Andare a recensire un album d'oltralpe della seconda metà degli anni Novanta potrebbe portare molti appassionati a pensare alle tossiche e lo-fi releases delle Legioni Nere francesi, trasfigurate da band come Vlad Tepes, Torgeist e Mütiilation, sulla scia dell'ormai discendente parabola norvegese. Alla stregua di una vera e propria setta, questi gruppi francofoni incarnavano al tempo (essendosi oramai tutti sciolti), il "ground zero" del black metal francese, grondanti allucinazioni e vampirismo, in un modo spettrale e decadentemente pacchiano.
Eppure, nulla di quanto appena accennato gira intorno alla presente recensione. Contemporaneamente al dipanarsi underground appena accennato, in un piccolo comune della Bassa Normandia, una ragazzo nemmeno maggiorenne dallo pseudonimo Vindsval (il Padre dell'Inverno nella mitologia norrena) nell'arco di due anni, in quasi totale solitudine, accompagnato solo dall'amico W.D. Feld (presenza sulla cui tangibilità le speculazioni comunque non mancano), si dimostra in grado di scrivere due album simbolo e caposaldo del genere black metal, l'uno un capolavoro vero e proprio, il presente Memoria Vetusta I: Fathers of the Icy Age, e l'altro un articolo che sfiora l'eccellenza, pur non afferrandola del tutto, per buona parte della propria durata, Ultima Thulée. L'album d'esordio si rivela ancora molto legato ai classici stilemi del black metal (l'influenza di Hvis lyset tar oss ed il riffing di Dark Medieval Times sono permeanti, come pure l'utilizzo delle tastiere è debitore in parte di Dimmu Borgir, Manes ed Emperor), eppure già in quel mitologico pellegrinaggio ai confini del mondo abitato i Blut Aus Nord (lungi dall'essere un mero errore grammaticale, come molti riportano, il moniker in tedesco può anche essere letto come una forma di licenza poetica) ponevano i contorni del proprio sound che li avrebbe contraddistinti nei venti anni musicali successivi e consacrati nel gotha black metal, diversi anni prima che un altro colosso sperimentale francese, i Deathspell Omega, decidesse di ammantare di Apocalisse il mondo della seconda arte. Le chitarre, infatti, poco presenti nell' Ultima Thulée, iniziano in quest'opera a colorarsi lontanamente di quelle sincretiche venature post-black epiche e sludge che sarebbero poi diventate il marchio di fabbrica del combo francese (ciò accadeva nel 1995!), emergeva impalpabilmente la spettrale batteria (drum-machine?), senza un'apparente ritmica tangibile, il riffing si tingeva di un concetto di idiosincrasia melodica che poi avrebbe ispirato il grosso della scena melodic e atmospheric black successiva, mentre ancora le linee vocali si saturavano di sperimentazioni olofoniche (qualcosa del genere era già emerso nei Katatonia e in Burzum).
Eppure, nella seconda, ermetica opera della creatura di Vinsdval, orbitante attorno ad un concept di guerre e vendette tra i Padri dell'Età Ghiacciata ed il Tiranno, simile all'album coevo dei Diabolical Masquerade, il songwriting viene concettualmente ulteriormente dilatato rispetto al primo sigillo discografico, abbandonando le primigenie e minimali ambientazioni ambient del debutto a favore di uno sviluppo maggiormente progressivo ed epico (ma non salvifico) dei brani, nei quali il basso, lungi dall'essere impiegato a mo' di "terza chitarra" a suon di plettrate, si rivela uno strumento dal suono molto caldo grazie all'utilizzo del fingerstyle e sempre in prima fila nel missaggio (da pelle d'oca i suoi sedicesimi in Slaughterday (The Heathen Blood of Ours)), mentre le chitarre, le quali si muovono spesso su scale diatoniche minori, oltre ad avere quel riffing e quell'accordatura particolari sotto tono sopra accennati, creano un rapporto unico, ed assolutamente inedito per l'epoca, tra melodia e dissonanza, tra distorsione ed originalità, tra ripetizione e sperimentazione, ponendo le basi per un nuovo modo di suonare black metal, il quale, assieme ad una rivisitata concezione armonica non più nichilista del genere, avrebbe permesso al medesimo di uscire dai manifesti ed inflazionati stilemi posti dai Padri della Fiamma Nera (Darkthrone, Immortal, Mayhem, Satyricon, Burzum). In aggiunta a quest'idea di "proto atmosperic black metal", rispetto al debut-album, permangono gli effetti orchestrali, ma diversamente concepiti e non più atti a rammentare la solitudine dell'essere umano di fronte al gelo ed all'inospitalità della Natura, bensì a segnare una costante deumanizzazione della vita e dell'esperienza musicale, unite ad un cabalistico presagio di incombente fine del mondo (l'artwork in copertina è una meraviglia), le quali, pur se sotto mentite spoglie, concettualmente diverranno le astrazioni filosofiche ispiratrici della musica del gruppo e riemergeranno mascherate con costanza in ogni manufatto targato Blut Aus Nord da qui al 2014. Parlando di inediti, Memoria Vetusta I si arricchisce anche di inserzioni corali effettivamente progressive, da coppia di battute a coppia di battute, sempre una terza più alta, per mezzo della stratificazione vocale in clean (si oda Slaughterday (The Heathen Blood of Ours) o Fathers of the Icy Age), come pure di linee melodiche delle sei corde, spesso effettate da alte frequenze, al servizio di una concezione armonica nella musica comunque ben presente (incredibile il finale di The Territory of Witches/Guardians of the Dark Lake), le quali sfociano poi sovente in degli assolo (On the Path of Wolf... Towards Dwarfhill o The Forsaken Voices of the Ghostwood's Shadowy Realm). La batteria (ad orecchio più probabile una drum-machine) emerge dal pentagramma più consistentemente rispetto al debutto, facendosi sentire sui piatti e recuperando una parvenza maggiormente ritmica/armonica, pure se, in linea generale, il grigio oceano di doppie casse che effigia, sempre inesorabile ed ineluttabile, la avvicina a quanto sempre fatto nella storia del gruppo, di importanza capitale pur senza una propria parvenza di realtà. Da ultimo, la produzione è ben curata e lascia trapelare con nitidezza l'essenza dell'opera musicale, in netta opposizione con le tendenze dell'epoca.
Non più solo la Natura, ma l'Universo intero è lo specchio finito dell'infinito, come ebbe a scrivere Schelling, nella musica dei Blut Aus Nord. La trascendenza lirica del gruppo d'oltralpe a firma Memoria Vetusta I: Fathers of the Icy Age risiede, in altri termini, proprio in questo: mentre il sorgente movimento black metal di Bergen e Oslo aveva un rapporto manicheo di antagonismo/reverenza nei confronti della Natura, di tesi ed antitesi, pena la sopravvivenza del genere umano, il combo francese, per converso, dilata la propria prospettiva narrativa andando a dipingere l'uomo non più solo entro il proprio mondo terreno ed abitato, ma entro l'Universo intero, il quale non è in opposizione, bensì racchiude apaticamente, entro spazi e tempi infiniti ed inaccessibili alla ragione, la presenza umana, la quale, in questo affresco di vuota immensità, è appena appena visibile, pallida e sfumata in controluce, senza alcuna voce in capitolo circa l'immutabilità e l'arcano fine ultimo di tale palcoscenico. L'Universo fisico, ma anche l'infinito filosofico, nei Blut Aus Nord, in altre parole, è un assoluto ontologicamente irraggiungibile, come in Fichte o Kafka, dominato dalla non intelligibilità e dall'ermetismo.
Il futuro del gruppo sarà poi cosa nota. L'atmosfera e il misticismo delle prime composizioni lasceranno il posto, per larga parte, a successivi segni musicali più industrial e sintetici, a partire da quell'alienante capolavoro che corrisponde al nome di The Work Which Transforms God, per poi giungere alla propria, perfetta sintesi nella trilogia sciaradica di più recente memoria. Eppure, nel mezzo, un altro magnificente sigillo discografico, dalle titaniche fattezze, si condenserà, al pari di una supernova, dall'oscurità del cosmo, come continuazione concettuale del presente album. Ad ogni modo, l'album oggetto d'odierna analisi ha lasciato un'eredità musicale pesantissima, spesso sottostimata. Invero, il parallelo artistico e stilistico con il coevo Minas Morgul dei Summoning è necessario e d'obbligo, pur tenendo ben presente le diverse concezioni di principio ed escatologiche di entrambe le opere. Eppure, band come Darkspace, Lunar Aurora, Paysage d'Hiver, e molte altre che battono lidi a cavallo tra il black metal e l'ambient, non sarebbero quello che sono poi diventate senza Memoria Vestusta I: Fathers of the Icy Age. In definitiva, c'è poco altro da statuire: Memoria Vetusta I dei Blut Aus Nord è uno fra gli album più intelligenti e seminali, per tempistiche ed originalità, della storia del black metal.
Dimenticate visi, emozioni, religioni, idoli. Deumanizzatevi. Esiste solo un maestoso silenzio, ora. E i Blut Aus Nord gli danno voce: ecco il suono dell'Universo. Il suo moto, la sua circolarità, la Morte... e noi, le sue ceneri.
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