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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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27/07/2019
( 2288 letture )
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Quando parliamo di power metal, tra i nomi di spicco inerenti ad esso dovrebbe essere vietato per legge non nominare i Running Wild di Rolf Kasparek, colui che ancora da bambino ricevette il buffo quanto iconico soprannome di "Rock’n Rolf". Sebbene essi non nacquero come gruppo prettamente power -i loro esordi sono un rozzo insieme di heavy e proto-thrash-, lo diventarono ben presto, precisamente nel 1987 con l’uscita di Under Jolly Roger e da allora le potenzialità vincenti sgorgarono in enorme quantità e travolsero tutti. Il decennio che attraversa gli anni '90 è stato sicuramente il più fruttuoso per loro, sia per quel che riguarda la fama sia per il valore intrinseco delle loro uscite, e questa settimana ci occupiamo proprio dell’ultimo atto di questo lasso temporale e al tempo stesso il primo del nuovo millennio, ovverosia Victory. Si tratta dell’ultimo tassello della trilogia incentrata sui valori etici fortemente voluta da Rolf e iniziata con Masquerade, trilogia che vede all’opera la stessa identica formazione ad esclusione del batterista, attorno a cui aleggia una leggenda legata allo pseudonimo di tale Angelo Sasso, nome fittizio presente nel booklet che potrebbe simboleggiare o una persona esterna che intendeva rimanere anonima (versione "ufficiale") oppure coprire la simbolica presenza di una drum machine, come le "malelingue" solevano dire. Poco importa ai nostri fini, più importante andare a parlare di ciò che l’ascoltatore potrà assaporare all’interno del dodicesimo album della carriera dei Running Wild.
Pleonastico, superfluo, quasi inutile soffermarsi sul genere musicale proposto. Il grafico raffigurante variazioni a livello di sound segna linea piatta per praticamente l’intero periodo di attività (ad esclusione dei primi due lavori, come già ricordato); al contrario, quello della qualità non presenta la stessa linearità sebbene con Victory ci troviamo assolutamente ai piani alti. La line up, a parte il mastermind, prevedeva Thilo Hermann all’altra sei corde, un trentenne con esperienza non esagerata ma ottime potenzialità, il quale resisterà comunque per sette anni nella polveriera (si sa che Rock’n Rolf, assieme a MegaDave, è l’equivalente di Zamparini nel calcio per soggetti silurati) e Thomas Smuszynski al basso, in arte Bodo, costui invece già al cospetto del grande Udo e di Axel Rudi Pell prima di appropinquarsi a bordo del vascello nel 1992. Il disco, diciamolo senza indugi o altre attese, è molto bello! Perdonate la banalità appena scritta, ma delle volte non occorrono tanti arzigogoli letterari o fare finta di essere maestri di retorica per esprimere quell’insieme di emozioni scaturenti da un prodotto semplice ma ingegnato e realizzato in maniera professionale, contenente melodie e passaggi che al primo ascolto ti mettono in guardia ammonendoti con un perentorio quanto metaforico "noi non siamo come gli altri, siamo gli originali". Proprio come Victory e l’iniziale Fall of Dorkas, il miglior inizio d’album possibile: la regalità fatta canzone, che narra della caduta del misterioso e malefico cancelliere Dorkas mettendo in campo un arsenale da guerra di tutto rispetto permettendoci di familiarizzare col mood non certo solare del platter. Ma il gioiellino vero e proprio è dietro l’angolo e si intitola When Time Runs Out, cavalcata heavy dal retrogusto maideniano che fa sognare ad occhi aperti con un ottimo assolo del leader a metà brano. Non riscontriamo la presenza di filler veri e propri fino alla decima traccia, bensì abbiamo due episodi al di sotto della media, ovvero Into the Fire e The Guardian. Per il resto l’asticella è posta in alto: con Timeriders si inizia a pestare, il mitico Angelo Sasso fa senza dubbio un lavoro certosino dietro le pelli, e il ritornello ci fa letteralmente volare sulle stelle con la voce di Rolf a dirigere l’ensemble. L’epicità si raggiunge però con l’attacco di Tsar e un salto all’indietro per ripassare l’epoca pre-bolscevica è d’obbligo, se non per rivalutarla almeno per rendere tributo ad una delle figure più affascinanti che la nostra Storia abbia mai partorito. Musicalmente, la composizione è ai limiti della perfezione e sta al primo posto con elevato distacco sul secondo nella graduatoria di Victory. Dallo Zar al cavaliere ussaro è un attimo, ecco che la travolgente carica di The Hussar irrompe e aggiunge un altro tassello storico alla rassegna musicale, non mancando di impreziosire il tutto con il solito buongusto e attenzione per i dettagli. Le ultime canzoni non aggiungono un granché a quanto già affermato, da segnalare giusto la divertente cover dei Beatles, fatta rendere al meglio su ritmi sostenuti.
Ricapitolando, Victory è una sicurezza per ogni devoto amante di adrenalina, suoni pesanti e tematiche che spaziano tra storia e mito. Diciannove anni dopo, i Nostri sono ancora qui e, nonostante i fasti del passato sembrino ormai uno sbiadito ricordo, vanno avanti (o per meglio dire, Kasparek va avanti) con la stessa passione e la stessa coerenza di un tempo, con gli stessi ideali e gli stessi canoni che gli hanno permesso di fare la Storia del Metal. Ammirevoli.
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5
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Un buon album, per me l'ultimo degno di acquisto senza preascolto. E' davvero un peccato che siano finiti nel dimenticatoio, fino qui avevano tirato fuori davvero dei buoni dischi.. |
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4
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Non è un album pessimo però manca di consistenza e soprattutto grinta, anche nel sound, come ci aveva da sempre abituati il buon Rolf. Sound moscio insomma e quella penosa drum machine che penalizza tantissimo la produzione, se penso che dietro le pelli c'era quel mostro di Jorg Michael.. Nonostante tutto ci sono un po' affezionato a questo disco perchè in quell'anno li vidi a Vigevano per il loro primo show in assoluto in Italia, però a mio parere l'ultimo grande album della band è The Rivalry. A questo do un 65 di stima. |
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3
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Secondo me è l'inizio della fine dei Running Wild...peccato...lo presi alla sua uscita e l'ho trovato subito noioso e monotono. Angelo Sasso è molto probabilmente una drum machine... |
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2
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Album discreto, sono indeciso se considerarlo l’ultimo album degno di nota dei Running Wild oppure il primo di quelli trascurabili. Ciò in virtù della presenza da una parte di pezzi splendidi che ne giustificano l’ascolto (come Fall of Dorkas, Tsar e la bellissima title-track), mentre dall’altra il numero di fillers comincia a pesare un po’ troppo. Senza voler scomodare lo storico trittico ottantiano Under Jolly Roger/Port Royal/Death or Glory, Victory rimane a mio avviso l’album meno riuscito degli anni novanta e lascia già intravedere la crisi che porterà al breve split del 2009, anche se -ripeto- pezzi degni di nota ce ne sono anche qui. Voto 75 |
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1
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L'ultimo album veramente bello dei Running Wild, a mio parere. Se non fosse per la drum machine messa così in evidenza gli darei anche qualche punto in più. Pezzi come Tsar, The Hussar e la Titletrack sono lì a dimostrare la grandezza di questo grande, e purtroppo ultimo album degno di nota.. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Fall of Dorkas 2. When Time Runs Out 3. Timeriders 4. Into the Fire 5. Revolution (Beatles cover) 6. The final Waltz 7. Tsar 8. The Hussar 9. The Guardian 10. Return of the Gods 11. Silent Killer 12. Victory
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Line Up
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Rolf Kasparek (Voce, Chitarra) Thilo Hermann (Chitarra) Thomas Smuszynski (Basso) Angelo Sasso (Batteria)
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