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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Running Wild - The Brotherhood
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29/04/2023
( 1658 letture )
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Dodicesimo album in studio per i Running Wild, storica band di Amburgo fondata nel lontano 1976 da Rolf Kasparek, capace di regalare album di heavy e power metal dai forti tratti pirateschi nelle ambientazioni e nelle liriche tanto da guadagnare per decenni uno spazio di assoluto rilievo nella scena teutonica e non solo. Questo The Brotherhood, uscito nel 2002 su Gun Records, fu accolto da pareri contrastanti, da un lato supportato e apprezzato dai defender immarcescibili di Rock N’Rolf, dall’altro criticato per certi limiti a livello di ispirazione, songwriting e produzione. Chiaramente lontano dai capolavori ottantiani della band quali Under Jolly Roger (1987), Port Royal (1988) e Death or Glory (1989), ma anche da ottimi lavori usciti nei primi anni Novanta come Blazon Stone (1991), Pile of Skulls (1992) e l’immenso Black Hand Inn (1994), il lavoro in questione va oggettivamente considerato come il primo passo falso della discografia dei Running Wild. Se infatti con The Rivalry (1998) e Victory (2000) la vena compositiva di Kasparek aveva iniziato a far percepire alcuni segnali di decadenza, questo The Brotherhood presenta ben più ombre che luci.
Dieci pezzi per quasi un’ora di musica interamente composta e arrangiata da Rock N’Rolf, trovatosi praticamente a lavorare ed eseguire l’intero lavoro in studio in solitaria, con il solo Peter Pichl al basso e la drum machine con pseudonimo Angelo Sasso. E’ stato triste vedere Kasparek chiuso in sé stesso e –forte di un ego sproporzionato– convinto di potersela cavare da solo, sottostimando di fatto il contributo chiave che ottimi musicisti come Majk Moti (RIP), Thilo Hermann, Jens Becker, Thomas Smuszynski, Stefan Schwartzmann, Iain Finlay e Jorg Michael, solo per citare i principali membri dei Running Wild negli anni, hanno saputo portare alla band di Amburgo nei capitoli migliori della vasta discografia. Registrato nella seconda metà del 2001 e uscito ad inizio 2002, The Brotherhood è un lavoro sostanzialmente statico e privo musicalmente di quegli slanci power alternati a mid tempos granitici e a storie di fascino, conquiste e battaglie piratesche che hanno contraddistinto i capolavori della band. Un disco di maniera, che raggiunge la sufficienza solo grazie a pochi episodi che permettono di rinvigorire l’ascoltatore come la piacevole e tirata titletrack, la strumentale Siberian Winter in cui i cambi di atmosfera e i duelli chitarristici fanno ricordare alcuni episodi della band di fine anni Ottanta, e soprattutto l’inno Pirate Song, breve, trascinante, coinvolgente nel suo andamento catchy e nel refrain in pieno stile Running Wild, persino autocelebrativa e capace di richiamare a tratti le sfuriate di brani come Conquistadores e The Privateer. Pochi momenti che confermano come Rock N’Rolf abbia sostanzialmente perso l’occasione di far proseguire la discografia della band sui livelli a cui ci aveva egregiamente abituato in precedenza. Troppi infatti i brani scontati, banali, quasi irritanti, in cui Kasparek gioca quasi a fare gli AC/DC in versione metallizzata con risultati davvero poco edificanti, si pensi a pezzi come Detonator, Unation o Dr. Horror (quest’ultima con un drumming penoso), brani in cui peraltro si avverte anche un palese calo a livello vocale. Lavoro appiattito da una produzione scadente e da una drum machine davvero orribile specialmente a livello di rullante, con charleston e piatti praticamente assenti. Altro che Jorg Michael e Stefan Schwartzmann! Sufficiente risulta invece la lunga e conclusiva The Ghost, dai tratti arabeggianti e il cui testo narra le vicende dell’archeologo e diplomatico Thomas Edward Lawrence durante la Prima Guerra Mondiale; purtroppo, anche in questo frangente il sound di batteria finisce per rendere fastidiosi davvero troppi momenti del brano in questione, come per l’intero album.
The Brotherhood apre un capitolo oscuro della discografia dei Running Wild, sempre più progetto solista di Rock N’Rolf privo di una vera e propria band e in preda a una astinenza compositiva e qualitativa che vede forse i momenti più bassi con i successivi Rogues en Vogue (2005), Shadowmaker (2012) e Resilient (2013), per riprendersi parzialmente solo con gli ultimi due episodi Rapid Foray (2016) e Blood on Blood (2021). Album questi capaci di far tornare i Running Wild su livelli quantomeno discreti e con l’impressione di esecuzione da parte di una vera e propria band come mancava da anni, anche se lontani dalle stilettate power di lavori immarcescibili usciti tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta. Atmosfere meravigliosamente piratesche, epiche e metalliche mai più eguagliate in seguito.
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8
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Ah il grande Angelo Sasso, uno dei migliori drummer della storia. Album gradevole. 65 |
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7
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75. Di facile ascolto e potente. Promuovo anche il successivo Live e Rogues. Poi basta |
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6
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Da qui in poi discografia abbastanza trascurabile. Rock’n’rolf è stato sempre il principale compositore della (sua) band; fino a Blazon Stone gli altri membri comunque collaboravano, da Pile of Skulls in poi il 99% di quanto pubblicato invece è solo roba sua. Fino a The Rivalry ha tenuto botta alla grande anche da solo, poi la birra (o il rum) sono finiti, anche se il precedente Victory si salva ancora. Qui qualche sprazzo buono c’è, penso alla title-track o a Pirate Song. Il resto è anonimo e quando vuole fare roba più hardrockeggiante anche bruttino. Alzo comunque il voto a 72, perché alla fine sono stati miei idoli adolescenziali e perché, per come la vedo io, tutto quello fatto successivamente è pure peggio (tranne forse Rapid Foray e l’ep Crossing the Blades perché dura 20 minuti). |
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5
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Inizio del periodo scadente per i Running Wild con questo album, si riprendono solo dopo quasi 20 anni con gli ultimi due. |
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4
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Leggo la recensione e vedo il voto… 60!!!
Penso: “ma come è possibile, ma davvero The Brotherhood faceva così cagare!!??”
Ho amato i Running Wild e credevo che il declino fosse iniziato con Rogues en Vogue, ma ricordavo male.
L’ho riascoltato per intero poco fa, da sobrio, e devo dire che è un disco veramente mediocre, a partire dal fatto che a questi livelli non puoi presentare una Drum Machine, non stiamo parlando dei primi sbarbatelli tedeschi che non hanno trovato il batterista con gli annunci in bacheca, ma di una band che ha fatto storia.
Povero TT Poison, qui si era già bevuto il cervello con il rum.
Come Rosenberg sottolinea un paio di episodi gradevoli ci sono, ma siamo alla deriva.
Il mio voto si assesta su un 64 di stima per quello che il capitano TT Poison mi ha regalato nel corso degli anni precedenti.
Da qui in poi dischi inascoltabili.
Nel 2021 per esempio, i cloni Blazon Stone con il loro Damnetion hanno demolito il maestro su tutti i fronti, ispirazione, canzoni, produzione e copertina… provate ad ascoltare e fate il confronto |
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3
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Olio Cuore, Drum Machine |
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2
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A me sono sempre piaciuti. A volte ripetitivi ma riconoscibili sia dalla voce che per i riff. Per chi non lo sapesse, il batterista è nipote del fondatore di un famoso olio italiano che viene venduto in una grossa latta verde. |
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1
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Praticamente da questo momento la band inizia ad essere un progetto solista di Rock N’Rolf. Recensione condivisibile come il voto appena sufficiente. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Welcome to Hell 2. Souldtrippers 3. The Brotherhood 4. Crossfire 5. Siberian Winter 6. Detonator 7. Pirate Song 8. Unation 9. Dr. Horror 10. The Ghost
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Line Up
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Rock N’ Rolf Kasparek (Voce, Chitarra) Peter Pichl (Basso) Angelo Sasso (Batteria)
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