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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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23/04/2016
( 5619 letture )
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Dove eravamo rimasti? Questo si chiedevano gli appassionati dei Deep Purple, quando nel 2003 uscì Bananas, a ben cinque anni di distanza dal precedente Abandon; mai c’era stata una distanza così ampia fra un album e l’altro dello storico gruppo inglese, se si esclude, ovviamente, lo scioglimento temporaneo fra il 1976 e il 1984. Ma questo probabilmente si chiedeva la band stessa, dato che in questi cinque anni molte cose erano cambiate: prima di tutto, non c’era più lo storico organista Jon Lord, ritiratosi in una “dorata pensione” che purtroppo riuscirà a godersi solamente per pochi anni. Al suo posto, un altro veterano di mille battaglie, Don Airey, il quale imprimerà subito il suo personalissimo stile. Egli infatti porta in dote sia un timbro e uno stile di Hammond riconoscibilissimo e ben diverso dall’inimitabile predecessore, sia un ventaglio ed una varietà di suoni che mai si erano viste, sinora, in un disco dei Purple. Se infatti già l’avvicendamento fra Blackmore e Morse aveva mutato in modo importante, come è logico, lo stile del gruppo, il venir meno dell’altro membro storico, unitamente alla necessaria limitazione di Gillan, costretto suo malgrado a basare le linee vocali sui suoi limiti di voce attuali, ha fatto sì che i Deep Purple del 2003 sono influenzati dai nuovi spunti di Morse e Airey tanto quanto dalle esperienze storiche. C’è una chiarissima volontà di cambiamento: se Abandon era stato l’ultimo grido di battaglia dei Deep Purple versione hard, desiderosi di confrontarsi alla pari con le giovani leve, Bananas è il primo disco nel quale la band decide consciamente di puntare, almeno in parte, sulla propria indiscussa classe esecutiva piuttosto che sull’impatto e sull’aggressività. Come dire: magari siamo anche vecchi, ma provateci voi a suonare così. Lo stesso titolo, derivante dalla locuzione inglese “gone bananas”, che vuol dire più o meno “uscito di testa”, è un chiaro sintomo della volontà di cambiare le carte in tavola. Infine, da non trascurare l’apporto del produttore: per la prima volta dai tempi di The Battle Rages On, la band si affida ad un produttore esterno, Michael Bradford, il quale darà un importante contributo anche in fase di composizione ed arrangiamento.
Giustamente, ad aprire le danze, la band sceglie il brano che più richiama lo stile classico, in modo che il pubblico di appassionati non sia subito colto di sorpresa: House of Pain sembra a prima vista presa pari pari dalle session di Fireball o Machine Head, se non fosse per la strepitosa interazione Morse-Airey del break centrale, assolutamente esplosiva. Ma sin dalla seconda traccia, Sun Goes Down, sperimentale e quasi psichedelica nel suo ritmo ipnotico, si capisce che il gruppo vuole sperimentare, e non limitarsi al canovaccio usuale. E l’esperimento non esce niente male. A livello di sorpresa però, nulla è come Haunted, una dolcissima ballata con la linea melodica più accessibile mai proposta dai Purple; se si vuole capire come scrivere una ballad senza risultare stucchevolmente sdolcinati, ecco un semplice e riuscito riassunto in quattro minuti. Il funky rock tirato di Razzle Dazzle prepara la strada a Silver Tongue, altro pezzo più che degno dei Deep Purple dei tempi d’oro, ma caratterizzato piacevolmente dallo stile dei nuovi arrivati. Da rimarcare anche l’apporto vocale di Gillan, qui particolarmente a suo agio; il treno ritmico Paice-Glover è poi la solita garanzia assoluta. Sono però i pezzi più sperimentali, e apparentemente alieni dalla tradizione del gruppo, a stupire gli appassionati: il torrido e cupo blues di Walk On (composta da Gillan e Bradford), il progressive puro della title track, palestra ottimale per le esibizioni strumentali dei cinque (di fronte alle quali anche un buon musicista inizia seriamente a pensare di cambiare mestiere…), la commovente strumentale Contact Lost, dedicata alla tragedia dello Shuttle Columbia. Come se non bastasse, i Purple decidono anche di “riciclare” e dare nuova vita a pezzi già composti con Lord, sebbene mai pubblicati: ed ecco che sia Picture of Innocence sia I Got A Number vedono finalmente la luce; per fortuna, perché si tratta in entrambi i casi di pezzi riuscitissimi.
Giunti alla fine, si capisce bene l’importanza di questo disco: non è in sé un capolavoro assoluto, ma è il primo vero disco dei Deep Purple attuali. Un gruppo, cioè, che non ha più nulla da dimostrare e non si accontenta di portare in giro sui palchi di tutto il mondo i suoi pezzi storici; al contrario, si è reinventato creando un nuovo stile, con nuovi membri, e non ha paura di sfidare le giovani band sul piano della composizione, degli arrangiamenti, della bravura compositiva ed esecutiva. Sapendo di poterlo fare e di riuscire spesso a risultare vincente. Questi sono i Deep Purple del nuovo millennio, quelli di oggi: prendere o lasciare. Molti, infatti, hanno lasciato ed in parte è logico: se vi aspettate di trovare qui la band di Machine Head o di Perfect Strangers, ne siamo ben lontani. Ma fra quelli che hanno dato fiducia anche alla band così com’è ora, ve ne sono molti che considerano questo disco, e quelli che seguiranno, assolutamente degni di stare a fianco ai capolavori storici. Non male, per una band sulla breccia da 48 anni, no?
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14
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Ho appena finito di riascoltarlo dopo un sacco di tempo. Non ben accolto già il giorno della sua uscita, ma per me più o meno sempre allo stesso livello degli album dell’era Morse, magari non il migliore. Qualche pezzo non decolla (come sempre da 25 anni), ma altri come I Got Your Number, House of Pain o la simpatica Razzle Dazzle meritano assolutamente l’ascolto. Voto 78 |
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13
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anche i grandi a volte steccano......l ' album piu' insulso dei Purple.........I GOT THE NUMBER unico brano degno di nota che riporta ai vecchi fasti |
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12
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NEVER A WORD STREPITOSA E COMMOVENTE...ALBUME PAZZESCO! |
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11
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La copertina più bella di tutti i tempi |
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10
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Al di là della loro diversità trovo Bananas e Purpendicular sullo stesso livello. Superiore considero Now What?! mentre inferiori considero prima Abandon e poi Rapture of the Deep (ne verrebbe fuori un bel disco solo mettendo insieme le loro parti migliori) |
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9
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buon album con I got your number e contact lost strepitose. per me il voto è 70. anche per me dell'era Morse il migliore resta purpendicular e di poco sotto ci metto Rapture of the deep. |
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8
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il mio preferito dell'era Morse insieme a perpendicular. Secondo me è sottovalutato, mentre trovo pallosissimo Abandon. |
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7
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Visti durante il tour di supporto al album, nel mitico concerto di Sarroch quanti ricordi! Gillan ancora più che dignitoso all'epoca.. |
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6
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Copertina e titolo a parte per me uno dei migliori album tra quelli con Steve Morse. E Don Airey non può essere certamente definito un rincalzo. House of pain, Sun goes down, Haunted con la divina Beth Hart, il bleus di Walk on sono brani eccellenti. Razzle dazzle e Bananas spingono sull'acceleratore. |
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5
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La recensione è troppo un buona secondo me, ma avverto che ciò è portato dal rispetto, e quindi tutto sommato la condivido. Il disco è trascurabile e di rodaggio. Il successivo Rapture of The Deep è tutt'altra cosa a mio parere, e può contare su almeno 4/5 canzoni bellissime (money talks e la title-track su tutte) che su bananas mancano essendo composto, per me, solo da fiiller. Non condivido il parere su now what dell'amico Undercover che reputo un album di gran classe e soprattutto libero. |
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4
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Come si dice in questi casi, "Disco di mestiere"? Ecco per me questo è un disco di mestiere, con qualche pezzo veramente bello e altri meno. Nel complesso raggiunge una sufficienza piena ma oltre non va... Poi ovvio magari messo a confronto con la merda che esce ora (non tutta ovviamente eh) è quasi un capolavoro... |
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3
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Disco senza infamia e senza lode .... voto 6 - |
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2
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Il disco non ce l'ho,ma sicuramente il titolo più scemo lo vince sicuramente... Cazzo vuol dire bananas?? Ah ah!! |
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Lo stavo riascoltando giusto oggi, un capitolo definibile minore in una discografia vasta e ricca di lavori di qualità altissima qual è quella dei Deep Purple, qualche episodio divertente, altri un po' meno, ma nel complesso mi è piaciuto più di "Now What?!", mentre ritengo sia inferiore, seppur di poco, al molto criticato "Abandon". |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. House of Pain 2. Sun Goes Down 3. Haunted 4. Razzle Dazzle 5. Silver Tongue 6. Walk On 7. Picture of Innocence 8. I Got Your Number 9. Never a Word 10. Bananas 11. Doing It Tonight 12. Contact Lost
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Line Up
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Ian Gillan (Voce) Steve Morse (Chitarra) Don Airey (Tastiera) Roger Glover (Basso) Ian Paice (Batteria)
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