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07/02/25
LITTLE TIL AND THE GANGBUSTERS
CIRCOLO MAGNOLIA, VIA CIRCONVALLAZIONE IDROSCALO 41 SEGRATE (MI)
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Deicide - Till Death Do Us Part
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( 8003 letture )
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Sulla scrivania fa bella mostra di se una meravigliosa MARIA MADDALENA. Sognante, quasi sconsolata, ella rivolge lo sguardo alla FIAMMELLA paglierina che si allunga dal ligneo desco; sulle ginocchia, tra le morbide cosce, il TESCHIO. Spesso la osservo, immaginandomi ora FIAMMA, ora CRANIO, senza logico discrimine. Delle volte vorrei rapirla con il mio calore, il mio bagliore, la mia impalpabile essenza, seppure conscio di non poterla avvicinare senza ch’ella provi dolore per gli sfregi indelebili; talvolta invece mi accontenterei di un’esamine vicinanza alle sue seducenti virtù, quand’anche ella, ignorando la spoglia, sia comunque, sempre volta verso il tepore dell’irraggiungibile vampa. FIAMMA o TESCHIO? Dilemma! Il case del nuovo DEICIDE è per me una palla di vetro: la seducente MARIA MADDALENA sembra donarsi al sedicente TESCHIO, ma pare altresì spaventata; terrorizzata per l’inganno di un amante che la condurrà alla maledizione eterna. Pensieri, maledetti pensieri.
Come da tradizione, l’ennesima fatica di Glen Benton e soci non risparmia espliciti richiami iconografici, anche se a differenza del passato (remoto e prossimo) si dimostra quantomeno più metaforica e meno (stupidamente) diretta; l’artwork stesso mi ha da subito incuriosito condizionando “propositivamente” il primo approccio all’ascolto, di per se già incoraggiato dall’aspettativa di vedere confermata la strada aperta dal predecessore. THE STENCH OF REDEMPTION, contro ogni più rosea aspettativa, ha infatti riconsegnato alla scena BRUTAL DEATH una delle band seminali più importanti, riscattando l’ignominia del primo lustro del secondo millennio (INSINERATEHYMN, IN TORMENT IN HELL e tutto sommato anche SCARS OF THE CRUCIFIX) con un cambio di rotta davvero impensabile guidato da un rinnovato modo di comporre e da un lavoro chitarristico di gran classe prodotto dalla coppia Santolla/Owen (che gli Hoffman potevano solo sognare). TILL DEATH DO US PART arriva per l’appunto quando la scia di questo successo non si è ancora esaurita e l’aspettativa è quindi altissima.
THE BEGINNING OF THE END sembra spalancare la “porta d’accesso” a questo rinnovato spirito classico, in cui melodia e riffoni monolitici si fondono galleggiando meravigliosamente sul tappeto dei mid-tempos macinati da Asheim. Si percepisce, chiara, la funzione di questi primi tre minuti introduttivi volti a creare un progressivo incremento di tensione che si fa sempre più “elettrizzante” con l’intensificarsi della complessità dell’assolo e l’incattivirsi della ritmica a suo supporto. HEAVY METAL signori: quello duro, quello dei nostri fratelli maggiori; che bellezza! Lo stridere delle chitarre chiama attenzione; la quiete prima della tempesta: ecco la titletrack partire interlocutoria con una progressione tranquilla, che ben si lega al precedente prologo; il profondo ruggito di Benton scalda l’ambiente, accompagnato a distanza di un nulla dal solito screaming delirante ed assatanato. Pochi secondi per svelare d’un colpo l’inganno iniziale e sbatterci in faccia la citata “porta d’accesso”: l’album, da qui in poi (e cioè da subito) si rivela una vera mazzata sui denti che prescinde dagli abbellimenti estetici presenti in THE STENCH OF REDEMPTION, senza però svuotarsi di contenuti interessanti. Il ripensamento stilistico è comunque molto evidente e credo possa solo in parte essere accreditato alla rinuncia di Ralph Santolla di prendere parte stabilmente al progetto DEICIDE; a tal proposito il folletto americano (recentemente unitosi agli OBITUARY) compare nelle credenziali come solo session-man, lasciando intuire una partecipazione meramente operativa e dunque priva di “responsabilità” creative che tuttavia sono sempre ricadute, per quanto concerne la parte strumentale, principalmente sul drummer Asheim. TILL DEATH DO US PART (brano) è comunque piacevole e coinvolgente.
Prima di portare a compimento la “spiega” delle singole track bisogna che si facciano delle precisazioni: dal punto di vista logico TILL DEATH DO US PART (album) è un passo (indietro?) nella direzione di una più marcata tendenza BRUTAL; è sicuramente meno originale del predecessore, di cui paga oltretutto la riconosciuta grandezza, ma d’altro canto è piacevole, almeno a tratti, tanto quanto gli episodi iniziali (DEICIDE e LEGION); è, con altrettanta certezza, un album meno scenografico di THE STENCH OF REDEMPTION poiché depurato, nell’impatto come nell’efficacia, di quell’enfasi chitarristica che aveva la più alta espressione nelle ispirate solo-lines della nuova coppia, ma di contro risulta più articolato e strutturato dell’intera, rimanente discografia; è un album che mostra la buona abilità esecutiva dei musicisti (soprattutto quella di Asheim e Owen -su Santolla è inutile dilungarsi-), senza scivolare in superflui ed inopportuni egocentrismi autocelebrativi (giusto la solista si sollazza in un paio di interventi esagerati e piuttosto goffi); infine è violento, maligno, dissacrante, proprio come deve essere un album dei DEICIDE.
A livello espressivo in TILL DEATH DO US PART ritroviamo tutte le caratteristiche tipiche del moniker: i brani tornano a garantire alle vocals l’assoluta, rivendicata predominanza che Glen Benton non fatica a fare sua con il consueto utilizzo dei due cantati che lo hanno reso celebre: il growling, gutturale e profondissimo, e lo screaming, tiratissimo e perfino innaturale; nonostante tale doppiezza la linea vocale risulta però assai piatta e ricorsiva: il continuo ripetersi dell’alternanza growling/screaming si fa alla lunga molto noioso e gli unici istanti con un po’ di volume sono quelli in cui si rafforza lo spessore armonico con la sovraincisione dei due registri. La versificazione delle lyrics peggiora poi la situazione dato che per tutti i 45 minuti di ascolto il cantato replica la sempre uguale struttura metrica fatta di frasi corte e riproposte, all’interno del singolo brano, fino alla nausea; a parziale scusante (o giustificazione) va sottolineato che in questo modo l’attacco è davvero molto mirato e brutale e dunque gradevole per i sostenitori più accaniti (dei quali dimostro di non far parte). La prova di Benton al basso è, come sempre, di scarso livello e di poco merito all’interno dell’economia complessiva dell’insieme strumentale. Punto forza del lavoro è invece il percuotere le pelli di Asheim: velocissimo e preciso nei frequenti blast-beat, non si limita alla ricerca dell’ipervelocità (raggiunta) aggiungendo nei punti di interconnessione tra i riff una buona dose di pregevoli rullate; mostruoso l’uso dei pedali nei mid-tempos. Prova che lo conferma batterista di buon livello. Ultima nota di sintesi riguardante le chitarre: l’impatto generale non si discute, ricco tanto di tempi scorrevoli, quanto di stoppati arrabbiatissimi; ciò che paga TILL DEATH DO US PART è, come già detto in precedenza, una costruzione degli assoli mediamente meno originale ed articolata rispetto al limitrofo THE STENCH OF REDEMPTION; la tecnica si basa ora sull’esecuzione, rapidissima e sempre fluida, di opportune ma impersonali scale tonali (ascendenti o discendenti che siano) tralasciando, per la maggiore, la trascrizione di melodie a vita propria da cucire sulle fondamenta prodotte dalle linee ritmiche; gli episodi di buon livello non mancano (IN THE EYES OF GOD, NOT AS LONG AS WE BOTH SHALL LIVE, HORROR IN THE HALLS OF STONE per fare degli esempi), ma si è persa per strada la costante ispirazione che aveva fatto gridare al miracolo. A riguardo dimenticatevi comunque la banalità insopportabile degli interventi “comparsati” degli ultimi fratelli Hoffman.
Fatta chiarezza riprendiamo la “narrazione” del disco. HATE OF ALL HATREDS è velocissima e praticamente tutta in blast-beat; soffre la cantilena del cantato e non rimarrà certo nella storia del gruppo, pur senza sfigurare eccessivamente. IN THE EYES OF GOD è invece uno dei brani più riusciti: l’iniziale “caciarosa” esplosione ipervelocistica viene subito “silenziata” da un bel “tempo medio” su cui i piedi di Asheim trovano sfogo per poi agganciarsi al ritornello, deciso e feroce. Nelle impunture salgono alte le grida di un Benton in preda al delirio mefistofelico; l’assolo finale, segnatevelo, fa parte di quelli da ascrivere all’eredità di THE STENCH OF REDEMPTION. WORTHLESS MISERY inverte la logica ritmica di IN THE EYES OF GOD alternando in modo antitetico il progredire con strofe e ganci tirati e refrain più tranquillo. Particolare l’utilizzo della chitarra nel gancio (utilizzato anche da sottofondo nell’assolo). Il ritornello è anch’esso vocalmente monotòno, ma questa volta riuscito ed estremamente gradevole. SEVERED TIES è una WORTHLESS MISERY meno valida e più noiosa, seppure molto energica: unico vero pollice verso. Bellissima la settima NOT AS LONG AS WE BOTH SHALL LIVE; è forse il brano più lento e “riflessivo”, senza prescindere dai consueti attacchi, per l’occasione più limitati cronometricamente; notevole lo scambio tra le soliste di Owen e Santolla fatto di intrecci tra sbrodolate tonali e melodie artefatte, tra tempi incalzanti e tempi blandi. Chiusura in crescendo che la sembra voler scientemente collegare alla successiva ANGEL OF AGONY che estremizza il songwriting riportandolo ai canoni tipici delle storiche release dei primi anni ’90; il segreto è semplificare l’architettura per ottenere un feeling diretto ed immediatamente assimilabile, che fa della canzone in questione qualcosa di più che un semplice riempitivo. Agghiacciante la combinazione verticale tra il growling ed uno screaming dalla timbrica gracchiante (sullo stile PAGAN BLACK) posizionato intorno al primo minuto e mezzo di run e successivamente riproposto a cavallo del terzo. Altro centro con HORROR IN THE HALLS OF STONE che comincia con uno straziante lamento, per progredire poi con una mistione molto eclettica degli elementi caratterizzanti l’intero TILL DEATH DO US PART. La melodia trainante è tagliente così come lancinanti sono le accelerazioni per un’intensità mai alleggerita in tutti i sei minuti costituendi la traccia. Con l’outro THE END OF THE BEGINNING l’intenzione dei DEICIDE è ora chiara e facilmente desumibile: ordinalmente e concettualmente simmetrici a THE BEGINNING OF THE END, questi quasi due minuti finali chiudono l’ultima fatica piena con un disordinato tripudio di veemenza, a sottolineare la finalità “traghettatoria” delle varie tappe di TILL DEATH DO US PART.
Insomma… i DEICIDE, seppure in modo differente dal recente passato, hanno firmato un’altra buona prova che non posso che consigliare a tutti coloro che amano il METAL estremo. Chi ha detto (io lo so chi, mannaggia) che, se diverso da THE STENCH OF REDEMPTION, TILL DEATH DO US PART deve per forza essere considerato mediocre? Io stesso, abituato a sonorità ben più pacate ed atmosferiche, non posso esimermi dal possedere una copia originale del CD in questione che dunque caldeggio; colgo l’occasione per comunicare che saranno a breve disponibili, a beneficio dei più “grezzi”, anche numerose versioni in vinile colorato: a condizione di possedere una piastra, è questa la scelta giusta.
Se siete pazientemente arrivati sin qui vorrete a questo punto sapere che fine ha fatto l’avvenente MARIA MADDALENA che galleggiava nei miei pensieri. Il futuro è indubbio: ella stringerà sul ludico grembo molti lussuriosi TESCHI ai quali, per terrore, non saprà rifiutarsi continuando, incessantemente, a desiderare l’unica, ardente FIAMMA con cui non potrà comunque mai saziarsi. L’insegnamento dei DEICIDE di TILL DEATH DO US PART è per me un’altra palla di vetro: meglio un subitaneo piacere carnale di una sterile, eterna attesa. E sia: TESCHIO.
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16
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Questo disco ha lo stesso voto di Serpent of the light, ci rendiamo conto???
Allora cosa dovremo dare al sopracitato??? |
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15
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Non ci siamo, qua hanno giocato di mestiere ma non sempre questo paga...voto 55/100.....la seconda parte meglio della prima!!! |
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14
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Si tratta del loro disco più atipico e sperimentale. Per me vale decisamente un 80 pieno. |
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13
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Anche per me 65, piuttosto noioso ma li perdono loro..... |
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12
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Prima metà del disco noiosa a mio parere, la seconda decisamente più godibile. 65 |
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11
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Le differenze con gli altri album sono da considerarsi normali. L'album lo ha dichiarato Benton stesso, è stato fondamentalmente iniziativa di Steven Asheim.
A me è piaciuto molto, non capisco un voto così basso tra i lettori (quello della recensione mi pare equo) |
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10
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Disco che mi è piaciuto molto, ha un alone cupo e sinistro. Non riesco a capire tutte le critiche. Lo trovo anche piuttosto personale. E' solo meno assimilabile del solito... |
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9
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non so...si fa un pò fatica a capire bene i brani, le canzoni sembrano tutte uguali e se non si sta attenti magari non si riesce a capire bene quando inizia una canzone ed incomincia un'altra......non è male a parte questo....... |
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8
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A me ha fatto pena. Per me qui sono irriconoscibili! |
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7
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x me questo album è un buon album....anche se forse un pò ripetitivo come struttura delle canzoni....comunque a me è piciuto molto.... |
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6
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il problema fondamentale di questo album é che tutte le canzoni suonano uguali all´orecchio ed é da considerare una grande pecca che suonino bene o suonino male |
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5
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ma potete anche dire che c'è di meglio a sto punto, e anche tanto. |
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4
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La Tour e la maddalena penitente. Kiss e clap clap. |
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3
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Bè SI HA RAGIONE ALLA FINE MA BENTON E' DA ONCE UP ON THE CROSS CHE è RIDICOLO AHAHAHAH DOVEVA SPARARSI A 33 ANNI TUTTI ASPETTAVANO QUEL MOMENTO AHAHAHAHAH |
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2
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Spesso però non è una questione di anti-deicide, ma una questione di anti-benton, che pur essendo un gruppo di musicisti bravi capaci di sfornare album discreti e ottimi sono comunque vittima di un leader che ogni tanto ci lascia un pò perplessi su delle cose che dice... l'album non è comunque da buttare al cesso, c'è veramente di molto peggio. |
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1
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coalizione anti DEICIDE e in parte capisco..anke per me l' album è un po' sotto (tanto) tono rispetto al precedente e meraviglioso Stench OF Redemption del 2006....ma in giro c'è di molto peggio |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1 - The Beginning Of The End 2 - Till Death Do Us Part 3 - Hate of All Hatreds 4 - In The Eyes Of God 5 - Worthless Misery 6 - Severed Ties 7 - Not As Long As We Both Shall Live 8 - Angel Of Agony 9 - Horror in the Halls of Stone 10 - The End of the Beginning
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Line Up
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Glen Benton – Vocals, Bass Jack Owen – Guitars Steve Asheim – Drums, Guitars
Session musician: Ralph Santolla – Guitars
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RECENSIONI |
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ARTICOLI |
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