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27/04/25
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TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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LABYRINTH - Quando la musica è architettata per restare
08/06/2017 (2522 letture)
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Sette anni separano l’uscita di Return to Heaven Denied pt. 2 da quella di Architecture of a God ma, come da tradizione che accompagna l’attività dei Labÿrinth, anche stavolta le polemiche e le discussioni, spesso sterili, si sono sprecate. Per sapere esattamente come è stato architettato il nuovo album, però, non c’è modo migliore che chiederlo alla persona più qualificata per spiegarlo: Olaf Thörsen.
Francesco: Salve ragazzi e benvenuti sulle pagine di Metallized. Sette anni di silenzio dalla vostra ultima fatica ad Architecture of a God. Il disco vede all’opera una nuova formazione. Personalmente ho apprezzato in particolare il lavoro di Oleg Smirnoff, tra l’altro recuperato alle scene per l’occasione. Olaf: Ciao a te. Su Oleg credo non ci sia molto da dire: è sempre stato un musicista di primo livello ed era veramente un peccato che avesse smesso di fare attivamente musica. Direi che, come hai detto tu, la vera notizia da sottolineare sia il fatto di essere riusciti a convincerlo a tornare a scrivere e suonare nuova musica!
Francesco: Quanto pesano i nuovi arrivati sul risultato finale? L’impressione è che ognuno dei nuovi abbia avuto libertà di sviluppare le proprie parti senza imposizioni particolari. È così? Olaf: È assolutamente così. Ogni musicista, ovviamente, di qualsiasi livello, “segna” un disco. Lo fa non solo col suo modo di comporre, ma di suonare il proprio strumento. Ogni arrangiamento, ogni piccolo dettaglio in cui si lasciano i musicisti liberi di esprimere loro stessi come meglio credono, partecipa ad un risultato finale che spesso supera l’idea iniziale. Dopotutto, se abbiamo scelto dei musicisti nuovi l’abbiamo fatto scegliendo quelli che per noi rappresentavano il meglio, rapportato alla musica che avevamo intenzione di suonare. In questa ottica, sarebbe stato folle non lasciare loro la libertà di esprimersi al meglio.
Francesco: Architecture of a God è un lavoro innanzitutto elegante e che, in ogni caso, richiede molti ascolti per essere assimilato in tutte le sue sfumature, perché concepito proprio come un’opera di architettura. Avete messo in preventivo che non tutto potrebbe arrivare ad un pubblico abituato ad ascolti sempre più frettolosi? Olaf: Non so cosa dirti: qualcuno dice che richiede molti ascolti, qualcun altro dice che non abbiamo portato niente di innovativo e che in fondo suoniamo sempre la stessa roba. Chi ha ragione? Se richiede molti ascolti, ma è sempre la stessa roba, allora è come Return to Heaven Denied, che pare sia piaciuto a tutti. Noi facciamo la nostra musica, da sempre e per sempre. Sinceramente, ognuno è libero di interpretarla come crede, non spetta a noi decidere quanto e come un disco debba piacere. Lo ribadisco, perché a volte mi pare si perda il senso delle cose. Noi facciamo musica prima di tutto per noi stessi, non dobbiamo “convincere” nessuno, come a volte mi capita di leggere in giro. Se uno non è convinto, c’è poco che si possa fare o dire, ma è anche vero che convincere tutti sarebbe comunque impossibile. Chi ama la nostra band e la nostra musica credo si ritroverà facilmente in quello che abbiamo appena realizzato, ma accettiamo anche le critiche, quando sono costruttive e oggettive.
Francesco: Analizzando la scaletta si sente che i pezzi sono molto tradizionali rispetto alla storia dei Labÿrinth da un lato, ma anche una certa enfatizzazione di una componente malinconica. È una cosa voluta oppure è solo il risultato di un processo spontaneo nella scrittura? Olaf: Come ho appena detto, credo che sia un processo naturale. Oggi, nel 2017, noi siamo così, che poi è come siamo sempre stati (anche su Return to Heaven Denied la componente malinconica era presente e direi anche nel primo album, mi vengono in mente Time Has Come o il brano di chiusura Looking For). Anzi, andando addirittura indietro fino al nostro primo EP, un brano come Miles Away non credo andrebbe bene ad un party! Noi non facciamo sicuramente parte di quel filone di band “happy metal” e non lo dico per innalzarmi su un piedistallo, perché non è che l’happy metal sia meglio o peggio; è semplicemente un’altra cosa. Già il termine power, in fondo, ci sta un po’ stretto, perché abbiamo sempre suonato anche tanto altro, motivo per cui, fin dal primo album, quando parlavamo di genere musicale, a noi piaceva ribadire che in fondo noi suoniamo semplicemente heavy metal. Certamente molto diverso dai Judas Priest, ma sempre metal è.
Francesco: Questa enfatizzazione, ad ogni modo, risulta più evidente in particolare nelle linee vocali di Roberto Tiranti. È il risultato anche delle sue esperienze extra-metal? E quanto incide la sua maturazione come uomo sul modo di interpretare il canto? Più in generale: quanto conta l’esperienza di vita -a prescindere dalla musica- di tutti i musicisti nel comporre un’opera simile? Olaf: Per quanto concerne Roberto, credo che ovviamente sia lui la persona più indicata a darti una risposta precisa. Per quanto riguarda noi, è ovvio che l’esperienza di vita conta e non solo per noi, ma per tutti quanti, compresi coloro che ci ascoltano. Non siamo più gli stessi ragazzi che hanno suonato Return to Heaven Denied, o meglio, lo siamo, ma siamo cresciuti, abbiamo vissuto e siamo andati avanti. La stessa cosa dovrebbe essere accaduta anche a chi ci segue da allora. Come si potrebbe pensare di realizzare un album identico ad un altro scritto diciannove anni prima?
Francesco: Ho notato che We Belong to Yesterday affiora come fraseggio in varie parti del disco. È un modo per dare una linea di coesione al disco? Per legare tutto in modo forte, ma non invasivo? Olaf: Per questo album non abbiamo voluto realizzare un concept, perché ormai ci sembra che quasi tutti i gruppi ne sfornino in abbondanza ad ogni uscita. Abbiamo quindi deciso di tornare a fare pezzi singoli, non necessariamente legati tra di loro sotto l’aspetto lirico. Ci piaceva però l’idea di mantenere un certo filo logico, almeno musicalmente, ed abbiamo deciso di seminare delle piccole tracce musicali, qua e là, che piano piano prendessero forma in maniera definitiva nel brano We Belong to Yesterday. È un dettaglio, non tutti magari se ne accorgeranno, ma quando ti capita credo che strappi un sorriso.
Francesco: Il mixaggio dell’album è firmato da Simone Mularoni, una garanzia assoluta di qualità. Mi pare che nel procedere si sia scelto di badare più all’equilibrio complessivo e meno ai singoli, evitando di ricercare un suono particolarmente pieno (si potrebbe dire: moderno) enfatizzando il calore delle singole canzoni. Quali feedback avete avuto in merito alla produzione? È stata apprezzata oppure quella di non picchiare durissimo è una scelta che al giorno d’oggi non paga in termini commerciali? Olaf: I Labÿrinth non sono i Rammstein, non sono nemmeno i Testament. Non capisco come si possa dire che “non picchiamo durissimo”. Le chitarre di questo disco, come il sound in generale, sono state fatte in modo da mantenere un equilibrio tra tutti gli strumenti, ma il sound è assolutamente stellare e non a caso in ogni angolo del mondo si è spesso applaudito alla produzione, che rende assolutamente merito al tutto, applausi che giro a Simone Mularoni. Siamo una band di sei elementi, con cori, molti livelli di tastiere più o meno in primo piano, due chitarre ritmiche, acustiche, soliste e spesso anche due chitarre soliste che eseguono melodie. Non sarebbe possibile ottenere un sound “in your face”, perché, semplicemente, non scriviamo le canzoni per questo tipo di produzione, ma questo album suona in maniera spaventosa e chiunque abbia ascoltato i brani in un modo “cristiano” non ha potuto dire altrimenti. Certo, se poi uno ascolta un video da YouTube col cellulare, mentre prende il bus, è un altro discorso. Una differenza sostanziale, rispetto a moltissime produzioni di oggi, potrebbe essere dovuta alla batteria, che non è una serie di campioni presi da un trigger e costruita a tavolino col computer, ma una vera e propria batteria, suonata da un essere umano e ripresa con ben ventiquattro microfoni. Per quanto ti possa sembrare strano, la verità è che oggi siamo tutti abituati a sentire batterie fatte con EZ Drummer o simili. Noi abbiamo subito detto a Simone che non avremmo voluto scegliere quella strada e lui ha accettato la sfida con entusiasmo, direi vincendola alla grande.
Francesco: Dico una cosa forse un po’ strana anche se tu stesso ne hai già accennato: più ascolto l’album e più mi sembra un lavoro inciso in un certo qual modo più per sé stessi che per gli altri, senza badare molto a come sarebbe stato valutato. Puntando a produrre qualcosa che possa essere ascoltato anche dopo anni senza suonare superato, in quanto slegato dalle contingenze del momento e quasi prendendo le distanze dal mondo attuale della musica. È così? Olaf: Bravo! È assolutamente così, come ti avevo detto anche poco fa. Siamo convinti che di questo album se ne parlerà ancora anche in futuro, a prescindere dai tempi “usa e getta” in cui viviamo. Perdonami se posso sembrare arrogante (non è mia intenzione), ma non abbiamo voluto prendere nessuna distanza dal mondo musicale. Credo si possa dire che ci possiamo permettere di suonare “alla Labÿrinth” e questo, se per qualcuno può sembrare un difetto, per noi è un pregio, perché abbiamo la fortuna di avere un sound riconoscibile dalle prime note suonate, come è stato all’uscita del primo singolo A New Dream, e di questo siamo molto fieri.
Francesco: Per quanto riguarda uno dei brani, nel disco è presente la cover di Children, pezzo trance di Robert Miles, il quale tra l’altro è mancato proprio in questi giorni. Potete spiegarci il perché della scelta? A me è parso un ottimo esempio di come, lavorando sugli arrangiamenti, si possa rendere un brano una cosa molto diversa da come era, dimostrando come la musica sia una ed a cambiare forse è solo l’abito col quale la si veste. Olaf: A noi è sempre piaciuto lavorare su brani che esulano dal contesto musicale da cui proveniamo. Abbiamo spesso realizzato cover di questo tipo, come Vertigo o Feel, che sono tutti brani dance. All’epoca, in particolare, la cosa aveva un valore anche molto più amplificato di oggi, in quanto il metal era ancora molto settoriale e non tutti i fans potevano accettare di buon grado l’idea che una band metal potesse eseguire brani provenienti dalla dance. In fondo, il nostro era un modo giovanile di essere anche provocatori e la cosa ci è sempre piaciuta. Nel tempo, poi, l’avevamo abbandonata (anche perché ripetersi all’infinito non è che sia una cosa fantastica, per chi deve farlo), ma per il valore che ha questo album, per noi e per la band stessa, ci sembrava fantastico tornare alle nostre radici anche da questo punto di vista. Purtroppo Robert, che tra l’altro era ancora molto giovane, è mancato proprio in questi giorni e puoi immaginare come ci sentiamo, ad avere appena pubblicato un suo brano...
Francesco: Immagino. Ci sono state differenze nell’accoglienza del disco tra Italia ed estero? Olaf: Non proprio, anzi direi che l’accoglienza nei confronti di Architecture of a God è stata assolutamente fantastica, anche se –come sempre– gli unici casi in cui si è valutato il disco con un po’ di sufficienza sono stati proprio in Italia, specialmente nei soliti forum. In fondo ci siamo abituati: qua, evidentemente, va di moda andare contro corrente, per il semplice gusto di farlo. Il voto in sé, inteso come numero, non ci interessa. Magari le parole spese nei confronti di un lavoro su cui abbiamo speso un anno della nostra vita, un po’ di più. Voti bassi o negativi, sinceramente, non ne ho visti, ma vedere che qualcuno ha recensito con sufficienza il nostro lavoro, magari dopo avere dato il massimo dei voti a qualche “live in studio” o a remake di dischi (anche italiani) che già nella versione originale, per quanto belli, non hanno certo lasciato segni particolari nella storia, lascia leggermente perplessi, ma in fondo questa è l’Italia e posso già sentire fin da ora i commenti di qualcuno in merito a quanto ho appena detto, che non faranno altro che riconfermare quanto appena sostenuto, in un eterno loop, ahah!
Francesco: Vedremo nei commenti. Ho sentito dire che non avete intenzione di suonare molto dal vivo, è vero? Se sì: è un problema di locations non sempre adeguate, di possibilità di organizzare una serie di date consecutive in Italia o cos’altro? Olaf: Non è vero che non abbiamo intenzione di suonare molto. Non abbiamo intenzione di annunciare improbabili tour mondiali tra Svizzera e Lussemburgo o eventi mega-galattici in un pub di Osaka. Non vogliamo suonare in locali non adeguati e, soprattutto, non vogliamo suonare più di quanto sia realmente necessario. Non è uscendo cinque volte alla settimana che si ottengono risultati, ma calibrando le uscite e proponendo situazioni accettabili, sia per noi che suoniamo, che per quelli che pagano un biglietto per venire a vederci. Crediamo che debba essere il pubblico a decidere quanto una band sia richiesta dal vivo. Se l’album andrà bene e ci saranno così tante richieste, siamo pronti anche a noleggiare un 737 e andare in giro per il mondo (guido io, come Bruce...), altrimenti faremo i nostri bei concerti, festival, qualche tour in Sud America, etc, ma senza voler sembrare più di quel che siamo. Non ne abbiamo mai avuto bisogno.
Francesco: Rispetto a sette anni fa la rete è sempre più presente, con tutti i pro ed i contro della cosa. Avete notato differenze nel modo di accogliere il disco da parte di addetti ai lavori e pubblico, pur in un lasso di tempo così limitato? Olaf: Certamente. Oggi è tutto usa e getta e internet mette tutti a contatto con tutti. Questo se da un lato è positivo, dall’altro lo è molto meno, perché permette a chiunque di esprimere il proprio giudizio, magari offensivo, nascondendosi dietro ad un improbabile nick. La differenza tra noi e loro sta tutta qui: noi ci mettiamo la faccia, con nome, cognome e tanto di foto nel libretto, mentre chi denigra, spesso, no. Da quanto ho visto, inoltre, mi pare che ci sia sempre più disincanto. Fino a pochi anni fa la musica era un piacere, sia per chi la faceva che per chi la ascoltava. Oggi, leggo sempre più persone che si lamentano sempre e comunque: o un album non è innovativo, o lo è troppo, o suona male, oppure suona troppo bene e non va bene, o si sentono le chitarre, oppure la voce è troppo alta, etc. Spesso queste persone parlano delle band come se avessero perso chissà quale magia, ma a me viene in mente il contrario, come se la magia ed il piacere di ascoltare musica, li avessero persi loro.
Francesco: È tutto. Grazie per il tempo che ci hai concesso. C’è qualcosa di Architecture of a God che secondo te non è stato ancora detto? Olaf: No, credo si sia detto tutto ed anche di più. Ne approfitto per ringraziare di cuore tutte quelle persone che, anche dopo così tanti anni, ci hanno dimostrato un affetto impensabile.
TIFOSERIE MUSICALI CHE NON STUPISCONO Come già accennato, quando si tratta dei Labÿrinth, le discussioni non mancano mai e spesso vertono su giudizi che più che essere tali, sembrano semplici speculazioni. I partiti del “pro” e del “contro” assumono i soliti toni italici da tifoseria calcistica che non portano da nessuna parte, se non a rafforzare la propria convinzione di aver ragione e di aver capito ogni cosa e tutto diventa fine a sé stesso. Magari arrivando a credere di sapere su un certo disco più di quanto non ne sappiano gli stessi autori della musica. Lasciare da parte i propri preconcetti, lasciare parlare la musica in quanto tale ed il prendere atto del punto di vista degli autori, può forse portare ad un atteggiamento più costruttivo, recuperando anche quella magia alla quale si faceva rifermento a fine intervista. Alla fine, però, quando si tratta di musica, a scattare sono meccanismi poco codificabili e comprensibili e, forse, è proprio questo che rende tutto così avvincente ed in una certa misura, incomprensibile.
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Ho comprato Architecture... al banco del merch all'Alcatraz in occasione del concerto con Epica e Rhapsody. Non l'ho ancora ascoltato abbastanza da poter emettere un giudizio. L'impressione è che si tratti di un disco non immediato, con molte anime. Mi sembra però un ottimo lavoro. |
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Mah! io non trovo pungenti ne le sue parole ne l'album, poi devo essere completamente rincitrullito, per carità può anche essere, ma io tutto questo capolavoro decantato non ce lo vedo, quali sarebbero le canzoni che devono essere incise a caratteri cubitali nella storia del power? . Poi una cosa che non ho mai capito è perchè se tutti questi anni filava sempre tutto liscio a un certo puto Tiranti decise di mollare, eppure l'ho ascoltato questo lavoro con calma e pazienza, ottima tecnica , ma vette eccezionali musicali non riesco a vedercele, ma anche a me comunque piacerebbe rivederli live, per vedere se sono del tutto rintronato o se dal vivo riescono a armi cambiare idea. |
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10
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Sempre pungente e intelligente Olaf, bella disamina e belle parole. Il disco secondo me merita molto ma deve essere ascoltato con calma e a mente libera per assaporare tutti i particolari (emergenti anche grazie alla splendida produzione del super Mularoni), impensabile considerarlo come un disco da ascoltare mentre fai la spesa al supermercato, per fare un esempio stupido. La band qui si ė dimostrata molto matura e coesa, creando brani complessi e non banali. Certo, non a tutti piacerà, così come non a tutti va a genio il carattere di Olaf, che negli anni ha saputo rispondere ottimamente a critiche assurde..Complimenti al gruppo e sono curioso di rivederli live, probabilmente di spalla agli Edguy a settembre. |
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Quando qualcuno è in grado di dire cosa “va di moda” in ambito musicale rimango sempre piuttosto perplesso, allo stesso modo non mi convincono i giudizi tranchant espressi sul nostro paese. Non sono, inoltre, d’accordo con il signor Thörsen sulla questione del “disincanto”; la musica oggi per molti rimane ancora assolutamente un “piacere”; il fatto che vi siano persone che si “lamentano sempre e comunque” credo rientri tra gli effetti collaterali del web ed è una cosa per la quale temo non vi sia alcun rimedio... Trovo, invece, apprezzabili le considerazioni che ha fatto in merito alla produzione dell’album e alla volontà della band di avere un determinato suono di batteria; è sempre un piacere sapere che vi sono musicisti che non si accodano agli altri, che non seguono i trend del momento e che fanno scelte, per così dire, consapevoli. |
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8
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Gran bella intervista, Album secondo me fatto bene, per assimilarlo bene consiglio molti ascolti e con un buon impianto o delle buone cuffie.Dopo emergeranno Tutti i preziosi dettagli misicali di ogni singolo strumento. Vedrete che dal vivo renderanno alla grande, Formazione super, spero di rivederla presto |
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Grande Olaf! Il loro ultimo album mi è davvero piaciuto e l'ho ascoltato parecchie volte. Concordo anche sul suo pensiero, alcuni vorrebbero mettere nella band X o nel musicista Y quello che pensano loro, ma alla fine il musicista ci mette il suo e all'utente finale non resta altro che l'ascolto con relativo giudizio. (cosa banale, ma a volte sembra che alcuni vorrebbero stare lì a dire cosa suonare al musicista/compositore). |
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Premetto che ho sempre avuto più affinità e feeling con i Vision Divine.Ad Olaf faccio tutti i miei più sinceri auguri per l'album, e per come è stato accolto con favore nella magna pars delle disamine recensive, a me come già detto non è riuscito a convincermi molto, o almeno non del tutto, musicalmente non ci vedo vette sonore himalayane, ne brani che possano lasciare impronte storiche indelebili, ma come detto faro' il possibile per verificare le mie sensazioni in sede live, spero di di vederli e di ricredermi, nel frattempo auguro ogni bene e fortuna ad Olaf e alla band tutta.È giusto comunque ciò che afferma Olaf, un musicista deve fare quello che si sente dentro senza condizionamenti di sorta, cosi' altrettanto deve fare il fruitore e chi ascolta, poi se il messaggio che si sentiva di dare l'artista entra in sintonia anche con la maggior parte di chi ne usufruisce fans e non, buon per lui, ne rimarrà soddisfatto, certo che altrettanto vero è che non si può sempre convincere tutti, o almeno non tutti alla stessa maniera.Io non ci trovo chissà quali pericoli nella rete, anzi spesso i musicisti e i gruppi anche storici si offendevano e si punzecciano tra di loro tuttora, lo han sempre fatto, e negli anni passati non di certo in internet , per non parlare di quante se ne dicono i musicisti che fuoriescono da una band per litigi vari e , scissioni e quantaltro si possa immaginare, era di ficile emergere anche in passato quando non c'era la rete, youtube, bandcamp , I tune deezer, pandora , last fm, Spotiy e compagnia bella, non tutta la NWBOHM ha sfondato, non tutte le band promettenti hard rock, hard 6 heavy, heavy, death-black o trash ce l'hanno fatta, per non parlare del prog, ad es. mesi a ho scoperto un album prog heavy che dire stupendo è poco, A Darkness Reigns dei Prodigy poi Oracle, credo quasi nessuno di noi sa che c'era questa band, nessuno li ha filati, ma gli esempi italiani e stranieri sarebbero infiniti, dagli anni passati fino ai girni nostri, e per molte band del passato valide che sono state ignorate non c'era appunto internet, c'era superficialità anche allora, e forse anche molta più cattiveria e intolleranza di oggi , anche tra generi c'erano scontri forti e polemiche accese, come tra punk e metal, tra glam e metal, tra death/Black ed heavy, oggi c'è molta offerta, anche grazie a internet e alla pubblicità che si possono fare, ma è più difficile emergere perchè gli spazi live, non ce la farebbero a contenerli tutti, alcuni sopravvivono proprio con i passaporala e relative vendite online. |
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Grande Olaf, e grande ultimo album, se non viene ascoltato solo mezza volta risulta il più convincente dal mitico RTHD |
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Bho? a me sto disco non m'è piaciuto, ma forse è solo colpa mia.. |
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Pur non essendo mai stato un grandissimo fan della musica del buon Olaf, ho sempre apprezzato il suo modo acuto ed intelligente di analizzare la realtà. In particolare le ultime 5 righe dell'intervista sono un riassunto perfetto di questi tempi disastrati...e cmq non so voi ma io impedirei di poter inserire i commenti sotto i fatti di cronaca come spesso avviene ora su tantissime testate giornalistiche on-line. Ormai è un compendio dell'orrore, dove tra insulti tra utenti, analfabeti che si credono Umberto Eco e tuttologi, si rischia davvero di perdere la ragione. |
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grandissimo Olaf Thörsen e grandissima band i LABYRINTH, l'album poi è bellissimo!! |
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Grande Olaf, ha fatto la storia del metal italiano, con i Labyrinth e con i Vision Divine. Persona intelligente, intervista con tantissimi contenuti che condivido. Ormai viviamo in un gigantesco gioco di ruolo collettivo: si ascolta la musica (gratis) per poi criticarla come in un talent show. La realtà é indistinguibile dalla narrazione e siamo tutti personaggi in cerca d'autore. Me compreso, ovviamente, che non sono più furbo degli altri, né immune dalle malattie della mia epoca. |
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