambiti della storia dei Death e di Chuck come cerco di fare sempre negi articoli di ''correva l'anno'' (e in tutti gli altri miei articoli!)
FABRYZ
Domenica 22 Dicembre 2013, 21.29.40
5
Figurati Rino,e' sempre un piacere leggere gli articoli correva l'anno...tra l'altro pensavo di comprarmi il libro da te scritto sui death, x il quale mi sembra provi un 'leggero' amore viscerale..scherzo,dai...se comunque e' pieno di approfondimenti che contraddistinguono normalmente la tua scrittura,sara' un capolavoro...l'anno scorso a natale mi sono letto il libro dei motley crue ed e' stato uno sballo
the Thrasher
Domenica 22 Dicembre 2013, 20.24.20
4
@FABRYZ: grazie mille dei complimenti! Si, in effetti i vaneggiamenti di Trey sono mostruosi, piu assurdi di quelli di Benton secondo me!
FABRYZ
Sabato 21 Dicembre 2013, 12.06.33
3
Complimenti a Rino x il solito splendido articolo e x la sua ricerca costante di dichiarazioni dell'epoca in cui questi cd sono usciti...di mio aggiungerei alcuni dischi importanti del 1993 come bloody kisses dei type o negative, undertow dei tool, river runs red dei life of agony, pork soda dei primus e stain dei living colour...x le interviste ai morbid angel, ok le critiche alla religione, ma quando vincent dice che nessuno parla + il latino, bhe', detto da uno che anni dopo sbagliera' proprio il titolo in latino del nuovo cd fa' sorridere...x non parlare dei vaneggiamenti del chitarrista che adora un dio che odia tutti compreso lui....vabbe' dai fa' parte anche del folklore di sentire questa musica,ma il migliore a spararle + grosse resta sempre il mitico benton, ahahah
the Thrasher
Sabato 21 Dicembre 2013, 2.12.24
2
@lux chaos: grazie dei complimenti, è sempre un enorme piacere raccontare gli eroici anni passati in questa rubrica!
lux chaos
Sabato 21 Dicembre 2013, 1.31.43
1
Eh va bè, tranne Burzum e Pentagram che non ho mai apprezzato, tutti i dischi della colonna di sinistra fanno venire i brividi....quattro capolavori di prog-death, il terzo dei quattro capolavori dei Morbid Angel, Paradise Lost, Entombed e la nascita del death n'roll, il capolavoro assoluto dei Carcass....c'è bisogno di commentare? Grande Rino come sempre
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