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CORREVA L’ANNO - # 18 - 1987
23/02/2013 (4630 letture)
Dopo la grande abbuffata del 1986, soffiavano ancora venti di splendore per l'universo metallico, in stato di forma strepitoso: il nuovo anno, il 1987, vide infatti la conferma del thrash alla guida dell'intero movimento, oltre che l'ascesa di nuove realtà che ne affiancarono la leadership; tanto che movimenti come il death metal o lo sleaze di discedenza glam-rock assumevano importanza sempre maggiore. Ma anche l'heavy tradizionale veleggiava in gran carriera, florido come negli anni migliori grazie alle nuove diramazioni intraprese da band come gli Helloween, i quali si rifacevano alla vecchia scuola ma con copiose dosi di personalità e originalità. Per le zucche di Amburgo, già autrici di un EP all'avanguardia come l'omonimo rilasciato nel 1984, il debut album Walls of Jericho era stato un passo di importanza straordinaria: un disco possente, roccioso e dalle ritmiche accelerate, che si poneva a capostipite del nuovo filone power metal in quanto portava alle massime conseguenze la dinamica, l'epicità e la vena melodica dell'heavy classico; ma col nuovo Keeper Of The Seven Keys part I fu compiuta un'ulteriore evoluzione, la quale permetteva alla band tedesca di primeggiare senza pari nel panorama metal più puro, quello che -in altre parole- si discostava ancora dall'estremo e dall'egemonia del thrash. Il disco era raffinato e pulito nella produzione e poteva contare su meravigliosi fraseggi di chitarra, riff poderosi, cavalcate epiche emozionanti, chorus giganteschi ed una vasta gamma di ritmiche, prevalentemente ultra-speed ma in ogni caso articolate anche in mid-tempos più ritmati. Il salto di qualità coincise con l'ingresso in line-up di un nuovo cantante, Michael Kiske, un diciottenne dotato di incredibile potenza vocale: Kiske, gioviale e poliedrico nella timbrica, trascinante e coinvolgente sul palco, ereditò il ruolo dall'ottimo chitarrista Kai Hansen, tipo mite, intelligente e bonario, che gli lasciò il microfono per concentrarsi esclusivamente sui riff granitici e sulle avvolgenti armonizzazioni col più truce e serioso Michael Weikath. Con un prodotto di tale caratura, intriso di atmosfere positive e ambientazioni fantastiche, la corazzata tedesca raccolse lo scettro di Judas Priest ed Iron Maiden, band di cui conservavano ancora evidenti reminescenze; tuttavia, Hansen -principale compositore dell'opera- spinse al fine di ottenere un sound caratteristico, obbiettivo puntualmente raggiunto grazie alla sua classe e al suo tocco morbido: il rosso axe-hero fu determinante per la creazione di strutture ariose e intricate, arricchite da assoli al fulmicotone molto tecnici e da una rapidità strutturale incalzante. Il platter era un'autentica meraviglia e non conosceva momenti di stanca, con la band che, pur risultando meno irruenta che sul debut, affinava sensibilmente la sua precisione e migliorava la bontà degli arrangiamenti, optando per una più positiva sensibilità melodica; brani come I'm Alive o A Little Time spiccavano per la grande dinamicità, le architetture ricercate, la melodia in dosi copiose e la notevole varietà, ma gli autentici capolavori erano le massicce e stratificate Twilight of the Gods, brano maestoso e ultra-epico sparato a velocità irresistibile e compattato da un devastante canovaccio ritmico ed Halloween, una suite di quattordici minuti nella quale i tedeschi esibivano tutto il proprio ricco repertorio: riff statuari, cambi di tempo, assoli fibrillanti e qualitativamente straordinari, straripanti dosi di enfasi, melodie spettacolari, fraseggi di chitarra e mirabolanti scorribande veloci; da citare era anche l'ottima Future World, scandita da vocals accattivanti e ruffiane. Kiske, autore di una performance stellare, si ritagliava con questa release un posto garantito nella storia; ricorda il bassista Markus Grosskopf: 'Con questo disco Kai si stufò di cantare e suonare la chitarra contemporaneamente, senza considerare il fatto che ciò gli creava anche grossi problemi alle corde vocali. Per questo ingaggiò Michael Kiske e con lui svolgemmo subito un rapido ma ottimo lavoro a livello di songwriting, confermato poi dal fatto che 'Keeper I' si rivelò un grande successo sia per noi che per la Noise'. Inizialmente si prevedeva di stampare un disco doppio, ma la label preferì tenere la seconda parte -composta in larga parte da Weikath e dotata di ulteriori aperture melodiche, refrains ancora molto immediati ed una più marcata componente speed- per l'anno successivo. La corazzata amburghese, in forma strepitosa, supportò il disco con un lungo tour, riproponendo sul palco le spettacolari pose maideniane e le esuberanti esplosioni di dinamismo tipiche della Vergine di Ferro, con un Kiske bardato di cuoio colorato e scatenato in irrefrenabili headbanging.

Band di spicco nella scena classic heavy, i leggendari Manowar dopo il 1985 si erano presi un periodo lontani dagli studios, quasi per contemplare lo spettacolare mosaico composto nelle stagioni precedenti: un'imponente serie di masterpieces attraverso i quali avevano fatto il bello ed il cattivo tempo in ambito epic, spaziando dagli slow agli up tempos con la medesima forza evocativa ed un inflessibile carico di epos ed ego. In quel 1987, i Guerrieri tornarono sulle scene con Fighting The World, un disco leggermente più easy-listening: in esso, le monumentali e regali sinfonie metalliche che li avevano resi immortali lasciavano spazio a pezzi dall'approccio rock-oriented, per un risultato complessivo discreto ma non eccellente; grazie a questa piccola svolta, la band migliorò la propria audience mediatica, proponendo un brano insolitamente orecchiabile come la positiva Carry On. Non mancavano, ovviamente, alcuni lampi della vecchia grandezza, riscontrabili nella rocciosa ed avvincente titletrack o nella tempesta d'acciaio che rispondeva al nome di Black Wind, Fire and Steel, un metal-anthem all'insegna del doppio pedale; tuttavia, l'album era considerabile una sorta di passo indietro. Fu strano dover attendere un disco dei Manowar tanto a lungo, dato che in precedenza i warriors newyorkesi erano stati molto prolifici; la ragione di questo 'ritardo' è ben spiegata dalle parole di Joy DeMaio: 'Il problema è che ci ritrovammo senza casa discografica per un certo periodo di tempo (avevano firmato con la Virgin, ma questa chiese loro un ammorbidimento del sound, ndr); furono in molti a pensare che i Manowar fossero finiti, ma noi imperterriti continuammo a fare tour, in particolar modo l'Eastern Metal Blast Tour in compagnia di Motorhead ed Exciter, e fu proprio in occasione di uno di questi concerti che alcuni managers della Atlantic vennero a vederci e decisero di metterci sotto contratto'. Eric Adams approfondisce il concetto: 'Nel corso della nostra carriera abbiamo attraversato momenti nerissimi, ma per fortuna parte della stampa e tutti i nostri fans ci hanno sempre sostenuti ed incoraggiati. Questo ci ha dato la forza per credere che ogni volta le cose avrebbero ripreso ad andare per il verso giusto, e così accadde anche in quel caso'. Un autentico capolavoro venne confezionato dai Savatage, decisi a risorgere dalla caduta coincisa col troppo morbido Fight for the Rock: i fratelli Oliva svilupparono il loro metal epico con vigorose sterzate di US Power, così che Hall Of The Mountain King rappresentò quasi una rinascita per la formazione americana. Il disco fruttò un importante tour con Megadeth e Dio, che purtroppo naufragò strada facendo a causa dei problemi con la droga di Mustaine e Jon Oliva; tuttavia, era stato lanciato un sasso fondamentale per il proseguio di carriera dei Savatage, che ora si dotavano di testi più profondi e delle prime orchestrazioni tangibili nelle proprie composizioni. Anche l'immarcescibile King Diamond, da poco avviatosi verso una notevole carriera solista dopo i gloriosi trascorsi nei Mercyful Fate, si fece autore di un prodotto memorabile ed imprescindibile come Abigail, da molti ritenuto il suo vertice massimo: un concept gotico ed intriso di significati esoterici, costruito attorno ad una storia di fantasmi e caratterizzato musicalmente da composizioni sempre più tecniche e ricercate. La voce in falsetto del Re troneggiava inconfondibile sulle strutture barocche tracciate dalla virtuosa chitarra di Andy LaRocque, e per il tour di supporto si potè ammirare una formazione in gran spolvero. Le leggende dell'acciaio cromato, i Judas Priest, rilasciarono in quei mesi il loro nuovo live, intitolato semplicemente Priest Live: un prodotto che, come era stato con Unleashed In The East negli anni settanta, permetteva di valutare la grande potenza della band in sede live nel corso degli eighties. L'album non fu però accolto con lo stesso entusiasmo del predecessore, anche a causa di una scaletta che includeva troppi episodi del recente e deludente Turbo, a discapito di tanti vecchi classici imprescindibili. I veterani Black Sabbath si rimisero in pista dopo alcuni passi falsi con il buon The Eternal Idol, disco che manteneva lo stile recente della band inglese (dunque con il cospicuo apporto di tastiere) ma recuperava in parte certe sfumature pesanti degli esordi, premiando le doti e l'umiltà del nuovo cantante, Tony martin, vecchio compagno di Tony Iommi ai tempi della scuola; i Motorhead, col ritorno del vecchio amico Phil Taylor alle pelli, pubblicarono l'abrasivo Rock 'n' Roll, che non si discostava di una virgola dal classico e granitico stile della band, mentre Ronnie James Dio lanciava il quarto disco della sua band omonima, Dream Evil; i giapponesi Loudness tornarono sulla scena con Hurricane Eyes (che confermava l'americanizzazione del sound intrapresa col predecessore) e gli integerrimi Grim Reaper misero a punto un nuovo gioiellino di heavy classico e melodico, quel Rock You To Hell che si ricollegava con il debutto See You In Hell, esibendo epiche melodie vocali e pregevoli trame musicali. Un altro vecchio eroe del metal ottantiano, Udo Dirkschneider, aveva da poco lasciato gli Accept all'apice del successo, a causa di rapporti non idilliaci con gli altri componenti; in quell'anno inaugurò la sua carriera solista col valido Animal House, una delle migliori release a cui lavorerà al di fuori della band madre, della quale manteneva peraltro le fondamentali linee stilistiche. A proposito di stile, va citata la svolta tematica dei tedeschi Running Wild, che con il memorabile e sferzante Under Jolly Roger adottarono look e testi pirateschi; musicalmente, invece, i corsari di Amburgo, continuavano ad ispirarsi all'essenziale e dinamico heavy metal priestiano, attingendo anche dalla sacca della NWOBHM.

Il 1986 era stato l'anno del massimo splendore per il thrash metal americano; in quei mesi era nata la leggenda dei Big Four, una pletora di fieri rappresentanti che si completò proprio nei dodici mesi successivi grazie alla pubblicazione di Among The Living dei newyorkesi Anthrax, dediti ad un thrash potente, granitico ma anche scanzonato e melodico; un concentrato devastante di velocità eccitante, vocals trascinanti, riff semplici e affilati, sostenuti dal drumworking sismico di Charlie Benante ed irrorato da una irrefrenabile vena ironica. Questa si sublimava nel vocalism acuto e guascone di Joey Belladonna, un singer dalla timbrica quasi power che colorava con melodia e liriche sociali quei pezzi incalzanti; il chitarrismo degli Anthrax era lineare e diretto, corposo, eppure trascinante e geniale nella sua essenza: Scott Ian non era certo un virtuoso, ma riusciva ad imbastire irresistibili strutture ritmiche, flirtando con l'hardcore ed infiammando l'audience del pogo tramite autentici inni come la titletrack, Caught in a Mosh, I Am The Law (una scorribanda ritmica sfrenata, al cospetto della quale era pressochè impossibile non agitarsi come indemoniati) o la monumentale Indians, dedicata alla causa degli indiani d'America ed accesa da accelerazioni dinamitarde con una forza d'urto spaventosa. La bravura degli Anthrax era proprio quella di coniugare il thrash più frenetico ed incalzante con mirabili dosi di melodia, innalzando insormontabili muri di adrenalina. Riferendosi nei loro testi a novelle, romanzi ed episodi cinematografici, i cinque newyorkesi davano lezioni di hardcore-thrash in N.F.L e dedicavano l'intera opera al compianto Cliff Burton, vecchio ed indimenticato compagno di tante avventure, senza però venire mai meno alla propria natura irriverente; affermava Scott Ian: 'Il senso dell'umorismo è ciò che differenzia gli Anthrax dal resto della scena thrash/hardcore; guardi le foto di altre band e sembra che stiano lì in posa con un bastone piantato nel culo. C'è sempre uno sforzo dietro l'offrire un certo tipo di look e credo che la nostra forza stia nel fatto che i nostri fans possano identificarsi in noi al cento per cento. Essere in una band non implica cambiare ciò che siamo: non ci costruiamo un'immagine, non usiamo costumi. Il senso dell'umorismo fa parte di noi come persone, ed è naturale che venga fuori nei testi e nelle musiche'. Il gruppo supportò l'album con una calata europea, assieme a Celtic Frost e Crimson Glory, e tornò nel vecchio continente in autunno, esibendosi anche a Milano e Modena al fianco dei Testament: furono shows memorabili e devastanti, che contribuirono ad accrescere la fama delle due realtà americane. In particolare, i Testament stavano vivendo un momento strepitoso: dopo anni di gavetta negli infuocati sobborghi della Bay Area, gli ex Legacy erano finalmente giunti al debutto discografico, mettendosi alle spalle un lungo periodo di frustrazioni dovute alla ricerca di un meritato contratto discografico. Sotto la supervisione della Megaforce, dunque, vide la luce il tellurico The Legacy, un esordio col botto che puntava tutto sulle velocissime frustate ritmiche di pezzi come Over the Wall, Burnt Offerings, First Strike is Deadly, la perentoria Curse Of The Legion Of Death, la concitatissima Raging Waters o la travolgente Alone in the Dark: Louie Clemente dettava i tempi dietro alle pelli, Eric Peterson scoccava riff affilati e velenosissimi ed il gigantesco nativo americano Chuck Billy, che aveva ereditato il microfono da Steve Souza, si prodigava in irresistibili vocalizzi adrenalinici, con la sua timbrica acida e aggressiva del tutto particolare; se i Testament si elevavano dalla media, però, gran parte del merito era dell'altro chitarrista, Alex Skolnick, un ragazzo dal tocco morbido e con importanti radici nel jazz: Skolnick completava lo spettro sonoro della band con la sua tecnica induscutibile, apportando meravigliosi e sinistri assoli melodici alle consuete scorribande d'impeto mitragliate dai suoi compagni. Quello che ne conseguiva era un mix esplosivo tra la violenza degli Slayer e le stratificazioni melodico-strutturali dei Metallica, anche se lo stesso Skolnick ha sempre rifiutato ogni paragone: 'Siamo rimasti davvero sorpresi dal numero di recensioni positive che abbiamo ricevuto con The Legacy, soprattutto in Europa. Tra le persone, purtroppo, ci sono anche quelle che sostengono che noi siamo una "band clone", che copiamo da quella o da quell'altra band, ecc. Queste tendenze ci preoccupano un po'. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Fortunatamente le riviste più organizzate nel settore sanno che, anche se l'energia e lo stile sono gli stessi, The Legacy include molti elementi originali ed innovativi'. Memorabile fu l'esibizione al Dynamo Festival di Eindhoven, immortalata in un pregevole EP live: i californiani erano in condizioni smaglianti e misero a ferro e fuoco le platee, dando una dimostrazione di forza perentoria e impattante. La grinta ed il carisma di Chuck Billy erano letteralmente straripanti: l'immenso singer, da sempre impegnato alla difesa della causa dei pellerossa, era un frontman notevole, un bonaccione dal cuore d'oro che, sul palco, appariva come un truce guerriero delle tenebre. I ragazzi di San Francisco proseguirono la loro attività affiancando gli Overkill sul suolo americano: molte erano le affinità con i newyorkesi, freschi di un debutto capolavoro del thrash come Feel The Fire e altrettanto abili nel miscelare scarnificanti vibrate ritmiche con spunti melodici di tutto rispetto. Nel corso di quel tour congiunto, la band dal logo verde fluo stava promuovendo il suo secondo lavoro, l'altrettanto valido Taking Over, un disco a dir poco corrosivo: ancora una volta spiccavano le vocals epiche e stridule di Bobby Ellsworth, al pari dell'ottimo lavoro alle sei corde di Bobby Gustafson, un musicista letale in fase di riffery ed ispirato quando alle prese con le avvolgenti sezioni soliste. Gustafson era l'unico guitarist del four-pieces, ma da solo era capace di costituire strutture valide e ben arrangiate, sorrette dallo scrosciante lavoro di Rat Skates col doppio pedale; un thrasher che si rispetti non può non conoscere fiammate dirompenti come Deny the Cross, Wrecking Crew o Electro-Violence, autentici manifesti del genere, scossi da debordanti vortici di energia e foga ma resi con inappuntabile precisione esecutiva. L'act del New Jersey non si discostava dal classico profilo del thrasher medio, torvo ed arrabbiato, anche se Ellsworth ci teneva a precisare che non era un atteggiamento stereotipato: 'L'odio e certi sentimenti negativi sono insiti nella natura umana, non puoi prescindere da essi; in alcuni sono più sopiti, in altri più evidenti, ma la rabbia e l'intolleranza si annidano in ognuno di noi. Anch'io non faccio eccezione; attraverso la musica ho la grande fortuna di poter gettare fuori ogni frustrazione ed emozione negativa che mi porto dentro. Scrivere canzoni è una terapia simile alla psicanalisi per me, ma l'odio che esterno negli Overkill non è che una microscopica parte della mia personalità: nella realtà penso di essere un ragazzo tranquillo e che pensa positivo'. Nello stesso anno, la band rilasciò l'EP !!!Fuck You!!!, dopodichè si separò da Skates e lo rimpiazzò col preparato Sid Falck, già attivo nei Battlezone di Paul DiAnno.

Nella vecchia Germania stavano ancora ardendo i tizzoni di Pleasure To Kill, quando i giovani Kreator decisero di conferire un'ulteriore mazzata alla scena thrash internazionale: si chiamava Terrible Certainty ed era un nuovo capolavoro, brutale e farneticante come il predecessore ma costituito da strutture più lineari e meglio concepite; il chitarrista e cantante Mille Petrozza rimaneva una fucina ben assortita di riff killer e vocals strozzate, ma l'ingresso di una seconda ascia -Jörg "Tritze" Trzebiatowsk- conferiva all'act teutonico uno spessore compositivo più ragionato, anche se velocità e aggressività erano sempre in rilievo. Se il disco precedente aveva aperto le frontiere dell'estremo con un tornado devastante e all'insegna del caos, Terrible Certainty si presentava invece come caos organizzato: inostenibile era l'onda d'urto dell'opener Blind Faith, lancinante l'assolo atonale di Storming With Menace, terrificante la foga di up-tempos massacranti come As The World Burns (affidata all'ugola rocciosa del drummer Ventor), One Of Us, No Escape (un focolaio ultra-thrashy con una delirante ritmica a rincorsa) o Behind The Mirror, una sgraziata badilata sul cranio che ripercorreva la scia sanguinaria tracciata dalla scriteriata Under The Guillotine sulla release dell'anno prima. La titletrack era il brano più articolato, un complesso di riff letali, ripartenze furibonde e refrain trascinanti nella loro barbara melodia; anche Toxic Trace si discostava dal classico modello unicamente 'tirato', in quanto si apriva sinistra per poi convogliare in una insostenibile sfuriata finale. Questa release permise alla band di accrescere la propria fama underground e di finanziare dunque l'EP Out of the Dark Into the Light; inoltre, rappresentò una vera svolta a livello tematico, in quanto in esso Petrozza abbandonò le infernali farneticazioni adolescenziali per dedicarsi ad argomenti più maturi ed impegnati socialmente, come la lotta alle credenze religiose, la protezione ambientale del nostro pianeta, la critica ad ogni sorta di controllo mentale sulle masse ed il pericolo dell'inquinamento atmosferico. Il chitarrista ha un'opinione personale sul fatto che le maggiori metal-bands tedesche provengano tutte dal bacino della Ruhr: 'Forse solo perché è la zona più popolosa della Germania, ed è stata la prima che ha abbracciato il movimento all'inizio degli anni ottanta. Mi ricordo bene che andavo coi miei amici ad ascoltare le band locali che si stavano facendo strada come i Running Wild, i Grave Digger, i Warlock o i primissimi Helloween; poi la Ruhr si è letteralmente intasata di band e tutti venivano da ogni angolo del Paese perché qui c'era più movimento. Però già alla metà degli anni ottanta era chiaro che le band che avevano più rilevanza erano Kreator, Sodom e Destruction. Io apprezzavo l'etica di band punk come Misfits e RaW Power, il fatto che volessero rendersi indipendenti e contro il sistema; mi piaceva che fossero contro la tradizione, contro lo sfruttamento, contro l'autorità, contro la polizia, e che avessero una coscienza sociale nei loro testi'. Interpellato su quale fosse, a sua detta, il punto di svolta nella carriera della band di Essen, il musicista italotedesco ha chiosato: 'Sicuramente l'album Pleasure To Kill ci ha dato una buona visibilità e ha contribuito a espandere la nostra fama tra i fans; però per me è difficile valutare un istante preciso, perché quando ho fondato i Kreator non volevo diventare una rockstar e non pensavo nemmeno di avere una carriera; volevo solo suonare musica pesante e arrabbiata'. Proprio in quel 1987, i conterranei Sodom fecero il botto definitivo: Persecution Mania, per quanto fosse furibondo, velocissimo e devastante, si discostava dal grezzume sulfureo e dalle atmosfere sataniche di Obsessed Cruelty, il disco d'esordio (1986), e presentava tematiche più mature oltre che una produzione migliorata e notevoli progressi tecnici; il riffing teso e nevrotico di Frank Blackfire è un assalto continuo, sostenuto dal drumwork feroce di Chris Witchhunter e dal carisma del leader Tom Angelripper, molto aggressivo e rozzo nelle linee vocali nonchè ispirato da Venom e Motorhead nei suoi corposi giri di basso. Veemente, sanguigno e sanguinario: il platter è una pietra miliare imprescindibile del thrash continentale, e contiene una sequela di sassaiole vibranti dal tiro letali, capaci di demolire le difese immunitarie anche dell'ascoltatore più rodato; la tracklist è eccellente e massacrante nella sua interezza, ma pezzi come la tittletrack, la lunga Christ Passion o la trascinante ed irresistibile opener Nuclear Winter meritano una menzione particolare. Bardati di cuoio, borchie, catene ed orpelli metallici vari, i Sodom proponevano un thrash feroce, grezzo, quadrato, tipicamente teutonico, e si fregiavano ora di testi più maturi, attraverso i quali denunciavano gli orrori insiti in tutti i conflitti: nonostante questo, la morale pubblica li bollò come guerrafondai, confermando l'ignoranza ed il bigottismo di quei perbenisti incapaci persino di comprendere l'argomento trattato in un testo musicale. Sulla copertina del platter campeggiava Knarrenheinz, un soldato senza volto che andava a rappresentare l'interesse analitico dell'act mitteleuropeo nei confronti della guerra stessa, fonte costante di spunti e riflessioni liriche ben sostenuti in musica da urgenti bordate ritmiche; ricorderà in seguito Angelripper: 'La Ruhr era proprio un ambiente perfetto per far nascere i Sodom, io stesso ho lavorato come fabbro in miniera per dieci anni, come fecero prima di me mio padre e mio nonno; non eravamo una famiglia ricca e quello era l'unico modo per guadagnarsi da vivere. L'atmosfera della Ruhr non ha influenzato solo i Sodom, ma tutti i gruppi di quella zona, molto più aggressivi se paragonati a tutte le altre thrash metal band europee o americane'. In quel periodo, i Kreator tennero alcuni concerti in terra britannica assieme ai Celtic Frost, ritenuti seminali per l'evoluzione del thrash e per la nascita dell'avantgarde metal: il loro fresco Into The Pandemonium si discostava dalla furia cieca di To Mega Therion e annetteva al suo interno copiosi sperimentalismi, diversi musicisti ospiti, strumenti apparentemente inassociabili ai generi metal più spinti (violini, violoncelli, corno francese) e persino una cover di Mexican Radio della band new wave Wall of Voodoo. Il tour di supporto, tuttavia, non fu felice: i fans di vecchia data non capirono la svolta rivoluzionaria della band svizzera e se ne discostarono seccamente; per quanto possa deludere i puristi, Into The Pandemonium rimane un prodotto fondamentale in quanto pioniere dell'incontro tra thrash metal, art rock, pop e musica classica. Svizzeri erano anche i Coroner, tre ragazzi che facevano parte proprio della road crew dei Celtic Frost: il loro debutto, R.I.P., era però molto più aggressivo di quanto proposto dai Frost; il platter era abbastanza curato dal punto di vista tecnico, per quanto ancora acerbo ed abrasivo. In esso, il chitarrista Tommy Vetterli sfoggiava una serie di riff e partiture ritmiche adrenaliniche, alternandole però a veloci scale neoclassiche, ben innestate sulle tipiche serrate thrashy; accompagnati da un vocalism scarno e soffocante, i Coroner diedero un notevole impulso al thrash continentale, che di lì a poco si sarebbe fregiato del loro elevato e crescente tasso tecnico. Quel genere, nato grezzo ma presto evoluto verso le direzioni più disparate, sempre più spesso veniva reinterpretato attraverso letture tecnicamente avanzate: accadeva anche in Breaking the Silence dei californiani Heathen e soprattutto nell'incredibile Killing Technology, capolavoro massimo dei canadesi Voivod; trainati dal chitarrismo geniale di Denis D'Amour, i canadesi contaminarono l'irruente thrash/death dei primi due dischi con cospicui innesti di psichedelia, argomenti da fantascienza e trame più contorte che mai, saltando direttamente dal techno-thrash al progressive thrash, per quanto dotati di un incedere quasi punk. Ricorda il singer Snake, alias Denis Belanger: 'Parlavamo di cose diverse, leggevamo libri che ci offrivano spunti e riviste di fantascienza come 'Omni'. Cercavamo di mescolare la fiction con la realtà e poi di far interagire queste cose. La musica è fatta per provare emozioni diverse dalla vita normale e questo è ciò che mi aspetto'. Anche i danesi Artillery, compatti e urticanti nel loro debut Fear of Tomorrow (1985), mostrarono una piccola ed ancora impercettibile progressione, che li avrebbe portati negli anni ad importanti livelli compositivi: rimanevano però degli alfieri del thrash più verace ed esagitato, lo stesso che animava Know Your Enemy dei californiani Laaz Rockit, qui molto più crudi e feroci rispetto ai primi due dischi in studio.

La scena thrash americana era ancora in fermento e riscontrava una serie di buone pubblicazioni: i popolari ed efferati Exodus, per esempio, rilasciarono un colpo abbastanza tosto come Pleasures of the Flesh, che pure non era ai livelli irraggiungibili di Bonded By Blood, anche a causa del cambio di singer; l'amato Paul Baloff, infatti, era stato licenziato per abuso di stupefacenti e rimpiazzato da Souza, che come abbiamo visto aveva già militato nei Legacy. Da incorniciare fu invece The Ultra-Violence, debutto dei Death Angel, cinque cugini di origine filippina scoperti da Kirk Hammett ed alle prese con un vigoroso ed orgasmico thrash alla californiana: ritmiche ultra-speed, riff avvelenati, strutture esili e refrain da pugni al cielo; basterebbe la sola Thrasher per chiarire il concetto. La titletrack, una strumentale inaugurata da un riff marziale, era l'unico pezzo più complesso e si assestava attorno ai dieci minuti di durata: al suo interno erano presenti tutte le peculiarità del combo di Frisco, una vetrina di riff notevole ed una miriade di incroci, stacchi e ripartenze, sintomo di una capacità di arrangiamento incredibile per un manipolo di adolescenti al debutto. Nel corso del disco, Mark Osegueda cantava con tono secco e dissonante, Gus Pepa e Rob Cavestany facevano scorrere il sangue sulle sei corde mentre il bassista Dennis Pepa ed il drummer Andy Galeon, appena quindicenne, reggevano la battente sezione ritmica. Ticket To Mayhem mostrava invece la completa maturazione degli Whiplash, thrashers dal New Jersey che confermarono la bontà della loro fervente proposta e la arricchirono con i risvolti pseudo-death della distruttiva Walk the Plank. Naturalmente, gli appassionati del genere -muniti dei soliti gilet in jeans pluritoppati- continuavano a seguire con attenzione le mosse dei Metallica, da poco colpiti dalla tragedia che uccise Cliff Burton: la band aveva deciso di proseguire in suo onore, ingaggiando Jason Newsted dei Flotsam & Jetsam e utilizzando come banco di prova per il nuovo entrato un breve EP di cover punk e metal, The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited. Tra i pezzi scelti, spiccavano Helpless dei Diamond Head e Last Caress dei Misfits, band amatissima dal compianto Burton. A Cliff fu dedicato un home video pubblicato col titolo Cliff'Em All, un prodotto intriso di passione e che ricordava l'amico scomparso come lui avrebbe voluto: con leggerezza. Non vi erano dunque immagini rallentate strappalacrime o melodie struggenti in dissolvenza, come spiegavano le note scritte dal pugno di James Hetfield: 'questo non è il classico home video di merda fatto con audio e produzioni cinematografiche, ad alta tecnologia, è una compilation di riprese amatoriali girate da luridi Metallonzi, materiale girato per la tv e mai utilizzato, riprese casalinghe, foto personali & noi ubriachi. Ma soprattutto è una retrospettiva sui tre anni e mezzo che Cliff ha passato con noi e include i suoi migliori soli di basso, le riprese casalinghe & le foto che secondo noi ne catturano meglio la sua personalità unica & il suo stile. La qualità in alcuni punti non è così eccelsa, ma l'anima c'è tutta ed è questo che conta'. La band stava preparando del nuovo materiale e tenne un concerto segreto in un club londinese, sotto il moniker Damage Inc: attirate dal nome inequivocabile, frotte di fans accorsero nel piccolo locale e molti dovettero seguire l'evento dall'esterno a causa dell'eccessiva affluenza. La band si esibì di nuovo a Castle Donington, ancora prima dei Bon Jovi: l'oceanica platea britannica dovette fare i conti con la rinnovata furia dei quattro americani, che di lì a poco avrebbero supportato gli intoccabili Deep Purple a Norimberga. Vibranti versioni di Whiplash, Master of Puppets e Battery annichilirono i vecchi rocker, con il pubblico in delirio per i nuovi messia. Chi, invece, era interessato anche alle contaminazioni e a stili musicali non troppo rigidi, poteva apprezzare il terzo disco degli irriverenti D.R.I.: Crossover. Texani di Houston, i D.R.I. andavano a mescolare il classico suono thrash con le rasoiate più tipiche dell'hardcore (in maniera ancora più marcata rispetto agli Anthrax), generando uno stile nuovo che prendeva proprio il nome di crossover e si caratterizzava per la grande energia, oltre che per le composizioni secche, dirette e minimali, improntate attorno ad una gran foga esecutiva figlia proprio del punk.

Qualcosa di nuovo ed inquietante, intanto, si stava muovendo dalla Florida, per mano e per mente di un ragazzino assetato di ambizione e troppo presto ferito dalle ingiustizie dell'esistenza; Charles Michael Schuldiner aveva appena vent'anni, ma già una cospicua gavetta alle spalle: da ragazzino aveva subito come un trauma la morte incidentale dell'adorato fratello maggiore (all'epoca sedicenne) e da allora si era dedicato spasmodicamente alla chitarra, rifiutando le lezioni e muovendosi da autodidatta. Si era accostato alla musica dura attraverso un disco degli Exciter, aveva passato ore in sala prove e si era creato delle scale tutte personali; dopodichè aveva fondato i Mantas, con i quali riprendeva il morboso e caotico monito venomiano. Ma non era soddisfatto, il giovane Chuck, che già all'epoca non si accontentava dell'ordinario: la band venne fatta e disfatta, il ragazzo andò a farsi le ossa con i canadesi Slaughter (reputati inadatti e disorganizzati) ed era tornato più volte alla base, alla ricerca dei musicisti più consoni alle sue idee. Aveva scelto un nuovo moniker, Death, forse per esorcizzare il mostro che si era portato via il fratello; con la nuova entità aveva inciso una marea di demo dozzinali, senza mai esserne veramente appagato. Una parola ne sintetizzava l'ideale: evoluzione. I giovani musicisti di cui si era circondato non lo seguivano, si adagiavano sugli allori, si limitavano a percuotere i propri strumenti senza cercare di migliorare mentre lui, Chuck, desiderava la perfezione. Certo, forse inconsciamente: in quegli anni era ancora affascinato dalla velocità e dalla pesantezza messe in musica e non si immaginava certo una trasfigurazione tecnica di quel genere a cui si dedicava con tanta efferatezza. Così era giunto fino in California, nella scena di San Francisco, florida ma già in declino; qui aveva conosciuto il giovane drummer Chris Reifert, con cui la sintonia fu immediata: i due ottennero un contratto discografico e, senza l'ausilio di altri strumentisti, si recarono in studio per incidere le migliori canzoni scritte in quegli anni da Evil Chuck. Il primo esito non fu confortante, così si dovette procedere ad una nuova incisione, questa volta più che valida: ne nacque Scream Bloody Gore, il manifesto del death metal. Il disco primigenio. I Death si rifacevano allo stile dei Possessed e citavano i primi Celtic Frost, ma erano al contempo innovativi e personali: se le band ispiratrici si muovevano in un esiguo confine col thrash, i Death rappresentavano il superamento di ogni frontiera, la palesazione dell'estremo. Schuldiner aveva generato un suono nuovo, ancora grezzo e scarno nella forma, che del vecchio thrash possedeva soltanto le ritmiche devastanti, scroscianti, telluriche: i suoi riff erano brutali e permeati di un'aura maligna senza precedenti, le sue vocals sfruttavano un growling primordiale e spaventoso; gli assoli, velocissimi e sferzanti, davano l'idea di una falce impazzita che triturava in mille pezzi le carni di chi osava avvicinarsi, schizzando fiotti di sangue in tutte le direzioni. Infernal Death era una mazzata massacrante, Zombie Ritual un riffing lugubre e solenne che accelerava in una lancinante orgia di non-morti; con Denial of Life, Sacrificial o Mutilation si precipitava in marcescenti visioni di caos, mentre Evil Dead sfoggiava un chitarrismo feroce ed acuminato come una lama nelle tempie. Pezzi come Torn To Pieces o la titletrack garantivano una dose straripante di energia spettrale, grazie a ritmiche spaccaossa pressochè irresistibili; l'intero disco puntava su liriche sanguinolente, figlie della passione di Chuck per gli horror-movies più spaventevoli, all'insegna di sbudellamenti, teste mozzate, cadaveri putrescenti e ributtevoli sgozzamenti post-mortali, giusto per completare visivamente una musicalità sconvolgente. Pur annettendo diversi momenti potenti e funerei, il disco era costituito da velocità scarnificanti e riff brutali; Schuldiner, che per l'occasione impugnò chitarra ritmica, solista, basso e microfono, ne era finalmente soddisfatto, come dichiarerà anche anni dopo: 'La reazione dei fans a Scream Bloody Gore è stata semplicemente fantastica, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. Suonavo la chitarra da soli due anni, quindi la struttura delle canzoni era molto semplice. L'album suona molto grezzo ma io ne sono ancora orgoglioso. Ero totalmente soddisfatto del modo in cui il disco è uscito. Randy Burns ci ha dato una produzione molto pesante ed era molto facile lavorare con lui in studio. L'unica cosa che rimpiango riguarda la chitarra ritmica, credo che avrebbe potuto essere un po’ più forte nel mix'. Di questo disco, un popolare magazine europeo scriverà, anni dopo: 'Chuck Schuldiner utilizza un sacco di elementi thrash nella creazione di Scream Bloody Gore, ma ciò che suona diverso è il volume del basso, il suono cupo e l'utilizzo costante della doppia cassa; la differenza principale coincide con le vocals, più distintamente death metal. La performance vocale di Chuck non è una delle più brutali nei vari stili death metal, ma bisogna considerare che in quel momento non vi erano band come i Cannibal Corpse o i Morbid Angel; questo era il suono più crudo e brutale prodotto fino a quel momento. Nonostante questo sia il padre di tutti gli album death metal, possiamo ascoltare in esso assoli già discretamente tecnici: ci vorranno proprio i Cannibal Corpse, cinque anni dopo, per mescolare con uguale efficienza le chitarre death metal con un buon tasso tecnico'. La morale perbenista, o perlomeno quella piccola frangia di essa che si accorse della release, non esitò a scagliarsi contro i contenuti censurabili dei testi, anche se lo stesso Schuldiner era dichiaratamente non-satanico, come ebbe modo di spiegare: 'Non sono satanista. Abbiamo avuto alcuni testi di tipo satanico fin dai vecchi tempi, ma la maggior parte di questi sono stati scritti dal nostro ex batterista e cantante Kam Lee. Appena lui ha lasciato il gruppo, ho preso il controllo su questo tipo di cose. I miei testi si basano più sul tema della morte e della vita reale, o prendono spunto da qualche film gore. Per esempio, ‘Torn To Pieces’ è ispirata dal film ‘Make Them Die Slowly’ e ‘Scream Bloody Gore’ da ‘Re-Animator'. Il prodotto si fece largo rapidamente nell'underground, tanto che vennero organizzati dei concerti assieme ai Desecration ed ai Sadus, anche se Chuck decise di mollare immediatamente quanto aveva costruito con immane fatica e tornarsene in Florida: una scelta apparentemente avventata, eppure già sintomo di lungimiranza. Il giovane chitarrista aveva intuito che la scena di Frisco si stava lentamente spegnendo e lui doveva giocoforza trovare nuovi scenari per la sua mostruosa Creatura. Invitò Reifert a seguirlo, ma il batterista non se la sentì: Evil Chuck doveva nuovamente arruolare delle reclute adatte alla sua idea di musica estrema.

Lo scenario musicale era in continua e costante evoluzione: non c'era il tempo di assimilare l'ultima spinta estremizzante, che già qualcuno aveva spostato oltre i paletti della violenza; probabilmente, però, la stazione raggiunta dagli inglesi Napalm Death fu l'ultima e definitiva, il confine oltre cui nulla avrebbe potuto essere più immondo e morboso: il loro disco d'esordio, Scum, era l'apripista di un genere nuovo e disumano, che sarebbe stato denominato grindcore e che si basava su pezzi brevissimi, ignoranti, minimali, scarni e violentissimi, della durata di pochi minuti -quando non addirittura pochi secondi- e imbevuti di vocals cavernicole e tematiche socio-politiche. Scum, autoprodotto dagli scriteriati ragazzi britannici, consisteva in ventotto tracce condensate in poco più di mezz'ora (per l'esattezza, trentarè minuti: per fare un esempio, il seminale Reign In Blood degli Slayer si fermava a dieci tracce, per un totale di ventotto minuti!) ed era una serie di mazzate nei genitali senza pari, figlie dell'hardcore più spinto e portato a conseguenze drastiche, terrificanti. La prima metà dell'album, composta con membri che lasciarono la band dopo la pubblicazione, è grindcore puro, con pochissimi riff, tecnicamente grezzi, ancor più pochi assoli ed il vocalism sforzato e sfigurato di Nik Bullen; la seconda frazione si vena di grindcore/death e si avvale del cantato di Lee Dorrian, in seguito anima dei doomster Cathedral e del lavoro chitarristico del più preparato Bill Steer, futura ascia dei Carcass. Proprio Bullen dirà, parecchi anni dopo: 'All'epoca eravamo dei ragazzini annoiati ma allo stesso tempo molto attivi, desiderosi di scrollarci di dosso quell'apatia generale della società che ci circondava. La nostra passione era il punk anarchico inglese dei primi anni ottanta, gruppi militanti come i Discharge, i Crass, i Flux Of Pink Indians; erano un ottimo esempio di estremismo, ma noi volevamo sentire qualcosa di ancora più veloce, estremo, nichilista e per questo abbiamo iniziato a suonare insieme! Col senno di poi, il pericolo è quello di idealizzare e mitizzare quegli anni: la verità è che non avevamo una grossa idea di quello che stavamo facendo, eravamo spinti soprattutto dall'intransigenza, dalla voglia di esplorare e dall'energia tipiche dell'adolescenza. Non potevamo nemmeno definirci dei veri musicisti, ma senza dubbio la nostra intensità era impressionante; Scum non doveva essere un album vero e proprio, ma uno split condiviso con gli Atavistic, ma poi le cose sono andate in maniera diversa, anche se allora io avevo già lasciato la band'. I Napalm Death provenivano da Birmingham, una città che aveva lasciato segni indelebili nella storia del metal: ma, rispetto alle icone che li avevano preceduti, essi stavano dando un volto nuovo e inimaginabile alla musica dura. Il grindcore era la negazione della complessità strutturale, la fotografia della veemenza: era suonato senza troppo criterio o competenza, mirava a creare frastuono e dissonanze, macinando sotto tonnellate di farneticazione le residue rimanenze musicali. A proposito di esagerazioni immonde, nella gelida Norvegia stavano attecchendo tendenze insostenibili e dai toni pestilenziali: un circuito underground macabro e violentissimo, che trovava voce nell'olocaustico EP dei Mayhem, Deathcrush: un logo inquietante con ali di pipistrello e croci rovesciate, diciotto minuti di follia malata, un manipolo di ragazzini fuori di testa guidati dal carismatico Euronymous, chitarrista dal tocco grossolano e dall'appeal maligno. L'ispirazione comune era derivata dai Venom, ma il peccaminoso sound dei Mayhem già prometteva di sfociare di qualcosa di molto più grave. Giusto il contrario rispetto a quanto accadeva ai Maestri, i Venom appunto: col loro quinto lavoro, Calm Before the Storm, Cronos e soci abbandonarono il loro classico alone satanico, per sterzare verso inedite tematiche fantasy. Il lavoro segnò il declino definitivo: di lì a poco, Cronos stesso abbandonerà la formazione, inaugurando un periodo di inevitabile decadenza. Un clamoroso disco di thrash metal estremo fece sentire i propri rintocchi intimidatori dal lontano Brasile: era Schizophrenia, dei Sepultura, una giovane band animata dal drumwork terremotante di Igor Cavalera e dal carisma del fratello Max, voce e chitarra: rispetto al debut Morbid Vision, i Seps avevano d gran lunga alzato il livello tecnico, e sfoderavano ora una serie mirabile di riff assassini ed accelerazioni ritmiche devastanti; la produzione non era ancora ottimale, ma proprio grazie al suo alone sudicio manteneva al disco quell'aura di immondo che gli permetteva di districarsi in un limbo tra death e thrash. Al di là della voce estremizzata, Schizophrenia restava un disco thrash, anche se possedeva strutture non indifferenti per dei ragazzi tanto giovani ed inesperti, che ancora non avevano conosciuto un certo grado di popolarità al di fuori dell'underground; fu con questa release che i fratelli Cavalera e i loro fidi scudieri (l'altro guitar player Andreas Kisser e il bassista Paulo Jr) iniziarono a guadagnarsi fama e rispetto, tanto che la Roadrunner acquistò i diritti sul disco e lo ristampò per distribuirlo a livello mondiale. La giovane età e la provenienza geografica fece sì che l'opera annettesse parecchie spigolature formali, soprattutto a livello grammaticale, come ricorderà in seguito Igor Cavalera: 'Il nostro inglese era molto scarso, a scrivere i testi ci pensava un nostro amico, Lino, che l'aveva studiato a scuola: di solito Max buttava giù delle frasi in portoghese e Lino si preoccupava di tradurle in maniera decente, oppure prendeva a caso delle parole da un vocabolario di inglese e le metteva insieme in modo che potessero avere un senso. Per quanto riguarda le tematiche trattate, beh i nostri testi iniziali non avevano assolutamente senso: volevamo scioccare la gente, fare qualcosa di diverso, ed era per questo che parlavamo di Satana e dell'Anticristo, così come facevano Slayer e Venom. Da Schizophrenia in poi, invece, abbiamo parlato di argomenti più seri, che avessero a che fare con la realtà del Brasile'. Da citare, all'interno della scena sudamericana del tempo, anche l'operato dei Sarcofago, attivi col loro INRI e artefici di un thrash/death furibondo e massacrante. Finalmente, nel frattempo, anche la piccola Italia faceva sentire la propria voce in campo estremo: i genovesi Necrodeath debuttavano con il violentissimo Into the Macabre, deliberatamente ispirato al thrash/black di Venom e Bathory, rozzo e dissennato, destinato ad influenzare parecchie generazioni di thrasher, deathster e blackster anche a livello internazionale, tanto che i norvegesi Mayhem o Phil Anselmo in persona li citeranno in seguito come fonte di influenza e gruppo seminale.

Agli antipodi di queste divagazioni di caos imperante restava fresca la scena hard rock o glam metal, con prodotti importanti come l'acclamato e melodico Hysteria dei Def Leppard, un disco che riportava in alto nelle classifiche la band inglese, o Back For The Attack dei Dokken o, ancora, il trionfo americano dei Whitesnake di David Coverdale che, con 1987, toccarono il punto più alto del loro successo riempiendo i sogni di molte ragazzine dell'epoca grazie alla voce calda e "nera" del singer inglese; In particolare, Hysteria dei Def Leppard era un capolavoro doppio, in quanto rappresentava il ritorno della band dopo lincidente al drummer Rick Allen: il musicista rimase privo di un braccio, ma la band lo attese con grandissima dignità e gli fece costruire una batteria su misura, grazie alla quale fu possibile incidere il nuovo disco, il quarto della serie, un disco che ogni amante dell'hard rock deve possedere La produzione cristallina ne esaltava le canzoni indimenticabili, con i musicisti tutti autori di prove maiuscole: citare brani come Women, Animal, Pour Some Sugar On Me e Love and Affection è necessario e doveroso, visto che grazie a questi brani l'album vendette più di 20 milioni di copie e raggiunse le prime posizioni nelle classifiche inglesi e americane, accentuando la svolta più catchy del predecessore rispetto ai primi due dischi, decisamente più aggressivi. Al di là di queste releases, tuttavia, il pubblico amante delle sonorità più catchy potè bagnarsi con due full length clamorosi, che avrebbero avuto un ruolo straordinario nell'intera storia dell'hard rock e del metal radiofonico: Girls Girls Girls e Appetite For Destruction. In particolare, Girls Girls Girls rappresentava il ritorno in grande stile dei losangelini Motley Crue, nonchè l'album glam per eccellenza: era più heavy del precedente Theatre of Pain, ma ancora intriso di quel fascino trasgressivo e dall'odore di sesso sudato, tipico del Sunset Boulevard; una commistione di pezzi rapaci e sguaiati, ballate strappalacrime, inni all'amore selvaggio e zampate di hard rock metallizato all'insegna della ruffianeria, destinate a scavalcare le charts e stamparsi nelle teste degli ascoltatori. I Crue avevano abbandonato la pelle nera e le catene degli esordi, ed erano ora gli autentici leader del movimento glam: capelli cotonati, lustrini, paillettes, tacchi alti, pose ammiccanti, phard e rossetto ne caratterizzavano il look, ma chi osava dargli delle femminucce avrebbe potuto essere spazzato via dalla grande carica energetica dei loro shows; il piccolo gioiello di metal melodico che coincise con quel 1987, trainato dalla supercatchy titletrack, era stato anche merito del fido Tom Werman, produttore abile a tenere lontano dai guai, leggasi alcool e droga, i quattro scapestrati californiani. Non era molto diverso il lifestyle dei Guns'N'Roses, concittadini dei Crue: ragazzini difficili, con un'infanzia complicata, segnata da abusi e povertà, ma che nel rock avevano trovato una valida via di fuga. Trascinandosi tra eccessi tossici e camerini sfasciati, la band si era fatta notare attraverso un ep ed era esplosa drasticamente con il manifesto Appetite For Destruction, un'antologia di rock selvaggio, imbevuta di aggressività punk e melodia suadente, quella derivata dal tocco morbido, ispirato e avvolgente del chitarrista Slash, già munito di tuba, riccioloni, sigaretta e occhiali da sole; il cantante Axl Rose, il più folle della ciurma, cantava di disagi e giungle suburbane, con un occhio di riguardo per il sesso pericoloso e con l'inconfondibile lamento gracchiante della sua ugola. Fu con questo disco che i Guns N' Roses, nati dall'unione di membri provenienti da due diverse formazioni (gli LA Guns e gli Hollywood Rose) sancirono inconsciamente la nascita dello sleaze rock, una sorta di street-glam metal con commistioni punk e blues; racconta il giornalista Ian Christe: 'Infondendo nuova linfa al glam metal, Appetite For Destruction associava la disperazione del Sunset Strip ai riff degli AC/DC e alla rabbia dei Sex Pistols, interpretando l'energia del metal per un pubblico rock convenzionale; rinati predicatori di strada, aggiungevano una punta di intenzionale cattiveria alle promesse zingaresche degli Hanoi Rocks. Man mano che le loro vicende di droga, sesso e violenza guadagnavano le prime pagine, la band inserì le sue imprese nella trama di una serie di video per MTV'. In effetti, il loro debutto era pieno di classici ultra-orecchiabili, destinati ad un successo quasi senza precedenti: la rovente Welcome to the Jungle, l'ammaliante Paradise City, la calda ballata Sweet Child O'Mine, la trascinante Think About You e tutte le altre che componevano una tracklist succulenta, che sbancò il music-business. La band affiancò on the road delle icone come Aerosmith e Rolling Stones, prima di imbarcarsi in un tour proprio e proseguire imperterrita sulla strada dell'autodistruzione, scandita da sbronze, litigate e momenti di tensione, oltre che dalle celebri mattane dell'intrattabile Axl Rose. Il metalrama internazionale, dunque, offriva una gamma veramente ampia di scelte: il thrash classico ed anfetaminico, la sua variante più tecnicizzata, l'heavy epico e tradizionale, le diramazioni progressive, il nascente focolaio death e le sue farneticazioni grindcore; c'era spazio anche per il virtuosismo più barocco, riscontrabile nello shredding di Joe Satriani e Marty Friedman, chitarristi provetti che arricchirono la scena con dischi sopraffini quali Surfing With The Alien e Speed Metal Symphony, quest'ultimo realizzato dal riccioluto Friedman con i Cacophony, assieme all'altro fenomeno Jason Becker. L'heavy metal, nel senso ampio del termine, era giunto al periodo di massimo splendore e maturazione: chi ha vissuto quegli anni, non può che ricordarli con un'emozione probabilmente indescrivibile.



Le Marquis de Fremont
Mercoledì 4 Settembre 2013, 14.13.55
35
Ecco, in questo anno ho trovato il primo vero disco che avevo ascoltato varie volte, sopratutto durante la mia permanenza negli Stati Uniti (costa est): Appetite for Destruction dei Guns. Quindi posso dire che dopo i Black Sabbath, questo è il primo album che conoscevo bene tra i citati. Segnalo, solo, tra i dischi che ho ora, il primo dei Dark Quarterer e Nightfall dei Candlemass. Sempre complimenti al re degli aggettivi e grande divulgatore Monsieur The Thrasher".
SNEITNAM
Martedì 26 Febbraio 2013, 18.37.51
34
Rino è comprensibile, lo capisco, scrivi tanto e su certe cose è facile avere delle dimenticanze. Ricordati anche il mitico Under the Sign of the Black Mark dei Bathory visto che ci sei
the Thrasher
Martedì 26 Febbraio 2013, 13.27.24
33
@SNEITNAM: le osservazioni che fai sono giuste, non potevo dimenticarmi di schizophrenia e dei necrodeath! è stato un lapsus dovuto alla gran mole di materiale, ho provveduto a integrare il testo con queste releases. grazie della segnalazione!
THOR OF VALHALLA
Lunedì 25 Febbraio 2013, 11.59.11
32
Annata grandiosa e non puo essere altrimenti quando esce un disco come Fighting the world!!!!!!Restituiteci gli anni 80!!!!!!!
Maurizio
Domenica 24 Febbraio 2013, 18.16.25
31
Annata corposissima; se devo scegliere tre preferenze il primo Keeper, Among the living e Appetite, ma devo dire che c'è quasi tutta la colonna delle cover esposte da acquistare al volo, e mancano Dream Evil, Pride..
SNEITNAM
Domenica 24 Febbraio 2013, 12.29.29
30
E mi sono dimenticato anche il mini dei Soidom "Expurse of Sodomy" e il mini dei Possessed "The Eyes of Horror". I.N.R.I. ha rappresentato una sorta di inizio perchè ha amplificato la bestiale e primitiva demonicità di "The Return..." dei Bathory influenzando successivamente bands quali Blasphemy, Impaled Nazarene e Beherit (e anche Von secondo me). A livello visivo invece i Sarcofago del 1987 influenzarono Euronymous e molti della scena norvegese per l'utilizzo del corpse paint
il vichingo
Domenica 24 Febbraio 2013, 11.01.32
29
Cazzo Sneitnam c'hai ragione, anche INRI è un discone .
SNEITNAM
Sabato 23 Febbraio 2013, 21.56.40
28
In questa annata volevo ricordare altri album molto ma molto validi che mi sembra siano stati tralasciati: Schizophrenia dei Sepultura, il mini The Plague dei Nuclear Assault, Into the Macabre dei Necrodeath e I.N.R.I. dei Sarcofago. Tutti album, molto importanti che hanno avuto la loro notevole influenza sulle bands future
vecchio peccatore
Sabato 23 Febbraio 2013, 21.14.39
27
Una grande, davvero immensa annata, per me anche in ambito non-Metal... Sono infatti usciti capolavori come "You're living all over me" dei Dinosaur Jr, "Dry as a bone" dei Green River e "Skag Heaven" degli Squirrel Bait, senza dimenticarsi dell'omonimo dei Jane's Addiction. Restando in ambito Metal, per me i migliori sono Deathcrush, The Legacy, Among the living e Crossover.
Vitadathrasher
Sabato 23 Febbraio 2013, 19.26.08
26
Rock you to hell dei G.Reaper è un album fantastico! Poi The legacy.....ottima annata pure questa
MetalDeprival
Sabato 23 Febbraio 2013, 18.12.23
25
1987 Scum, forse il più estremo non solo di quell'anno ma degli anni '80 tutti!
blackie
Sabato 23 Febbraio 2013, 16.24.01
24
dimenticavo...un altro disco commerciale che sia ma molto molto bello (almeno per me)crazy night dei kiss!!!e girls,girls dei motley...per non parlare di RAISE YOU FIST AND YELL DI ALICE COOPER un disco fenomenale!!!!e mettiamoci pure live in the raw dei mitici w.a.s.p.!
blackie
Sabato 23 Febbraio 2013, 16.20.35
23
per me il 1987 e rappresentato in primis dal magnifico DREAM EVIL del grande RONNIE JAMES DIO ...buono anche il live dei priest che nonostante sia stato snobbato dai piu e un ottimo live,grandissimo MANOWAR!!!!.i sabbath di martin non mi hanno mai preso piu di tanto...anthrax grandiosi con among the living...solo indians vale il prezzo del disco!comunque erano propio altri tempi le comitive di metallari erano meravigliose tutti uniti dall amore per questa splendita musica!
Hellion
Sabato 23 Febbraio 2013, 16.01.26
22
@Andy '71, puoi dirlo forte, che tempi!!!
roberto
Sabato 23 Febbraio 2013, 15.29.05
21
MANCA ALL'APPEELLO PRIDE DEI WHITE LION
Delirious Nomad
Sabato 23 Febbraio 2013, 15.04.37
20
Nell' 87 nacque il sound del futuro: death, black e power, con Scream Bloody Gore, Under the sign & Deathcrush, Keeper of the 7 keys. Quest'anno ha segnato gli anni '90 molto più del precedente. Grande articolo, sempre un lavoro immane!
blackinmind
Sabato 23 Febbraio 2013, 14.35.51
19
il triennio 86-87-88 non si batte...
Andy '71
Sabato 23 Febbraio 2013, 14.30.02
18
Hellion@Anch'io presente Dio e Helloween ad agosto e Dio e Warlock in novembre 1987!Spettacolo!
the Thrasher
Sabato 23 Febbraio 2013, 13.46.39
17
@HeroOfSand_14: grazie mille dei complimenti, davvero! sono contento che molti lettori apprezzino questa serie a tal punto da stampare i vari articoli! grazie a tutti ragazzi!
HeroOfSand_14
Sabato 23 Febbraio 2013, 13.39.36
16
Allora Rino, devo ancora leggere questo ultimo articolo, ma finalmente ne approfitto per farti i complimenti per questa serie di articoli che aspetto sempre con grande voglia di leggerli! Gli ho stampati tutti, ho creato un libro del metal fatto di citazioni, approfondimenti e storie che non conoscevo. Ho apprezzato sopratutto il fatto che per quasi ogni album che citi, scrivi pure le canzoni soggettivamente o oggettivamente migliori, cosa molto utile per quei gruppi che non conoscevo e che, grazie a questi articoli, sono andato ad ascoltare, scoprendo generi e gruppi molto interessanti (vedi Tygers Of Pan Tag). Quindi, grazie dell'ottimo lavoro che hai svolto, e spero che continuerai a lungo con questa serie di articoli, utile e divertente da leggere!
enry
Sabato 23 Febbraio 2013, 12.07.01
15
Un'altra grande annata, a gusto personale Under the Sign, The Legacy e Scream Bloody Gore su tutti.
Hellion
Sabato 23 Febbraio 2013, 12.06.02
14
La prima volta che vidi i miei idoli dal vivo! Nell'arco di 3 mesi mi gustai Dio, 2 volte, Helloween e Warlock...
il vichingo
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.53.25
13
Un'annata straordinaria ma per me c'è un disco che si eleva sopra tutti: Under the sign of the Black Mark degli immensi Bathory!
BILLOROCK fci.
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.48.26
12
Corpo di mille balene, non cè niente da fare gli anni 80 probabilmente sono stati il decennio del rock puro e heavy metal per eccellenza....
Radamanthis
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.35.19
11
Per il Sacro trono Hliðskjálf di Óðinn...ecco l'anno per eccellenza del metallo classico: qui c'è ben poco da commentare, molto da ascoltare...il debut di Kiske con gli Helloween id il loro mitico Keeper pt. I, l'iinno di battaglia contro il mondo dei ManOwaR, l'Hall of the Mountain king dei superbi Savatage, la classe infinita dei Death che ad ogni loro uscita sprigionano potenza e tecnica e il loro Scream bloody gore ne è un'ennesimo esmpio, la leggenda di Abigail del Re Diamante, il top dei Running Wild sotto la bandiera Jolly Roger, il sessualissimo Girls girls girls dei Crue, il debut dei GN'R Appetite for destruction (il loro apice più alto ed inarrivabile), la classe dei WhiteSnake...Come Óðinn dimora ad Ásgarðr nel palazzo di Válaskjálf quest'anno dimora nella storia stupenda del sacro heavy metal!!! Inarrivabile! Un plauso a te Rino, complimenti per il bell'articolo!
N.I.B.
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.31.50
10
E scusate che non ho tolto il "probabilmente" nel copiarlo... eh eh eh... dovreste aggiungere l'opzione "modifica"...!!
N.I.B.
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.29.26
9
Scusate... il doppio (terzo con questo) Post...!!!!
Andy '71
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.29.14
8
Annata anche questa meravigliosa,articolo stupendo complimenti,io possiedo tutti i vinili elencati e molti altri,periodo irripetibile,ricordo le emozioni uniche che mi diedero gli aquisti e l'ascolto di ogni singolo disco......Pura magia!Son felice ed orgoglioso di aver vissuto in maniera viscerale tutti quegli anni,centinaia di concerti,bevute,ecc......Ancora oggi,son felice di amare sempre questa NOSTRA meravigliosa musica,escono ancora tanti bei dischi,conscio del fatto che come negli anni'80 però non è più così,cmq sia, sempre HM!
N.I.B.
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.28.35
7
"Chi ha vissuto quegli anni, non può che ricordarli con un'emozione probabilmente INDESCRIVIBILE"...!!
N.I.B.
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.27.41
6
Non posso che citare la conclusione di questo Articolo, con una piccola correzione... toglierei il "probabilmente"... quindi:
lux chaos
Sabato 23 Febbraio 2013, 10.06.22
5
Articolo stupendo, altra annata da infarto, possiedo quasi tutti i dischi citati e ricordo con maggiore affetto Helloween, Manowar, Whitesnake, Death, Savatage, Motley, Def leppard e Grim reaper....ma il posto d'onore, non solo del 1987 ma in generale di tutti gli anni, per me lo merita "appetite...", il disco che per me sta lassù, nell' Olimpo, come uno dei migliori, se non il miglior disco rock del mondo, epocale, straordianrio, da parte del gruppo che alla tenera età di 9 anni nel 1991 mi ha aperto le vie dell'universo rock e poi metal...onore e gloria nei secoli dei secoli
The Nightcomer
Sabato 23 Febbraio 2013, 9.18.19
4
Nel 1987 uscì pure quello che probabilmente fu il primo disco di black metal (inteso nel significato che avrebbe preso successivamente), cioè Under The Sign Of The Black Mark dei Bathory. Mi è venuto in mente subito osservando la copertina di Deathcrush, di cui allora avevo sentito parlare grazie alle riviste di settore. Per l'epoca si trattava probabilmente degli episodi musicalmente più violenti rintracciabili sulla scena.
Sambalzalzal
Sabato 23 Febbraio 2013, 8.52.51
3
fermi tutti! Uscì Appetite For Destruction!!!! Quello e come sottolinea Billo@ Fighting The World dei Manowar!!!!!!!!!!!!!!!! Sicuramente uscirono tanti altri capolavori ma io sono veramente legato a questi due per moltissimi motivi!!!!!!! Qua su Metallized dovreste raccogliere idee su come inventare una macchina del tempo!!! Tornerei agli 80' e ci rimarrei per l'eternità!!!!!!!
The Nightcomer
Sabato 23 Febbraio 2013, 8.46.17
2
Ricordo ancora con molto piacere il 1987, perché fu l'anno della svolta per me: in precedenza mi ero arrangiato da solo, procuramdomi i vinili (i pochi che potevo permettermi in quanto studente) senza avere alcun punto di riferimento particolare, sia per quanto riguarda le conoscenze di altri appassionati più esperti che per la scarsa informazione allora disponibile. Iniziai ad interagire con i pochi metallari presenti nel mio paese (saremo stati neanche in 10) e conobbi quello che poi divenne il mio principale "pusher" (mi piace paragonare la passione per la musica ad una vera e propria dipendenza), nonché un amico, il quale tuttora è sempre instancabilmente alla ricerca di titoli nuovi. Iniziarono degli scambi di materiale sempre più intensi, che venivano quasi sempre gratificati da scoperte meravigliose... Tutte le copertine qui raffigurate, assieme a molte altre, ricordo di averle viste decine e decine di volte sugli scaffali dei negozi... Si poteva pescare quasi a scatola chiusa, a casaccio, quasi certi di portare a casa un signor disco.
BILLOROCK fci.
Sabato 23 Febbraio 2013, 8.21.21
1
Uuuuh l'esordio dei Guns n' Roses e il mostruoso Fighting the world dei Manowar...
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Correva l'anno 1987
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