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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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CORREVA L’ANNO - # 34 - 1997 prima parte
21/05/2014 (4017 letture)
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Nell'anno domini 1997 l'epoca d'oro del power metal di matrice tedesca stava ancora vivendo momenti magici. Tra le band più in forma vi erano senza ombra di dubbio i Gamma Ray, la creatura di Kai Hansen, ormai consolidatasi nell'Olimpo delle Leggende dopo un trittico di capolavori animati dalla voce di Ralf Scheepers e l'immenso Land Of The Free, quarto masterpiece della serie, nel quale lo stesso Hansen si era calato pure nel ruolo di cantante. Il rosso chitarrista tedesco era di fatto considerabile il padre putativo del power continentale, avendo contribuito a crearlo e svezzarlo fin dai tempi degli Helloween: la sua firma era ben leggibile su tutti i grandi classici del settore, pertanto la sua figura carismatica e simpatica restava un punto di riferimento molto importante all'interno della scena. Il nuovo Somewhere Out In Space, dunque, non faceva che confermare lo splendido momento della sua band, modificata per metà nella line-up e alle prese ancora una volta con ritmi rapidi, accelerazioni impetuose, riff taglienti, assoli fulminanti e soprattutto melodie favolose, presenti nel guitar-working quanto nei travolgenti chorus tipici del genere; mentre molti esponenti noti del power tradizionale e parecchie nuove leve si stavano muovendo in direzione pseudo-sinfonica, appesantendo oltremodo gli arrangiamenti e creando composizioni via via sempre più pompose, Hansen rimase legato al concetto tradizionale della sua musica ed anzi raggiunse un livello di potenza, velocità e aggressività ancor più spiccato rispetto al passato: pur creando composizioni di ottimo livello tecnico e compositivo, il chitarrista manteneva elevate l'energia e l'adrenalina, andando a comporre un disco fresco, massiccio, intenso e ricco di emozioni ma soprattutto ancora potente, rapido ed esplosivo, privo di svolazzi o intro tediose. Solo brani di puro Acciaio Teutonico, inossidabili e prepotenti ma arrangiati con grande cura dei dettagli. Era tutto chiaro fin dall'eccezionale opener Beyond the Black Hole: una melodia avvincente e sognante introduceva una velocissima e possente cavalcata ritmnica, sulla quale si adagiavano assalti di doppia cassa e cori giganteschi, ariosi e ricchi di positività. Stacchi, cambi di tempo e nervose ripartenze rendevano devastante il pezzo, che pur non perdeva mai la sua carica melodica: un piccolo archetipo di power-metal song, che Hansen definì 'un classico brano di apertura, veloce, trascinante e con molti cambi di ritmo'. Nel corso dei vari brani si correva a differenti velocità, alternando metriche diverse e repentine accelerazioni, culminando in un altro grande pezzo come la titletrack, spettro completo della grande qualità musicale del platter: in essa, Hansen era assolutamente sugli scudi con riff taglienti e velocissimi, oltre che con vocals epiche e solenni; al contempo, Dan Zimmermann dettava ritmiche straripanti, correndo alla velocità della luce e strizzando l'occhio al thrash metal, esaltato da una produzione compatta e asciutta. Falsetti e brevissimi passaggi quasi operistici -figli dell'amore di Hansen per band come i Queen- arricchivano la sezione centrale, prima che la band si tuffasse a capofitto in un assolo a briglia sciolta, squillante e sempre sostenuto da ritmiche pressanti. Hansen la descrisse come 'una canzone che incorpora strofe assolutamente speed, parti maestose e cori possenti'. Il platter si presentava ancor più duro, potente e veloce dei predecessori, con molte più canzoni e sezioni veloci; The Guardians of Mankind era una cavalcata da brividi con un refrain alla Helloween ed un tappeto ritmico scrosciante, Valley of The King avanzava solenne e quasi anthemica, con un ritornello irresistibile, ed era l'episodio più epico del lotto; The Winged Horse mostrava la notevole fattura tecnica dei tedeschi, qui alle prese con un ampio preambolo strumentale e ben sette minuti di power metal articolato, roccioso, vivace, scosso da ritmi dinamici, vocals molto gradevoli e raffinate cuciture alla tastiera, oltre che da ricche e folgoranti melodie chitarristiche in sede solista. Shine On era il sigillo finale al disco, con le sue robuste frustate ritmiche e gli evocativi scenari vocali tracciati da un ispirato Kai Hansen. Brani potenti e oscuri come Men, Martians and Machines o irriverenti come Lost in the Future completavano la tracklist, assieme all'emozionante No Stranger [Another Day in Life], altro cavallo di battaglia nel quale coesistevano potenza e melodia, con grande stile: Somewhere Out In Space era, di fatto, il quinto capolavoro consecutivo per i Gamma Ray, nonché il disco più aggressivo e potente della loro carriera. In esso, oltretutto, venivano trattati temi fantascientifici, figli dell'affascinante interesse per lo spazio ed i suoi infiniti misteri, peculiarità che confermava come questa band avesse molto da dire anche a livello lirico. 'E' un disco ancor più heavy e maestoso rispetto a Land of The Free', affermava al tempo un sempre coerente Hansen: 'Cambiare stile ogni anno per correre dietro alle mode? No grazie, non è il motivo per cui faccio musica e per cui esistono i Gamma Ray. Esperimenti ne facciamo in ogni album, ma sempre dentro una certa cornice, senza stravolgere il nostro sound. I fans si aspettano certe cose da noi e io non vorrei prenderli in giro con cose del tutto diverse da quelle che abbiamo fatto finora. Ogni tanto registro cose diverse, che però tengo per me; se decidessi un giorno di pubblicarle lo farei con un nome diverso da quello dei Gamma Ray, in modo che la gente sappia di doversi aspettare qualcosa di diverso. Non rincorriamo le mode, come molti gruppi fanno e non cambio il mio modo di intendere la musica per vendere qualche migliaio di copia in più'. A proposito del suo ruolo di cantante, Kai spiegava: 'Il mio approccio è molto cambiato nel corso degli anni. Negli Helloween avevo cominciato a cantare perché non voleva farlo nessun altro, ora lo faccio perché mi piace. So gestire meglio la mia voce e capire dove posso arrivare. Fumo ancora e questa è la cosa peggiore che un cantante possa fare, ma proprio non riesco a smettere. La mia voce è uno strumento, proprio come gli altri della band, deve integrarsi nella musica nel miglior modo possibile, per completarla. So di non essere un grande cantante, ma penso che la mia voce sia funzionale alla musica dei gamma Ray, e se qualche volta canto male pazienza: capita anche a Rob Halford e Eric Adams che sono i migliori, non deve capitare a me'? In realtà la sua voce ruvida e gioviale era perfetta per la musica dei Gamma Ray: un binomio azzeccato da cui sono conseguiti parecchi dischi di eccezionale valore. Hansen proprio non era capace di starsene con le mani in mano: in quei mesi diede infatti luce ad un altro progetto parallelo, gli Iron Savior, assieme al drummer dei Blind Guardian e a Piet Sielck, cantante e chitarrista conosciuto ai tempi delle prime formazioni pre-Helloween. La band propone un power metal ancora più potente, veloce e granitico, sulla falsariga dello stile speed-thrash dei primi Blind Guardian e riceve ottimi consensi con un debutto esplosivo autointitolato.
Anche i finlandesi Stratovarius avevano ormai ben in pugno le redini del power metal mondiale, garantite da una cospicua serie di album memorabili culminanti nel grandioso Episode, rilasciato nel 1996. Il nuovo colpo piazzato da Timo Tolkki e compagni, però, fu la mossa definitiva che consegnò l'ormai storico monicker nordico alla leggenda: si intitolava Visions ed era un lavoro sontuoso, lo specchio fedele del grande stato di forma rivestito dal power metal alla fine degli anni novanta. Era intriso di melodie ariose ma malinconiche, come nel consolidato stile dei suoi fautori, alternava poderose e possenti cavalcate di doppia cassa a cori spettacolari e regalava emozioni intense tanto dal punto di vista vocale quanto da quello strumentale, con gli assoli di Tolkki e gli imperiosi vocalizzi di Timo Kotipelto sempre sugli scudi. Il disco si apriva col corposo mid-time The Kiss of Judas e decollava con la straordinaria Black Diamond, aperta da dolci note di clavicembalo e destinata a diventare il cavallo di battaglia per eccellenza della band europea: una sfrenata corsa speed metal dalla potente ritmica a rincorsa, impreziosita da un meraviglioso refrain da cantare in coro. In pezzi come questo, veloci e maestosi, si poteva apprezzare la grande qualità tecnica dei vari musicisti: eccezionale Kotipelto con le sue linee vocali evocative e calde, impeccabile il drummer Jörg Michael col suo corposo lavoro di doppio pedale, incisivo ed ispirato Tolkki con le sue liquide melodie chitarristiche, sempre pronte a tramutarsi in assoli ribollenti o rocciosi riff iper-heavy. Come quello grandioso di Forever Free, altro poderoso up-time dai suoni corposi e dalle vocals fortemente emotive, sullo stesso livello di Black Diamond. La meticolosità di Tolkki era proverbiale e anche per questo disco il chitarrista aveva dato tutto sé stesso: 'Quando scrivo i pezzi mi isolo totalmente nella tranquillità della mia famiglia e della mia casa, sperduta nel bel mezzo di una foresta vicino ad Helsinki. E' una situazione ideale per la creatività di un artista: in quei mesi non ascolto nulla, eccetto qualche vecchio disco dei Rainbow e un po' di musica classica, non ho contatti con i giornalisti, non esco con gli amici, insomma vivo come un eremita. Quando ho pensato ai brani per 'Visions' non ho mai pensato a cosa sarebbe venuto fuori: ho fatto semplicemente quello che la mia sensibilità di musicista mi suggeriva. Personalmente decido di pubblicare un disco solo dopo essere sicuro di aver fatto il possibile per ottenere un risultato il più vicino possibile alla perfezione, sia come songwriting che come sound. Penso infatti di possedere ormai una notevole padronanza delle tecniche di registrazione, che ho maturato negli anni lavorando anche con band di altro genere. Ho prodotto 'Visions' nei Finnvox Studios, i migliori di tutta la Finlandia, ma a volte è difficile far capire al gruppo il tipo di suono che voglio ottenere: in ogni caso, fino a che non lo si è ottenuto non si esce dallo studio'. La qualità era veramente altissima nel corso di tutto il disco, che dunque era a pieno titolo un nuovo manifesto del power metal più granitico, melodico e strutturato dal punto di vista tecnico; massicci riff di chitarra e flebili arabeschi di tastiera duettavano in impattanti avanzate frontali dai toni epici come la scrosciante Legions o nella ricca strumentale Holy Light, anch'essa contraddistinta da velocità speed metal e da incroci sonici di ogni tipo: stop n' go, repentini cambi di tempo, un break centrale acustico che spezzava in due il pezzo e poi la nuova fuga in velocità. A coronare il tutto vi era l'immensa Paradise, un brano vivace e non velocissimo, ma caratterizzato da un bellissimo refrain vocale oltre che da un incedere corposo e intriso di notevole pathos emotivo. Before The Winter e Coming Home erano le ballad, quelle canzoni capaci di evocare i gelidi scenari naturali tipici della Finlandia, mentre la lunga e articolata titletrack si poneva come un elaborato saliscendi di ritmi e tonalità, spettro attendibile della varietà tecnica e compositiva dei cinque nordici, sempre alle prese con riff gloriosi, fughe ritmiche velocissime e vocals passionali, davvero da brividi. Un giornalista fece notare a Tolkki come la sua musica fosse tecnicamente perfetta nei sincronismi e negli arrangiamenti: 'Ed è proprio quello che voglio ottenere. Sai come definisco la musica classica? Pura matematica. Si tratta infatti di un processo logico che ha visto il suo esponente maggiore in Bach: la successione delle note nelle sue composizioni è semplicemente frutto di logica, ogni movimento ne comporta inevitabilmente un altro, e così via. Tutto ciò significa perfezione, riuscire cioè ad individuare una serie di melodie che si incastrano alla perfezione una nell'altra, come nel caso di 'Black Diamond'. Ritengo che il mio songwriting ricalchi il processo compositivo appena descritto, e tutto questo è dovuto agli studi di musica classica che ho intrapreso fin da quando ero bambino'. Era pertanto lecito parlare di progressive power metal, al cospetto della grande abilità tecnica del quintetto; Tolkki, però, spiegava così la sua visione delle cose: 'Progressive è una parola che ogni cinque anni cambia senso e valore. Prima era qualcosa dal quale stare lontani, se la nominavi durante una conversazione o un'intervista la gente ti rideva dietro. In effetti eravamo reduci da una degenerazione del prog, talmente assurda che aveva snaturato del tutto il senso stesso di questa musica e della parola. In Svezia c'è sempre stata una grossa tradizione prog, ma tante band erano diventate matematiche, insopportabilmente complesse, tecniche solo per il gusto di esserlo, per riempire minuti e minuti di musica con evoluzioni fini a se stesse, cose che poi ogni buon jazzista saprebbe fare con più gusto e meno difficoltà. Insomma, prog era sinonimo di noia e io sono cresciuto con questa idea in testa. La seconda ondata di prog band scandinave, quelle imparentate col metal come Ritual, Veni Domine o Anglagard per fortuna hanno cambiato le cose da noi, ma ritengo che i Queensryche siano stati davvero rivoluzionari, il loro enorme successo mondiale ha mostrato a tutti che una musica tecnica e calibrata può essere allo stesso coinvolgente e d'impatto. Io considero gli Stratovarius progressivi nel senso che abbiamo cercato in ogni album di rendere più coraggiosa la nostra musica, bilanciando sempre meglio tecnica, melodia, momenti aggressivi e pause di riflessione senza porci barriere mentali. Mi sento istintivamente più vicino al metal e abbiamo sempre cercato di muoverci nei confini della canzone, non sento il bisogno di scrivere un brano di venti minuti ma sicuramente posso definire gli Stratovarius come una metal band allo stesso tempo classica e progressive'. L'album fu un successo enorme anche dal punto di vista commerciale e permise alla band di imbarcarsi per un lungo tour, documentato nel suo primo live-album, il bellissimo Visions Of Europe. Con Kingdom of Madness, intanto, anche i tedeschi Edguy debuttarono ufficialmente nel metalrama internazionale: il loro autoprodotto Savage Poetry aveva rivelato buone qualità ma era un prodotto ancora grezzo, l'esordio vero e proprio sanciva un considerevole passo avanti, sebbene fosse ancora perfettibile e mostrasse il fianco a qualche difetto di esperienza, naturale per dei ragazzi non ancora ventenni. Il loro power metal era solido e avvincente, soprattutto in pezzi come il mid-time melodico Paradise o la più dinamica Wings of a Dream, ma la vera grandezza del combo teutonico si sarebbe palesata in maniera ancora più brillante soprattutto nelle uscite successive. Quello che si avvertiva era la forte determinazione dei Nostri, che si avvalsero della produzione di Timo Tolkki e delle comparsate nel disco di due icone del power metal come Chris Boltendhal e Hansi Kursch.
L'atmosfera ottantiana e la gloria incontaminata dell'heavy metal epico era dunque pronta per vibrare ancora, in grande stile. L'ascesa possente del power metal aveva preparato il terreno e ormai anche le nuove leve di metalheads non desideravano altro che un ritorno al passato, andando a creare una compatta fazione di puristi pronti a rinnegare il grunge, l'alternative, il nu metal. La voglia di purezza e classicità era tanta, ed una band svedese era desiderosa di soddisfarla. Si erano formati nel 1993, si chiamavano Hammerfall e debuttarono in quel 1997 con lo strepitoso Glory to the Brave, un disco forgiato direttamente nell'Acciaio e che si poneva come ideale punto di incontro tra le sonorità più veloci e potenti del power stesso con l'ambientazione mitologica dei migliori Manowar. L'album era un concentrato vigoroso di riff epici ed esplosivi, vocals ariose e gloriose, avanzate rapide e scroscianti ritmi di doppio pedale: ne era un eccezionale biglietto da visita la spettacolare opener The Dragon Lies Bleeding, aperta da un riff tonante e scandita da scroscianti tappeti ritmici, oltre che da un refrain a dir poco esaltante; ma tutto il disco si assestava su livelli notevoli: il riff minaccioso e l'atmosfera intimidatoria della potente The Metal Age, i cori imponenti della sacrale HammerFall ed i graffi a rincorsa della cover Child of the Damned -l'originale è dei Warlord- o della tesissima Steel Meets Steel non facevano che portare blasone e onore ad un full length capace come pochi di ravvivare la scena e spostare le lancette del tempo all'indietro, dimostrando al mondo intero che no, l'heavy metal classico non era morto e mai lo sarà. Oscar Dronjak, chitarrista e mente della band -con un passato nei Cerimonial Oath, una band death metal nella quale militava anche Jesper Stromblad degli In Flames, affermava, al tempo: 'Il vero heavy metal sta tornando forte come lo era un tempo. Fa parte di un processo naturale, questo tipo di musica può essere temporaneamente oscurato da un altro genere, ma non può morire: e così alla fine del trend ritorna in grande stile. Probabilmente se fossimo nel 1992 il nostro disco sarebbe stato del tutto stroncato o peggio ancora ignorato dal pubblico'. La band si esibì per un mini-tour di otto date, quindi si fece notare al Wacken Open Air e si meritò la possibilità di girare l'Europa in supporto ai Gamma Ray; i concerti furono un grande successo, tanto che a questi eventi seguirono una tourne in America ed una in Giappone. Una piacevole sorpresa discografica emerse anche dalla vituperata scena italiana per affermarsi successivamente su vasta scala come mai in precedenza era accaduto ad una formazione nostrana: i triestini Rhapsody misero a segno un colpo clamoroso col loro esordio Legendary Tales, capace di riscrivere le regole del power continentale grazie alle sue connotazioni neoclassiche, alle rifiniture sinfoniche e agli elementi medievali che ne facevano un piccolo gioiello figlio della Storia e della cultura tricolore. Aggrappati ai poderosi riff power metal e agli assoli vertiginosi di Luca Turilli, accompagnati dalle raffinate partiture di tastiera di Alex Staropoli e sublimati dal vocalism melodico ed epico dello statuario Fabio Lione, i Rhapsody si imposero a livello internazionale destando sensazioni clamorose e apprezzamenti ad ogni latitudine. Il mix, improntato su partiture classiche e barocche -ispirate dalla musica di Bach, Vivaldi e Paganini- era unico nel suo genere e permetteva di parlare a pieno titolo di neoclassical metal, anche se i triestini ameranno definirsi 'Hollywood Metal' per la connotazione quasi da colonna sonora delle proprie canzoni. La stupenda Warrior of Ice era una galoppata power metal che da sola valeva il prezzo del disco e sintetizzava la magniloquente proposta della band italiana: scroscianti tappeti ritmici, riff e melodie neoclassiche, cori maestosi e refrain grandiosi, fortemente melodici ed irresistibili, con un Lione spettacolare a trascinare l'ascoltatore nel mondo fantastico creato dal gruppo. Rage of the Winter era gioiosa ed emozionante, sempre prorompente nella sua rocciosa base ritmica, mentre Forest of Unicorns, accompagnata dai flauti e da linee vocali altamente folkloristici, rappresentava una vera e propria ballata medioevale; con Flames of Revenge e Land of Immortals si tornava a spingere forte il pedale dell'acceleratore, snocciolando riff possenti e cesellando melodie di chitarra fluide ed avvolgenti attorno alle gloriose vocals di Lione: sempre terremotante il tappeto imbastito dalla doppia cassa, sempre emozionanti ed eleganti le rifiniture congiunte di chitarra e tastiera che cucivano assieme le differenti sezioni dei pezzi, personali e meravigliosamente intensi. Ma la tracklist era veramente ricca di grandi episodi: Echoes of Tragedy era una toccante mid-ballad che cresceva in una ieratica sezione corale, Lord of the Thunder un potente mid-time dalle melodie stupefacenti e dalle pregiate striature sinfoniche; la titletrack concludeva il disco con solennità e potenza, in degno stile. Flauti, violini ed orchestrazioni varie non erano sintetizzati, ma venivano suonati da un'orchestra reale, come affermava al tempo Luca Turilli: 'Noi ascoltiamo musica classica ogni giorno e amiamo questo genere, quindi ricorrere a sintetizzatori non ci sembrava la scelta giusta, essendo questi dei suoni morti se paragonati a quelli che scaturiscono da un vero strumento. Un violino vero è qualcosa di inimitabile e incredibile. Anche il nostro prossimo album sarà totalmente basato su suoni veri e se faremo un pezzo folkloristico di qualche Paese lo suoneremo con strumenti originali di quel Paese'. L'album era il primo capitolo di una saga fantasy studiata nei minimi dettagli dai componenti della band, sempre attenti anche ai contenuti narrativi dei propri pezzi. Il tema portante della storia era quello dell'eterna lotta tra il bene e il male, come affermato dal chitarrista: 'Il male può essere trovato ovunque, ma non vincerà mai finché ci saranno abbastanza valorosi che lo combatteranno. E' stata un'impresa mettere insieme i Rhapsody poichè si trattava di uniformare questa positività che ognuno di noi sente dentro di se. Daremo con forza questo messaggio, questa volontà di positività estrema, in quanto noi siamo una 'positive band' senza possibilità di equivoci, proprio perché lo sentiamo dentro in maniera viscerale! Il symphonic epic metal che noi suoniamo è un modo di trasmettere questo grande impatto emotivo affinché raggiunga i fans in maniera più suggestiva ed imponente possibile per recepire in modo migliore questo messaggio. Ho dovuto trovare gente che la pensasse come me per formare i Rhapsody, gente che ami la natura profondamente, che concepisca la guerra in modo metaforico nel senso di portare avanti le proprie idee e come mezzo per preservare la pace. Giuro che se io riuscissi tramite la mia musica a far cambiare idea a soli cinque fans proponendogli un think positive rispetto a tante altre band nichiliste, la mia missione di vita sarebbe realizzata completamente. Non vogliamo contraddirci né adesso né mai e puoi star sicuro che questo elemento è talmente radicato in noi che non tradiremo mai questa positività cosmica, rappresentata nel concept fantasy della spada di smeraldo. Ho dovuto troncare molte amicizie per conseguire questo, per entrare nei Rhapsody non devi essere solo bravo. Nel film 'Il Branco' è descritta la massa che noi ripudiamo, dove l'individualità viene completamente assoggettata. Abbiamo voglia di influenzare positivamente il prossimo e lo facciamo tramite l'epic symphonic metal che noi riteniamo la musica classica del nuovo millennio'. Pubblico e critica furono entusiasti del lavoro: 'Vero, l'album sta andando oltre le più rosee previsioni e le cifre di vendita in Giappone stanno stupendo davvero tutti'. Turilli non nascondeva le influenze più disparate della sua formazione: 'Abbiamo ascoltato ed ascoltiamo metal da sempre, ma a noi piace di tutto! Il mio artista preferito a livello chitarristico é Paco De Lucia, ci piace la musica horror, la folkloristica russa, brasiliana, cilena, Inti Illimani. Angelo Branduardi è un nostro mito a livello medievale italiano e siamo venuti su dagli anni 70 con Adriano Celentano, Gianni Morandi e Battiato; tutti loro hanno fatto veramente parte del nostro background. Poi a livello metal posso citare i soliti Helloween, l'ultima uscita dei Gamma Ray, i nostri amici Angra, gli Eldritch, altri nostri cari amici, Shadow Gallery e Royal Hunt. Comuque tutti i nomi che circolano intorno al power symphonic metal. C'è anche un gruppo punk che ascolto e sono i Bad Religion, gli unici che ascolto in ambito alternative. Comunque da questo puoi capire la nostra visione di generi che va dalla musica celtica a quella rinascimentale-medievale. Se hai un background così è più facile comporre, pur sapendo bene quali sono i confini da rispettare'. La band aveva già pronti e quasi del tutti incisi i brani che avrebbero costituito, di lì a poco, l'altrettanto eccezionale Symphony Of Enchanted Land.
A volte, vecchi miti ritornano, anche quando meno te lo aspetti. Per molti la cerimonia liturgica del metal classico si era conclusa molti anni prima, scandita dai ritmi furiosi e dal clangore feroce di Painkiller, l'ultimo capolavoro di chi all'heavy metal aveva dato un suono, un'immagine e un'indole, a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta; altri, invece, ancora attendevano il ritorno del Prete di Giuda, che si era perso tra le nebbie del tempo lasciando spazio alle nuove leve. Anche se la carta stampata continuava a parlare di loro, seppure in modo flebile, i leggendari Judas Priest apparivano agli occhi e alle orecchie dei giovani appassionati come un ritratto del passato, una band gloriosa ma ormai fuori dai giochi: il mai chiarito split con Rob Halford era stato la mazzata definitiva, ma KK Downing e Glen Tipton non avevano intenzione di appendere le chitarre al chiodo e per ben sette anni si erano sbattuti, cercando un cantante degno di sostituire il mistico screamer. Tra i papabili era entrato pure Ralf Scheepers, fuoriuscito dai Gamma Ray, ma alla fine la spuntò un ragazzone americano che cantava proprio in una coverband dei Priest: Tim "Ripper" Owens. La sua storia era degna di una favola, da fan sfegatato a cantante della band iconica per la quale stravedeva fin da bambino: 'Ho accolto la notizia con gioia, anche se ho ancora un po’ di paura. Siamo il più grande gruppo heavy metal del mondo, io vengo da un piccolo paese dell'Ohio e prima suonavo cover dei Priest in un piccolo locale; mi sembrano due cose che fanno fatica a stare insieme. Ci vorrà un po’ di tempo prima che io me ne renda conto'. Il nastro con una sua performance nei British Steel era stato mandato alla band a sua insaputa, pare, da parte di alcuni spettatori presenti ad uno show della sua band; secondo altre fonti fu un'amica di Owens a mandare la registrazione oltreoceano, ma di sicuro questa aveva davvero colpito Downing e gli altri: 'Questo tipo aveva tutte le qualità, se non di più, di un giovane e forte Rob Halford. E' bravo tanto quanto lui, se non migliore'. Ricorda Owens a proposito dell'audizione: 'E' andata proprio come vuole la leggenda, ho cantato la prima strofa di Victim Of Changes e Glenn ha detto "ok, il posto è tuo"! Sono rimasto stupito, davvero non ci potevo credere. Ho pensato: "wow, è fantastico"!, ma lui ha detto "no, vai avanti e canta il resto della canzone, stavo scherzando". Ho pensato che avrei potuto essere la persona ad entrare più in fretta in un gruppo e anche quella licenziata altrettanto velocemente. Quindi è stato molto divertente, ma mi sono dovuto mettere a cantare il resto. Ho chiesto di cantarne un'altra, ho fatto 'The Ripper' e lì è nato il soprannome, Glenn ha iniziato a chiamarmi così e anche Ken. Sono andato in una stanza e loro mi hanno detto: "Senti, ce l'hai fatta, ma non puoi dirlo a nessuno. Puoi dirlo ai tuoi genitori e alla tua famiglia, ma a nessun altro". E' stato un volo di ritorno abbastanza lungo, ho aspettato di dare la notizia ai miei finché non sono arrivato a casa, è stato un momento esaltante. Mi ha cambiato la vita, e il punto è che è successo dal nulla, non è che io aspirassi a diventare il cantante dei Judas Priest e non gli avevo neanche mandato qualcosa'. Negli anni si erano susseguite dichiarazioni al vetriolo da parte della band sul conto di Rob Halford, ma oggi fa effetto rileggere quanto dichiarato al tempo da Downing alla stampa: 'Quando è andato via abbiamo avuto un lungo periodo di standby, una vera angoscia e tutto per colpa sua. Più che depressione, nei suoi confronti proviamo risentimento. Fottuto, maledetto risentimento. Davvero, se potessi buttarlo giù da una torre lo farei, ma solo dopo aver controllato che l'altezza sia sufficiente a non farlo tornare su intero. Eravamo come una famiglia, o meglio come un'azienda familiare. Avevamo i nostri affari e molte persone vivevano lavorando per noi, senza contare i fans che ci hanno sempre dimostrato molto affetto. E' stato difficile accettare che tutto cambiasse per le bizze di una sola persona. Lui era convinto -forse lo è ancora- di essere i Judas Priest. Cioè di avere nella sua voce l'unico elemento che caratterizzava davvero il gruppo. Non è così, anche se abbiamo in effetti avuto il problema di sostituirlo e non è stato come bere un bicchier d'acqua'. Più moderate le parole di Tipton: 'Sono anni che non sento più Rob, anche se gli auguro ogni bene, perché il passato e la nostra amicizia non si dimenticano. Lui era stufo di suonare questo tipo di musica e voleva provare delle sonorità diverse, cosa che sarebbe stata impossibile all'interno dei Judas Priest, così ci ha lasciato e noi non abbiamo fatto nulla per trattenerlo: era evidente che la sua passione per questo gruppo si era esaurita'. Sebbene i due chitarristi ci tenessero a spiegare come le voci di Owens e Halford fossero diverse, i due cantanti si somigliavano parecchio: la loro era una timbrica epica, capace di salire su acuti lancinanti, anche se ovviamente il confronto carismatico era stravinto dal Metal God. L'album che venne ultimato dalla rinnovata formazione si intitolava Jugulator e fu un autentico pugno nello stomaco per i vecchi fans: era infatti il più potente e violento realizzato dalla band inglese, ancor più feroce di Painkiller e in certi frangenti quasi prossimo al più moderno e vigoroso thrash metal. Non era un capolavoro, ma un buon disco che subì, purtroppo, il fatto di essere stato realizzato senza Halford: a conti fatti vi erano in esso buone canzoni e la scelta di ammodernare il sound in maniera così brutale non era per forza negativa, anzi. Riff spaccaossa e poderosi tappeti ritmici, parti lente ed altre accelerate, vocalizzi imperiosi e atmosfere oscure appesantivano bordate telluriche come la titletrack, Death Row, Dead Meat o Cathedral Spires, scandite tutte da suoni corposi e pluviali attacchi di doppia cassa. Dei vecchi Judas Priest, quelli di Breaking The Law e Screaming For Vengeance c'era ormai pochissimo: le chitarre erano più dure che mai e amplificavano a dismisura la febbricitante energia che sgorgava nei tanto cari duelli di un tempo. Downing spiegava così la svolta avvenuta: 'Nessuno potrà pensare che ci siamo venduti alla moda o che siamo dei nostalgici. Quello che ascolteranno è ciò che siamo oggi, nel 1997, sinceramente e senza condizionamenti ambientali o commerciali. Non avrebbe senso incidere dieci canzoni leggere come il pop, oppure impigliate nei ricordi degli anni settanta. Sembra ci sia una sorta di frattura tra i giovanissimi che ascoltano heavy rock ed i fans più maturi; qualche tempo fa sono andato a vedere un concerto di Ozzy Osbourne con i Fear Factory, suonavano vicino a casa mia e avevo voglia di sentire qualche chitarra rumorosa. E mi sono preoccupato: durante il set dei Fear Factory i fans di Ozzy erano in fondo alla sala a bere birra, e viceversa. Vorrei evitare che questo accada con i Priest'. Forse mancava un anello di congiunzione per rendere più graduale il passaggio da Painkiller a Jugulator, come spiegato dalla band stessa; di sicuro, Tipton e soci non volevano restare incollati al passato: 'Come gruppo abbiamo sempre cercato di progredire, anche se quello che suoniamo è pur sempre heavy metal. Questo significa che vogliamo affinare il nostro suono e renderlo più potente e al passo coi tempi, senza snaturarlo'. Molti, però, non capirono e non apprezzarono: critica e vecchi fans non riuscivano ad accettare questa crescita e avrebbero continuato a inneggiare per anni al ritorno di Halford. Dopo anni di assenza e oblio, tuttavia, finalmente gli headbanger di tutte le latitudini poterono ammirare la riesumazione degli scintillanti costumi di pelle e borchie, oltre a udire ancora una volta l'eco intimidatorio di vecchi inni quali Electric Eye, Grinder o Rapid Fire: 'I kids vogliono le luci enormi sopra il palco, la massa di fumo che sommerge l'arena e il volume assordante delle nostre chitarre. Questo significa un concerto heavy metal e noi siamo qui per accontentarli'. dichiarava solennemente Glen Tipton.
Anche i fans degli Iron Maiden vivevano in quei giorni emblematici conflitti interiori, divisi tra il supporto alla band di sempre e la nostalgia per un ex simbolo che ormai aveva abbandonato la barca. Mentre i suoi ex compagni restavano sulle pagine di tutti i giornali anche per via delle feroci critiche di chi non aveva mai accettato Blaze Bayley, Bruce Dickinson tornò in quei mesi a far sentire la sua voce con un disco per certi versi sorprendente come Accident of Birth, che abbandonava l'hard rock semplice di Skunkworks per riprendere epici e melodici elementi di estrazione maideniana, santificati peraltro dall'ingresso in formazione di un altro grande ex della Vergine di Ferro come Adrian Smith: 'Con Adrian siamo sempre rimasti in contatto. Ci siamo visti più di una volta dopo aver smesso di suonare insieme. Niente di incredibile: l'ho chiamato e gli ho chiesto se avrebbe voluto suonare su un mio disco metal. Ha uno stile che si combina perfettamente con quello di Roy Z (produttore e principale compositore dell'album, ndr); quando ascolti un gruppo con due chitarre non riesci a distinguere chi stia suonando in quel momento, poche grandi band hanno il talento di due grandi chitarristi immediatamente riconoscibili e con forte carisma. Pensa ai Thin Lizzy o a Tipton e Downing nei Judas Priest. E Adrian Smith e Dave Murray nei Maiden'. La nostalgia di Dickinson per l'heavy metal era ormai evidente e già allora qualcuno iniziava a vociferare di una possibile voglia di reunion; il cantante motivava così lo scioglimento degli Skunkworks, un progetto in cui aveva dichiarato in passato di credere moltissimo: 'Dopo l'album ed il tour ho detto ai ragazzi di voler realizzare un album più duro del precedente. Loro, invece, mi hanno informato di voler spostare il suono verso cose stile Ash o Blur. No problem, ognuno per la sua strada e amici come prima! Insomma, le più classiche divergenze musicali. Inoltre io avevo voglia di tornare a suonare con due chitarre'. Il suo nuovo lavoro era potente e coinvolgente, un disco di metal classico molto affine alle inclinazioni vocali dell'iconico singer inglese, che si diceva ancora pieno di entusiasmo e voglia di fare, quasi a voler richiamare su di se l'attenzione di Steve Harris: 'Sperare che questo disco venda come 'The Number Of The Beast' è un desiderio folle, ma pur sempre un desiderio. Se questo succedesse sarebbe grande, certo, ma se sono ancora nel mondo del rock è per passione. Non avrei passato due anni con gli Skunkworks a suonare in posti di merda e dormire su un furgone, trattato come un esordiente. Oggi ho la stessa determinazione, lo stesso fuoco dentro che avevo ai tempi dei Samson. Sono sempre io. Non sono povero come allora, e questo è buono, e sono un po’ più tranquillo: allora ero sempre ubriaco'! Sul versante del metal progressivo, nel frattempo, i veterani Fates Warning rilasciavano il loro ottavo lavoro, A Pleasant Shade of Gray; i loro eredi, i celebrati Dream Theater, compivano però un moderato passo indietro rispetto ai titanici masterpieces come Images And Words e Awake: il nuovo Falling Into Infinity infatti, prevedeva trame semplificate e pezzi più commerciali come la melodica You Not Me o la soffusa Hollow Years su esplicita richiesta della casa discografica che esigeva forti introiti dopo le vendite non certo milionarie dello stupendo Awake. Prevalevano arpeggi e chitarre acustiche, le melodie erano molto toccanti e le sfaccettature più metal oriented venivano limitate al minimo essenziale, con Mike Portnoy che sbandierava influenze insospettabili: 'C'è molta più melodia rispetto a quanto abbiamo fatto in passato, ci sono parecchie ambientazioni che mi ricordano gli U2. Penso che le emozioni e le vibrazioni che ti dà la loro musica tu le possa ritrovare anche nella nostra musica. Per me loro sono veramente dei grandi, si sono sempre messi in discussione per creare qualcosa di nuovo. Anche noi abbiamo delle novità nel nostro sound, non volevamo registrare un album uguale a 'Images And Words'; ora che siamo alle soglie del duemila la nostra musica deve per forza di cose progredire, pur mantenendo sempre un preciso marchio di fabbrica'. Tali novità non furono apprezzate da tutti e per fortuna la band recuperò la sua grandezza e le sue trame labirintiche già l'anno dopo, andando a sfornare un nuovo capolavoro di metal progressivo come Metropoli Pt. 2: Scenes From A Memory. Anche i Queensryche non se la passavano certo bene: a loro volta tentarono di cavalcare l'onda del successo incorporando elementi grunge nel loro sesto Hear in the Now Frontier, che fu un disastro commerciale e, di fatto, rappresentò il primo passo falso in una carriera fin lì encomiabile. Fans e critica la presero malissimo, ma i guai non si limitarono allo scarso appeal del disco: col fallimento della EMI la band fu costretta ad autofinanziarsi il tour, ed inoltre vennero cancellate diverse date a causa di alcuni problemi di salute occorsi a Geoff Tate. Lo storico chitarrista e membro fondatore Chris DeGarmo, infine, decise di abbandonare la baracca per motivi non meglio specificati, lasciando alle sue spalle uno stato di profonda confusione. Chi invece era fermamente convinto della propria parabola artistica era Jon Oliva, che verso la fine di quell'anno sfornò The Wake Of Magellan, l'undicesimo capitolo della saga Savatage: in esso, la band americana si dimostrò ancor più magniloquente che in passato, arrangiando pezzi teatrali, potenti e drammatici che sembravano accostare la forza dell'heavy metal con l'atmsofera dell'opera. Il disco fu inciso con una line-up nella quale spiccava l'operato del solito Zachary Stevens -monumentale al microfono- e di Al Pitrelli alla chitarra. Al tempo, Oliva spiegava come il disco fosse stato scritto quasi del tutto da lui e dal produttore Paul O'Neill: 'Lui ha scritto la storia e poi i testi delle canzoni, io mi sono occupato della musica, delle melodie e delle orchestrazioni, be sapendo che il resto era in buone mani. La squadra ha funzionato bene ancora una volta, gli altri hanno dato una mano negli arrangiamenti e registrato i pezzi. I Savatage sono un sistema quasi computerizzato'. Dal punto di vista musicale, non era un album facile a detta dell'ex singer: 'Riuscire a realizzare un album come questo é molto difficile. Chi ascolta le canzoni in modo superficiale magari non se ne rende conto, ma ci sono migliaia di problemi da risolvere. Molti più che in un disco normale. Se non c'é organizzazione, l'esito finale ne risente'.
Dopo l'apparente tonfo mediatico del 1996, molti si auspicavano un ritorno dei Metallica alle sonorità complesse, veloci e aggressive degli esordi, nel corso di quel 1997. Non sarebbe stato così, ed il titolo dell'annunciato nuovo lavoro non lasciava spazio a dubbi di sorta: ReLoad sarebbe stato a suo modo una dimostrazione di coerenza, con gli ex thrasher di San Francisco pronti a difendere il proprio cambio di stile fino alla fine. Una mossa di per se elogiabile, così come la voglia di manifestare senza veli una vena artistica che inevitabilmente non poteva più essere quella della decade precedente, dato che i californiani non erano più ragazzini arrabbiati col mondo ma padri di famiglia ultatrentenni, ormai agiati e milionari. Purtroppo, però, i pregiudizi e gli stereotipi hanno spesso il sopravvento sulla razionalità e dunque il nuovo lavoro, che proveniva dalle stesse session di Load creò ulteriori polemiche e accuse nei confronti del quartetto americano, ormai stabilmente nell'occhio del ciclone. Gli standard qualitativi dei capolavori thrash metal che resero grandi i Metallica erano lontani anni luce e forse è innegabile che anche lo stesso Load era nettamente più ispirato di ReLoad, costruito ancora su pezzi hard rock con marcate reminescenze blues. Il pathos del disco era mesto e non certo aggressivo: della vecchia velocità non vi era traccia e nemmeno la potenza granitica del Black Album sembrava più essere nelle corde dei musicisti di Frisco. I pezzi inseriti nella tracklist erano stati inizialmente accantonati ai tempi di Load e poi rivisitati dalla band, che tuttavia giurava di non considerarli veri e propri scarti; nonostante ciò il platter non era così osceno come si potrebbe pensare, pur restando un prodotto minore nell'illustre discografia di chi, anni prima, aveva scritto Master Of Puppets. L'energica opener Fuel, un hard rock semplice ma sferzante, diventerà il pezzo più noto del disco; l'oscura nenia cantilentata di The Memory Remains prevedeva una fugace collaborazione con la cantante 'maledetta' Marianne Faithfull e diventava una sorta di inconscio tormentone ipnotico, così come la ritmata Devil's Dance. The Unforgiven II era il sequel della celebre ballata comparsa sul Black Album e ne riprendeva le belle melodie e i toni emozionanti, mentre brani cupi e decadenti come Carpe Diem Baby o la lunghissima Fixxxer portavano l'ascoltatore in uno scenario desolato e deprimente, contraddistinto da melodie gradevoli ma forse meno ispirate rispetto a quelle di Load. L'episodio più insolito -nonché quello più intriso di questo latente senso di disagio e sofferenza interiore- era Lowman's Lyric, una tristissima ballata eseguita con violino e organetto. Noncuranti della bagarre mediatica che il nuovo corso aveva scatenato, i Metallica alimentarono polemiche e accuse con interviste provocatorie e dichiarazioni scioccanti, che col senno di poi non erano altro che un modo per prendersi gioco dei tanti moralisti mentalmente oppressi che si battevano il petto accusandoli di alto tradimento. Il più provocatorio era Lars Ulrich, seccato dalle continue domande della stampa: 'Il metal non mi interessa. Il metal ormai è roba per nostalgici. Lo puoi risvegliare, di tanto in tanto dentro di te, magari anche grazie a qualche litro di alcool. Ora come ora mi potrebbe capitare di intraprendere una discussione apparentemente seria e intelligente sull'heavy metal solo quando sono del tutto rincoglionito tra le quattro e le sei del mattino. Io il metal non lo ascolto più, ascolto musica pop. Del resto ho anche smesso di domandarmi se siamo metal oppure no, temo che mi ci perderei. La gente oggi quando parla di musica dura parla indifferentemente di Korn, degli Skunk Anansie oppure dei Prodigy. Dunque dove sarebbero finite le barriere tra ciò che è metal e ciò che non lo è? Non sono la persona giusta per rispondere sul metal, mi dispiace: i Metallica sono pop. Dieci anni fa la gente avrebbe detto che eravamo thrash metal ed io avrei speso mezz'ora per cercare di spiegare che noi non eravamo 'solo' thrash metal. Cinque anni fa tutti hanno cominciato a catalogarci come heavy metal e io avrei speso mezz'ora per cercare di spiegare che non era così. Ora, semplicemente, non me ne frega un cazzo se la gente ci considera i più malvagi bastardi del grindcore oppure il gruppo rock più moscio del pianeta! Ho raggiunto uno stato d'animo in cui semplicemente tutto questo non mi interessa più, questo perché le canzoni sono l'ago della bilancia: saperle scrivere, saperle arrangiare, è questo che conta. Così oggi se qualcuno mi chiede se il nuovo album sarà caratterizzato da una matrice sonora più heavy rispetto a Load io rispondo la verità, cioè che il nuovo album suona come le Spice Girls'! A chi gli faceva notare come i Metallica non dessero più l'idea di una band vera e verace, il drummer rispondeva annoiato: 'Tutti i gruppi sono una gang quando cominciano, sia per l'età più giovane, che ti porta più facilmente a condividere gli stessi interessi, sia per l'entusiasmo che accompagna i primi successi e ti porta a vedere solo il lato più felice della faccenda. Ma cinque anni sono tanti e la gente cambia. Quando hai 33 anni e sei nel mondo musicale da 15 è sciocco fingere ancora che si tratti di una gang. Io non fingerò che abbiamo lo stesso spirito e gli stessi interessi, perché da tempo non è più così. Allo stesso modo, non credo di essere mai stato così poco interessato a ciò che avviene musicalmente al di fuori dei Metallica come adesso. Non c'è nulla di esterno che mi ispiri, sono troppo immerso e concentrato in quello che faccio. Jason, che di carattere è il polo opposto al mio nel gruppo, passa tutto il suo tempo libero suonando musica, ma il sottoscritto, Metallica a parte, è annoiato a morte dalla batteria! Ho troppe altre cose da fare al di fuori del gruppo: piuttosto che mettermi ancora a suonare preferirei trascorrere il tempo osservando la pittura a secco'!
Stampa e fans si trovarono disorientati di fronte alla nuova musica del four-pieces americano, ma forse ancor di più dinnanzi a certe dichiarazioni ed immagini promozionali; la maturità e la voglia di fuggire da uno stereotipo restrittivo avevano portato i Nostri ad andare ancora una volta controcorrente, come spiegava Kirk Hammett: 'Non me ne frega un cazzo di ciò che pensa la gente della nostra immagine. Questo era ciò che volevo fare e l'ho fatto. Penso che fosse la decisione giusta, perché ero stanco della stessa vecchia immagine nel nostro genere di musica, quasi si trattasse di un'uniforme. Era qualcosa di ormai stantio, prevedibile e cliché. A noi i cliché non sono mai piaciuti e volevo fare qualcosa che fosse tutt'altro che prevedibile'. Il chitarrista era il più eccentrico di tutti, col suo look da pappone cubano, i tatuaggi, i piercing, i sigari e le foto svestito su qualche giornale glamour; Ulrich, però, ne condivideva l'ideologia di fondo: 'Tutto deriva dai cliché che la musica heavy ha ereditato dal passato: un insieme di fottute regole da rispettare quanto al modo di vestire, suonare, apparire, muoversi e... continua tu stesso la lista a piacimento! Se soltanto ci fossimo liberati di tutte queste costrizioni un po’ prima di un anno fa'! Ancora: 'Se qualcuno non vuole essere nostro fan perché siamo cresciuti musicalmente, perché ci mettiamo l'eye-liner o perché indossiamo stole di piume viola allora non li voglio come fans'. Persino Jason Newsted, l'animo purista e 'old school' della band, dava in parte ragione alla nuova ideologia: 'Mi ricordo nel '77 quando i Kiss si tagliarono un po’ i capelli ed io reagii disgustato, decidendo di non comprare più per un po’ i loro dischi; poi si tolsero addirittura il make-up e quella per me fu la mossa che fece traboccare il vaso! Ripensandoci, capisco benissimo i kids che all'inizio hanno reagito inorridendo, al vederci indossare stole di piume color viola'. Nelle interviste dell'epoca, anche Ulrich espresse una visione non dissimile, molto più realistica rispetto a tante sue sparate a zero dai toni più che altro provocatori: 'Oggi ho 33 anni. Quando ho esordito con i Metallica ne avevo 17, adoravo band come i Motorhead e non avrei mai voluto, per esempio, che 'Ace Of Spades' suonasse differente dalla versione originale, così come apprezzavo molto i Saxon e mi stupii parecchio quando sterzarono dal sound epico degli esordi a quello più sanguigno e stradaiolo di 'Denim And Leather', col quale però furono poi adorati da tutti. Tutto ciò per dire che non posso chiedere a un kid di vent'anni di essere più aperto mentalmente, perché anch'io all'epoca non mi dimostrai tale'. In realtà Newsted covava qualche dubbio, in cuor suo, ma la sua voce in capitolo non era certo quella più considerata dal duopolio Hetfield/Ulrich: 'Sono ancora preso dalla risposta controversa tributata a Load. Ci sono stati molti aspetti del look e del packaging dell'album che non mi sono affatto andati giù, addirittura talvolta dissociandomi dalle scelte operate dalla maggioranza, cioè gli altri tre. Ma musicalmente il disco mi sembrava davvero ok: dal mio punto di vista, che è quello che probabilmente oggi si avvicina di più al metal-fan tra noi quattro, ti dico che alcuni pezzi avrebbero dovuto suonare più duri, altri senz'altro più veloci; insomma, avrei voluto più roba nello stile tradizionale dei Metallica. Del resto, quando feci sentire ai miei amici dei Machine Head e dei Sepultura i tapes di Load mi dissero 'Ehy man, ma cosa sta succedendo? Sì, le canzoni non sono affatto male, hanno una bella melodia, ma non è metal!' Lì per lì ci rimasi anche piuttosto male, ma poi abbiamo visto l'album venire accettato da sempre più persone, le vendite migliorare pian piano; il pubblico si stava abituando al nuovo sound e questi sono i Metallica adesso'. Il rude James Hetfield non ha mai accettato del tutto la scelta di abbinare un cambio di immagine così drastico alla svolta musicale, anche se nelle dichiarazioni ufficiali tentava in qualche modo di mandare giù il boccone amaro dell'eye-liner e della tintura per capelli: 'Beh ci sono state in realtà un po’ di cosette che andarono troppo in là... Sempre però nel positivo senso di esplorazione di cui gli altri parlano. Ce l'avevo e ce l'ho anch'io quell'attitudine di andare sempre contro il richiesto ed il prevedibile, ma Kirk all'inizio era un po’ il capo della rivoluzione. Ora la gente è interessatissima a conoscere i potenziali cambi di look di Kirk! Mio Dio, in realtà la band non è stata mai e poi mai incentrata sull'immagine, così che tutto ciò risulta buffo e strano! Chissenefrega, alla fine, dei suoi cambi di look. Io lo conosco e lo apprezzo per come è dentro, ancor di più adesso che ha imparato ad osare, a mostrare all'esterno ogni lato di se. E' sempre stato molto strano ed eccentrico come tipo, ma alla fine ci vado d'accordo e questo dopo 14 anni insieme è davvero magnifico'! Da febbraio a maggio la band fu in tour negli Stati Uniti e in Canada; nei due mesi di pausa James ne approfittò per sposare Francesca Tomasi, il 17 agosto. La ragazza argentina conosceva ormai da anni il chitarrista, avendo iniziato a frequentarlo prima come membro del servizio di sicurezza e poi entrando nel personale del guardaroba della band; il cantante fece anche da testimone per le nozze di Lars con Skylar Satinstein, una giovane studentessa universitaria. Dopo l'estate, la band partecipò a tre festival estivi in Belgio, Germania e nel Regno Unito e si impegnò a promuovere l'uscita del nuovo lavoro con uno show gratuito in patria; questo si tenne in una location scelta dai fans, la Core States Arena di Filadelfia, nonostante le iniziali renitenze dell'amministrazione locale: tra telefonate ed e-mail, votarono oltre 120 mila persone. In ottobre i quattro tennero un'esibizione acustica presso lo Shoreline Amphiteatre di San Francisco, al fine di promuovere fondi benefici per la Bridge School -un istituto per bambini disabili- e conclusero l'annata senza dar troppo peso al tam tam mediatico che li aveva resi la band più discussa del pianeta. Semplicemente, Lars e compagni ammettevano di essere persone diverse da quelle di un tempo e pertanto sentivano legittima l'opportunità di manifestare anche con la loro musica tale evoluzione: Mi sento sempre meglio invecchiando', osservava il danese: 'Siamo cresciuti in salute, in popolarità, in tutto quello che riguarda le fottute cifre. Sono molto più soddisfatto ed appagato adesso che mai nella mia vita e questo, che lo si voglia o no, perché sono più vecchio e maturo. Ogni risposta che tu possa cercare ad una domanda interiore troverà una qualche risposta col passare del tempo e dell'età. La cosa più patetica che un musicista quarantenne possa fare è presentarsi sempre con lo stesso look, lo stesso atteggiamento, gli stessi identici vestiti che aveva sul palco vent'anni prima. Quando vedo gruppi del genere dico... ehi, andiamo! Datevi una svegliata'! Principi corretti, in linea di massima, ma destinati a dividere in eterno gli ascoltatori conservatori e quelli che, invece, si reputano più open-minded.
La scia dei Quattro Cavalieri era sempre stata seguita dai loro fieri contraltari, i Megadeth dell'ex Dave Mustaine. La svolta dal thrash all'heavy si era puntualmente ripetuta con Countdown To Extinction e Youthanasia, ma per il passaggio all'hard rock c'era ancora tempo. Per quanto melodico e caratterizzato da passaggi cupi ma radiofonici come Trust, Secret Place o Almost Honest, infatti, il nuovo Cryptic Writings manteneva ancora coordinate heavy, seppure più morbide dei due predecessori. In brani veloci come The Disintegrators o Fight For Freedom si intravedevano persino vecchie mitragliate a rincorsa, figli delle radici thrash della band e più catchy soltanto nei refrain vocali. Lo confermava il bassista e fondatore David Ellefson: 'Credo che in quest'album ci siano ancora delle canzoni davvero heavy, ovviamente non tutte ma per esempio 'Disintegrators', 'FFF' e 'Vortex' sono degne dei lavori dei vecchi tempi e sono in grado di soddisfare anche le aspettative dei fans di lunga data. Quello che vogliamo è coprire una gamma maggiore di suoni e quindi anche di pubblico'. Tracce tangibili di hard rock si avvertivano in Have Cool With Travel, mentre il brano più significativo era She Wolf, un potente pezzo melodico dai tratti oscuri e dal refrain trascinante, sostenuto da una quadrata base ritmica mid-time e da riff asciutti, destinato a diventare un classico delle setlist live. In esso spiccava anche un pregevole e prolungato assolo di chitarra, il migliore del disco, frutto del tocco magico di un Marty Friedman che, in ogni modo, sarebbe stato capace di ben più elevati virtuosismi. Si trattava di un disco discreto che divise fin da subito stampa e critica, ancora legati ai vecchi fasti techno-thrash: la verità stava nel mezzo, perché Cryptic Writings era un buon lavoro, piacevole e orecchiabile per quanto inferiore qualitativamente a tutto quello che il rosso di La Mesa aveva rilasciato fino a quel punto. Mustaine spiegava alla stampa: 'Penso che con un certo tipo di musica heavy abbiamo raggiunto il massimo con Rust in Peace, soprattutto per quanto riguarda la velocità dei tempi. Da allora già con Countdown To Extinction abbiamo cercato di rallentare per incorporare della melodia all'interno dei pezzi, cosa che prima non era possibile'. Molti anni dopo, nella sua autobiografia, il chitarrista avrebbe ammesso: 'L'album raggiunse quasi il platino, ma in un certo senso ottenne meno di quanto avessi previsto. Invece che far conoscere i Megadeth ad un pubblico nuovo e più ampio, fu accolto con ambivalenza dai fan più integerrimi, che non a torto si chiedevano: 'Che cazzo sta succedendo qui? Questi non sono i miei Megadeth, questi sono i Megadeth di mio padre' e cose così. A quel tempo ebbi pochi problemi ad accettare tutto questo, ma col senno di poi riesco a vedere chiaramente come accadde e cosa significava. Certo, è possibile diventare più melodici pur restando fedeli alle radici metal, ma è un equilibrio delicato, soprattutto per un gruppo come il nostro, che era pesante e veloce come pochi altri al mondo. I Megadeth erano un fenomeno basato su talento ed energia puri e quando prendi questi elementi e li annacqui non c'è più niente di fenomenale. Diventa ordinario. Quando cerchi di espandere la tua base di pubblico rischi di alienarti i fedelissimi e penso sia proprio quello che facemmo con Cryptic Writings, e ancora di più col disco successivo, intitolato in maniera appropriata Risk'. Oggi possiamo considerare Cryptic Writings come un buonissimo disco dei Megadeth degli anni Novanta, degno successore dei due lavori precedenti: con esso si chiudeva il periodo heavy metal della band californiana, che con Risk sarebbe deflagrata nel pop-rock prima di tornare ad un heavy-thrash via via sempre più valido nel nuovo millennio. La formazione americana partì in tour a quasi un anno dalle ultime apparizioni live, supportata in alcune leg dai Misfits, leggende del punk.
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alcuni buoni album di quell'anno me li ascolto ancora: Jugulator, Dickinson e ogni tanto anche gli Hammerfall. mi ricordo che allora impazzivo per Gammaray, stratovarius. ora non più. Metallica per me erano già in coma irreversibile dal black album. e poi Legendary tales dei Rhapsody non era male, poi sono peggiorati di brutto, ma quel disco mi piaceva abbastanza. Megadeth e Queensryche invece abbastanza mediocri. |
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grazie dei complimenti ragazzi! @spiderman: certo che ci sarà una seconda parte, è ovvio!  |
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@Samba,piena identita' di vedute sui Paradise Lost  |
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Spiderman@ spero anche io One Second dei Paradise Lost venga dibattuto nella seconda parte! A me piace ancora un casino, quello come del resto i successivi Host e Believe in Nothing che bene incarnano la tristezza della fine di un'epoca e l'inizio di un millennio pieno di insicurezze (musicali e non). In generale, parlando dei Paradise Lost, devo dire che dal disco d'esordio fino a l'ultimo non mi hanno mai lasciato con l'amaro in bocca. Hanno sempre mantenuto, anche nel cambiamento, degli standards qualitativi alti. Trucido@ si esatto ahahahah anche io ho appunto specificato periodo Maiden da No Prayer in poi. le differenze di qualità a livello compositivo tra i lavori di Dickinson e quelli di Harris penso siano innegabili! |
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Nel 1997 avevo 7 anni,e neanche conoscevo la parola metal,comunque posso dire che i Metallica hanno avuto coraggio nel fare prima Load e poi Reload,il primo mi piace,il secondo invece cosi,cosi',diciamo sufficienza risicatissima,per il power metal concordo,ci fu il boom,molti gruppi di spessore,Strato,helloween,Gamma Ray,Rhapsody of fire,devo dire che a me Gamma Ray e Rhapsody,piacciono,soprattutto i primi albums,anche se non sono un grande fan,i 2 album Somewere out in Space e Legendary Tales sono album stupendi,Timo Tolkki non mi ha mai pienamente convinto ne prima ne dopo,basta sentire l'ultimo orrore Avalon,e gli Strato senza di lui hanno fatto cose egregie guarda caso,invece reputo bellissimo The Wake of Of Magellan dei Savatage anche se alla voce c'e' Zachary Stevens,che comunque si e' dimostrato veramente azzecato in questo lavoro.Incoroggianti,pur ci dovuti limiti Embittered dei nostrani White Skull,con la De Boni alla voce,e i Domine con il loro primo album Champion Eternal con la bella voce di Morby.Anche un cenno ai Merendine,trash tricolore con il loro Demo 1997.Per quanto riguarda le eterne diatribe sullo sperimentare o rimanere nel solco della tradizione,le polemiche e le critiche accese sia da parte delle fans- base,che si spaccarono,che da parte di riviste del settore,non colpirono solo i Metallica,ma anche i Paradise Lost,con il loro spiazzante lavoro,One Second,con l'uso (ancora oggi dibattuto)di elettronica(synt),e concessioni Darkwawe e pop anni 80,ma di questo spero se ne occupi la seconda parte spero (se ci sara'),comunque complimenti di nuovo al bravissimo Rino per i suoi avvincenti articoli. |
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Sì, esatto col successivo Chemical Wedding fece un passo avanti ma già Accident era un disco di livello alto, con bei pezzi e tanta grinta. Preciso che per il pre-reunion intendo tutto il materiale anni 90 dei Maiden, prima che magari possa essere frainteso  |
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A chi lo dici Trucido@ il Dickinson solista sta avanti anni luce, o forse anni luce indietro la dove c'era la qualità originaria degli esordi dei Maiden. Tra lui e Smith con AOB (se parliamo solo di quello) non inventarono nulla di certo ma composero davvero un gran bell'album! Ancora oggi rimane tra i miei ascolti favoriti. Ricordo anche che la prima canzone che ascoltai fu Man Of Sorrow su Radio Rock e stavo guidando per andare ad un corso di aggiornamento. Cambiai rotta e vaffanculo corso, optai senza rimorso per Revolver (negozio di musica ora chiuso) e presi il cd. Bellissimo! Arrraya@ ahahahahah hai già iniziato il conto alla rovescia per le bastonature finali? Io ripensando al passato avvertì il crollo sotto i piedi esattamente nei primi mesi del 1999, fino ad allora stavo da paura, se da una parte i gruppi storici iniziavano a fare cilecca è anche vero che di alternative (anche in underground) ce ne stavano a solleticare il palato. Per esempio I Metallica nel 1997 li seguì sia con il nuovo corso "soft" e sia attraverso una band finlandese (Am I Blood) che fa un thrash contaminato da altri elementi musicali e che usai come loro surrogato... beh il cantante deve essere il fratellastro di Hetfield perché la voce E' quella di Hetfield. Per massacrare le riviste di settore aspetterò la seconda parte! |
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Fu l'anno di Re-load, ovvero la prima e più grande delusione musicale della mia vita. Ero ancora giovane e speranzoso ed in fondo Load mi piaceva. Come dice Samba l'ondata power fu parecchio pompata ed io un po' la seguii, ricordo il buon esordio degli Hammerfall e dei Rhapsody e possiedo Visions (so che sembra strano ma ero parecchio invasato con gli Strato) e Somewhere dei Gamma Ray. C'era indubbiamente del buono anche se come in tutte le mode il mercato venne in seguito inflazionato. Cryptic Writings ogni tanto lo riascolto, ci sono dei buoni pezzi ed altri che lasciano interdetti, idem per Jugulator. Se dovessi però trovare un disco tra quelli trattati nell'articolo che reputo più importante dire però Accident Of Birth. Direi che tra questo e il successivo Chemical Wedding (assieme ai responsi interlocutori su Xfactor e Virtual XI) il buon Bruce diede più di una ragione per la successiva reunion tanto acclamata dai fans. Anche se, personalmente, i dischi di Bruce nominati mi piacciono molto di più di tutto quello fatto dai Maiden pre e post reunion. |
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Sul finire del '97 rientrai dall' Inghilterra, atterrai a Linate e mi diressi verso la stazione centrale. In attesa del treno mi fermai all' edicola e comprai Metal Shock, "cazzo, un anno senza leggere notizie metal in italiano, mi son perso un po di cose"...l'amara sorpresa, staff completamente cambiato, impaginazione pure, contenuti ridicoli. Ho sempre dato importanza a questo veicolo , ma ora non c'era piu, metal hammer costava una cifra, cosi come gli altri giornali di settore. Fu l'inizio del cambiamento e dovetti attendere internet (e qualche sparuto giornale comprato saltuariamente) per cercare di riaffezionarmi al mondo del metal. Ovviamente questo è stato solo l'aspetto mediatico della faccenda, pesanti come macigni il gran numero di cagate a profusione delle band storiche, e non c'è bisogno di rielencarle. Chi si lamenta del grunge come "assassino" del metal dovrebbe andare a studiarsi questa fine di millennio per capire il vero killer, un passaggio generazionale che non è stato indolore. Almeno all' epoca di Seattle uscivano dischi paurosi, sia metal che Seattliani appunto. Poi si sa, la fine del millennio non capita tutti i giorni e di certo non è un passaggio che può avvenire senza qualcosa di ecclatante, e il metal, al pari di altri settori della vita sociale e culturale del pianeta, non è stato esente. Comprare cd di basso livello e poi guardarsi attorno e vedere tutti perdere la testa, non è stato per niente piacevole. io purtroppo non sono mai stato un grande amante del Power Metal, per quanto fosse il genere piu ancorato alla tradizione, non lo trovavo sufficiente per lenire quel fastidio che ormai si era insinuato, ormai stavo cercando in differenti direzioni musicali (sempre Underground) Quella cosa che (almeno per me) si era sbriciolata in mano in nome di una mediocrita che ormai aveva preso il sopravvento. Eviterò di commentare le prossime annate ('98-'99-2000 ecc.) salvo per dire quei pochi album che ad intermittenza mi accendevano. Comunque non bastano 4/5 album ottimi per accendere (o riaccendere) una passione. La fine del metal storico è databile nel '97, anno in cui inizio la nuova fase intermedia (quella della merda per intenderci). Per fortuna ci siamo ripresi con gli anni dopo questa batosta. |
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L'apice dell'esplosione della nuova ondata di power metal e della riscoperta da parte di tanti di bands non proprio di primo pelo... un casino di bei lavori ma anche di tante zozzerie che vennero buttate nel calderone per allungare la zuppa... a seguito dell'uscita di Glory To The Brave e Visions ricordo di quel periodo specialmente alcune bands italiane che vennero pompate in maniera imbarazzante da etichette e riviste di settore ma che veramente non ci sapevano fare nemmeno di striscio. Per quanto riguarda il resto, venni piacevolmente colpito dal ritorno dei Priest con Jugulator, il grande Accident Of Birth di Dickinson che mise totalmente in ombra quanto fatto dai Maiden dall'epoca di No Prayer For The Dying sino a li. Quella mazzata assurda di metal che è ancora Somewhere Out In Space dei Gamma Ray... uno di quei dischi che rimangono veramente impressi a fuoco nella storia della musica. Tutta la diatriba sul nuovo corso dei Metallica. A me neanche Re-Load dispiacque ma appena aprì il libretto del cd e vidi le immagini del nuovo look mi venne davvero da cagare. Non ricordavo le dichiarazioni della band qui riportate dal bun Rino@... assurdo... Hammet aveva sempre contato nella band come il due di coppe e quando si trattò invece di fare un'idiozia venne preso come alfiere "della rivoluzione"!?!? Soprattutto, ed anche tristemente direi, viene fuori il quadro di una band totalmente in balia delle scelte e delle spinte dei managers. |
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ho detto una cazzata, il 97 fu l'anno di (ahimè) reload |
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mi spiegate perchè in ogni articolo di ogni anno ci sono i Metallica pure se nel 97 non fecero nulla? |
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lo immaginavo!  |
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@Metal Maniac: non correre, aspetta la seconda parte!  |
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il 1997 è stato anche l'anno di enthrone darkness triumphant dei dimmu borgir e di city degli strapping Young lad! |
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Il miglior album uscito nel 1997 è Something wild, poche pippe! |
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Gamma ray, dream theater, metallica, savatage, megadeth, tutti album che non ho mai digerito! Ma gli altri...slurp! |
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1997 one second , the mind's I , The Final Chapter , alcuni tra i dischi piùbelli dell'anno trattato |
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HeroOfSand_14: le interviste di lars sono provocatorie, uno 'sbotto' nei confronti di chi continuava a rompergli le palle x il cambio di stile... immagina di dover rispondere alla solita domanda ogni giorno per centinaia di volte! non ne poteva più e giustamente cercava di dire: ma ascoltare l'album, cercare di capirlo e magari parlare lasciando a casa pregiudizi e stereotipi no eh? Reload è discreto, sufficiente, mentre Load era molto buono; Lulu non lo riesco ad ascoltare neanche io ma come ama ricordare sempre il collega @The Spaceman quello NON è un disco dei metallica ma di lou reed; la musica l'ha scritta interamente lou reed, loro l'hanno solo suonata adattandosi al suo stile che può piacere o meno. ma è il suo stile. |
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gamma ray, stratovarius, hammerfall. x me già basta così x esser ricordato come un grande anno!!!!!!! |
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Secondo me sono gli anni più contorti per la musica metal ma che nonostante tutto hanno lasciato qualcosa e dove molti vecchi leoni hanno tentato di cambiar pelle non sempre riuscendoci. Somewhere out in space lo considero l'apice dei gamma ray, così come va riconosciuto il valore dei rhapsody e mi piace molto the wake of magellan dei Savatage. Sui judas priest secondo me commisero l'errore di scegliere una cantante con poca personalità e sfornarono un buon album. Sui queensryche è indubbio dire che Hear in the now frointers fu una delusione ma ancora conteneva delle gemme che oggi non sono più in grado di scrivere. |
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Ops, volevo dire "un anno difficile da scordare", sennò sembra che reputo "bello" Reload! Per quanto riguarda Wake OM non sapevo fosse uscito prima in Europa, ottimo lavoro nel documentarsi pure su questi piccoli particolari! Comunque l'intervista di Lars mi ha fatto morire..reputo la loro scelta di cambio stile molto coerente e coraggiosa, e la musica venuta dopo il Black Album è stata in parte di gran livello, quindi le solite critiche sono fatte da gente che apprezza solo la vena più dura dei Tallica. Però quello che dice Ulrich, Metallica=pop e che l'album suona come le Spice Girls è orribile, come deridere il proprio gruppo. Resto convinto che album come Load e Reload (e il Black in parte) possano essere capiti solo da chi ha un pò di apertura musicale e non si ferma alle apparenze (orribili per quanto riguarda i vestiti dell'epoca!). Anche io devo capire dal tutto Reload, ma non lo trovo una ciofeca al livello, per dire, di Lulu.. |
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@HeroOfSand_14: ahahaha tranquillo tranquillo, la serie non si ferma affatto e tantomeno la buona musica su The Wake of Magellan: il punto è che è uscito a settembre 97 in europa e ad aprile '98 in america! |
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Eccoci qua, Rino, a momenti temevo che la buona musica fosse finita nel 96 e non avresti fatto altri articoli di Correva L'Anno . Devo ancora leggerlo (come sempre), ma (come sempre) mi basta guardare le foto per fare mente locale. Come dice Entropy è stato uno di quegli anni storici per il power, con capolavori e grandi dischi, dagli Strato ai Gamma Ray. Wake Of Magellan (che credevo fosse uscito un anno dopo) è cosi teatrale, cosi sinfonico che lo trovo di una grandezza difficile da gustare con pochi ascolti. Anymore è una delle tracce più belle che la band, secondo me, ha mai scritto dopo Streets. Poi Dickinson che esce con Man Of Sorrows, ballata toccante, e i Metallica che, beh, tralasciando l'album in sè (difficile da salvare), contiene The Memory Remains, che ho sempre trovato ottima e angosciante, ideale almeno per i live. Nel complesso, un album difficile da scordare! |
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Secondo me in quest'anno ( e magari anche in quello dopo) si è raggiunto l'apice del periodo power, con fantastici album (gamma ray, stratovarius e rhapsody) che sopratutto per i primi due gruppi non verrano mai più replicati a questi livelli. Per il resto in tema grandi del prog a fronte delle delusioni dream thater e queensyriche, i fates warning ci hanno regalto uno dei più grandi album di sempre, molto ostico, ma davvero a livelli irraggiungibili. Anche io penso che jugulator fosse un album onesto, ma forse il passo fu troppo spiaziante verso un metal troppo "estremo". In ogni caso l'album soffriva di una certa "monoliticità" a mio giudizio, un pò ripetitvo. I savatage secondo me diedero vita aun grandissimo album , non concordo con Vitadathrasher. Aspetto la seconda parte per vedere se verranno trattati quelli che a mio giudizio sono stati gli altrii veri capolavori di quell'anno (pain of salvation, symphony x, the gathering e in the woods) |
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Anno che ha visto le nueve leve esplodere: Edguy, Hammerfall e Rhapsody su tutti ma anche le conferme di band strepitose come Gamma Ray e Stratovarius. Un Dickinson sempre più che notevole con Accident of birth alza l'asticella del voto ancor di più per questo 1997. Poi Judas Priest e Megadeth...in quegli anni ricordo che avevo storto il naso...ascoltando oggi e gli ultimi lavori forse avrei dovuto sorridere....e mi fermo qui. |
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vedendo gli tempi, jugulator lo trovo un ottimo disco e anche cryptic writings era veramente un buon album rispetto agli ultimi 2 sfornati dai megadeth..metallica erano già bolliti allora!! |
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E' stato l'anno delle delusioni da parte dei grandi vecchi, ma anche l'anno delle nuove leve: Edguy, Rhapsody, HammerFall. La fine di un ciclo e l'inizio di un altro. Metal never dies! |
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Articolone come al solito ben realizzato , anno ottimo per il power tedesco. |
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Salvo solo gli Stratovarius: un ottimo album anche se certe scelte stilistiche, nel loro estremo virtuosismo, rasentano il ridicolo. Poi, tutte delusioni: Megadeth, Metallica, anche i Savatage mi delusero con un album troppo prolisso....... |
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