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Tiamat - A Deeper Kind of Slumber
( 8794 letture )
Chi non si è mai perso a contemplare un’immagine iridescente e composita che si snoda ad esempio lungo l’immensa parete di un edificio religioso o sul pavimento di un’antica villa? A prima vista, da una certa distanza, sembrerebbe un gigantesco affresco, ma osservando più da vicino si ha una straordinaria sorpresa: in realtà quell’immagine è il risultato dell’incastro d’innumerevoli piccoli tasselli di materiale e colore diversi, frutto del lavoro certosino di mani abili ed operose, una delle espressioni artistiche che più onorano e nobilitano il genere umano. Ora provate ad immaginare di rimuovere da quel mosaico un tassello o un gruppo di tasselli tale che la sua assenza sia percepibile dal vostro occhio alla distanza a cui vi trovate: esso conserverebbe sempre il suo colore acceso o grigiastro, ma perderebbe gran parte del suo vero significato, perché era proprio lì, in quella posizione precisa ed in quel contesto più ampio che era necessario che venisse lasciato. Di contro, il mosaico senza quel tassello sarebbe monco, perderebbe parte della sua attrattiva, perché lo sguardo si concentrerebbe lì, proprio laddove è rimasto quello spazio vacante, dando la sensazione che tutto l’insieme alla fine sia incompleto e desolato perché privo di un suo elemento fondamentale.

Ebbene, è questa la sensazione che si materializza alla mente dopo diversi anni di reiterati ascolti, pensando ai singoli brani come ai tasselli di quel mosaico, ciascuno dotato di connotati propri e distinti, ma tutti amalgamati insieme per creare un album irripetibile, unico nel suo genere.
Un album a cui, a distanza di tre lunghi anni, spetta l’onore e soprattutto l’onere di raccogliere l’eredità ingombrante di Wildhoney, oggi considerato legittimamente come una delle pietre miliari del gothic metal e che rappresentò già a quel tempo uno sbalorditivo giro di boa per la band svedese.
La prima sensazione che si percepisce ascoltando A Deeper Kind of Slumber è quella di disorientamento, confusione. Ci si rende presto conto che non ci si trova di fronte ad un oggetto facile da assimilare e da metabolizzare. Di primo acchito, si riesce a stento a credere che dietro a quel sound composito e sfuggente, asfittico ed a volte quasi irrazionale, si nasconda in realtà il nuovo volto di una band nata sotto il segno dello swedish death metal, che adesso sperimenta un periodo di profonda innovazione e di pura follia artistica (ma, si sa, follia e genio vanno spesso a braccetto), quasi fosse alla disperata ricerca di una nuova identità. Se fosse possibile descriverlo in breve, si potrebbe dire che si tratta di un’allucinazione, un viaggio intimo, trascendente, quasi mistico negli angoli più reconditi dell’inconscio di una mente condizionata e persa nei fumi dell’oppio, la mente del leader Johan Edlund, mastermind ed unico elemento rimasto della formazione originale della band, che pare proprio che in quel periodo affrontasse un momento di profonda crisi ma evidentemente anche di grande ispirazione.

Naturalmente si respirano ancora in parte gli influssi inevitabili dell’album precedente, che si concretizzano in un gothic rock/metal trascinante ed intriso di vapori sulfurei, a tratti cupo, tenebroso, in altri limpido ed avvincente. Così è, ad esempio, nel brano d’apertura Cold Seed, che si caratterizza per l’alternanza tra momenti più meditativi e depressi in cui le quattro corde sostengono la voce pulita impostata su tonalità basse ed altri dall’andatura sinuosa caratterizzati da quell'accattivante motivo di riffing ormai divenuto un classico, per poi sprofondare al suo interno anche in arie oniriche in cui, qui come altrove, il tappeto tastieristico impregna l’aria di toccanti ed evanescenti esalazioni.
La tenebrosità e profondità della voce di Johan Edlund, i suoi inquietanti sospiri, la sua vocalità a tratti ammaliante o malinconica che, quando meno te lo aspetti, si fa ruvida ed oscura, fa pensare al rantolo di una belva spaventosa, in grado di ringhiare al punto da far accapponare la pelle, ma ferita e stanca, contrita ed implosa su se stessa. È come se una forza oscura, racchiusa dentro di essa, sia pronta ad esplodere violentemente da un momento all’altro ma venga forzatamente tenuta sotto controllo, trattenuta.
Gli echi goth si fondono poi spesso con influenze “alternative”, con frequenti ed asfissianti riffing ciclici, come nell’ipnotica (e nel contempo psicotica) Teonanacatl, un brano che inebria i sensi, in cui Johan sembra in pieno delirio, quasi come se parlasse nel sonno o, più probabilmente, sotto l’effetto di strane sostanze (magari proprie quelle estratte dalla varietà di funghi allucinogeni da cui deriva il nome della traccia in questione).
Molto spesso dominano le parti acustiche in mid-tempo, con intensità contenute e meste, spezzate da vibranti e moderatamente più sostenute accelerazioni ed impreziosite anche da straordinari assoli (come in Phantasma de Luxe) o da meravigliosi dialoghi a due chitarre acustiche/ritmiche in chiave pinkfloydiana. Per goderne basta immergersi, ad esempio, nella palude del brano più lungo dell’album, vale a dire Mount Marilyn, una raccapricciante ed estenuante litania della durata di oltre dieci minuti da cui si può persino finire per essere totalmente rapiti. È dunque di fondamentale importanza, per tentare di comprendere questo platter, tener presenti anche e soprattutto le influenze progressive/psychedelic rock, che si respirano anche laddove meno ci si aspetta, come in Only in My Tears It Lasts, in cui territori psichedelici si fondono con derive new wave ed elettro, caratterizzate da ritmi sincopati e bizzarri suoni elettronici: sembra quasi un connubio artistico tra Pink Floyd e… Depeche Mode.
Questo punto ci introduce così ad un altro aspetto preponderante, vale a dire la presenza massiccia e frequente di suoni sintetici. Così è ad esempio in Alteration X 10, in cui le atmosfere sognanti si combinano con sonorità acustiche e, quando il tutto si eleva su livelli più intensi, si ripiomba nell’elettronica e nelle conturbanti linee di basso. Ma la sperimentazione si spinge oltre, non ci si sofferma ad impiegare le tastiere per farcire gli scenari dei brani, ma si fa persino uso di strumentazioni inconsuete, come il theremin, primordiale apparecchio elettronico in cui due antenne captano il movimento delle mani traducendolo in suoni di tono ed intensità differenti. E si va ancora oltre, sconfinando a momenti persino nel big beat e nel trip hop; ne è un esempio The Whores of Babylon, ma non ci si lasci ingannare da queste premesse, perché si tratta sì di un pezzo stracolmo di suoni elettronici ma anche cattivo, fosco ed ossessionante come pochi.
Come se non bastasse, non mancano neanche gli elementi folk, come in Four Leary Biscuits, in cui il basso in primo piano fa da linea guida per suoni che richiamano il fascino ed i misteri dell’oriente. Merito soprattutto dell’impiego del sitar (suonato da Sami Yli-Sirniö, che in seguito sarà guest con lo stesso strumento in Once dei Nightwish e che successivamente sarebbe divenuto chitarrista nientemeno che dei Kreator) che, insieme agli strumenti a fiato ed all’esotica vocalità di Birgit Zacher (già guest in Wildhoney ma anche, per citare solo un nome, in Wolfheart dei Moonspell), ci proietta seducenti raffigurazioni di un mondo lontano e misterioso.
Ancora lei ci delizia in Kite, ove i suoi suadenti vocalizzi levitano nell’etere immersi in un’atmosfera triste e malinconica, in un quadro prettamente sinfonico/classico arricchito da echeggi della natura. Per certi aspetti il brano, quasi strumentale, è accostabile a Atlantis As a Lover, che colpisce per la raffinatezza degli arrangiamenti, le melodie fascinose ed eleganti, la sua mestizia e la voce passionale e tormentata che quasi chiede partecipazione alla sofferenza, gli struggenti vagiti del basso, dei violini, dei violoncelli, il dolce eco delle onde del mare che si infrangono sulla battigia. Trattasi di alcuni dei momenti più meditativi ed introspettivi, che trovano la loro massima espressione nella title track, emozionale ed opaca allo stesso tempo, in assoluto uno dei migliori episodi dell’intero disco; in esso dominano le tastiere e gli arpeggi melodici, si fanno spazio ancora una volta gli strumenti classici e poi qui, come altrove, inintelligibili voci fuori campo donano profondità alla cornice, quasi invitandoci a penetrare al suo interno.

Insomma, come si può intuire da questa descrizione e come del resto chi ha già vissuto questa esperienza sa bene, questo disco è qualcosa di unico, nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista. Già, perché in casi come questo non esistono mezze misure: o si odia o si ama alla follia.
Esistono difatti due modi per approcciarsi ad esso. Il primo consiste nel fermarsi in superficie, nell’appurare banalmente che i suoni sono più dimessi, meno intensi del passato, più tendenti all’alternative rock sperimentale che al metal e che, come tali, vadano assolutamente banditi dalla playlist dell’inossidabile fan dell’heavy o del death. Il secondo è quello di dargli una possibilità (qualora ciò non sia avvenuto già svariate volte), di tentare di coglierne l’essenza, che è assolutamente avulsa dalla realtà, a momenti psicolabile e tormentata ma anche ricca di pathos e di chiaroscuri, oltre che assolutamente avanguardista in termini di sperimentazione di suoni ed ambientazioni inusuali, in un contesto che ad ogni modo è pur sempre percepibile come affine alla tradizionale oscurità del goth. Insomma, se lo si approccia con una mente aperta e si riesce a sorseggiarlo dissetandosi anche solo per una volta, è garantito che quella sete non si placherà mai più.



VOTO RECENSORE
92
VOTO LETTORI
94.02 su 238 voti [ VOTA]
Marino Sumo
Martedì 4 Ottobre 2022, 23.06.02
32
Disco spartiacque che divide in due la produzione dei Tiamat. Si sentono le contaminazioni elettroniche che domineranno i lavori futuri,ma il tutto è declinato in una chiave allucinata ed evocativa. Voto 79
gianmarco
Venerdì 14 Gennaio 2022, 18.07.49
31
Stupendo Come Tutta La 1 Parte Della Discografia Della Band .
Gianluca
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 21.54.23
30
Ho conosciuto i tiamat con cold seed in una compilation in cassetta regalatami. Poi ho acquistato il CD ma la copertina è diversa.cmq disco di un atmosfera immensa, il mio preferito seppur diverso dai precedenti lavori
ilvinox
Mercoledì 16 Dicembre 2020, 21.37.29
29
che disco immenso... meriterebbe di piu che essere conosciuto dai metallari
Midnight
Domenica 10 Maggio 2020, 19.34.05
28
Gran disco. Canto "Teonanacatl" in continuazione
Aceshigh
Giovedì 19 Settembre 2019, 18.45.11
27
L’album più sperimentale dei Tiamat. Straniante, onirico, se vogliamo psichedelico anche; un album magico da ascoltare con gli occhi chiusi. La mia preferenza personale va a Wildhoney, ma posso capire benissimo chi ama di più questo. Le prime due tracce, Atlantis as a lover, come pure il trittico finale sono pezzi veramente speciali. Voto 90
Trip
Lunedì 29 Ottobre 2018, 18.17.18
26
Un disco bellissimo e fuori dal tempo. Fa parte di quei capolavori che arrivano da un altro pianeta. Ventuno anni che lo ascolto ed è sempre fresco ed attuale. Meravigliosi Tiamat, meraviglioso Edlund.
GIANLUCA
Venerdì 28 Settembre 2018, 9.07.18
25
Il mio primo CD dei Tiamat. Meno doom dei precedenti album nel cantata di edlund ma cmq bello. Se sia meglio o peggio di Wild poi e' tutta una questione di preferenze personali
legalizedrugsandmurder
Venerdì 28 Settembre 2018, 8.31.23
24
caapolavoro. Ti trasporta in un mondo magico. Con Wildhoney il capolavoro dei Tiamat. 100.
Lore
Venerdì 28 Settembre 2018, 8.06.42
23
Io lo ascolto ancora dai tempi, stupendo, un trip unico e micidiale. Certe parti sono proprio oscure e poi oniriche, da sogni lucidi. I testi, da paura, bellissimo. If you begin to fall, please have some more, you could stay at my place if you want, I sleep on the floor, eccetera, eccetera. Uno dei mei album preferiti tra tutti quelli che conosco. L'ho ascoltato quando e' uscito e rimarra' sempre una pietra miliare. E' qualcosa di personale, come se fossi solo io ad ascoltarlo quando lo metto su, ma non e' vero ovviamente... Difficile decide quale canzone mi esalti di piu'. Bello, bello.
Fresathor
Giovedì 17 Agosto 2017, 21.31.51
22
Io lo preferisco senza dubbio a wildhoney. Domani marco visita
galilee
Giovedì 17 Agosto 2017, 21.04.51
21
Hai rotto il cazzo con ste sentenze.
klostridiumtetani
Giovedì 17 Agosto 2017, 19.26.04
20
92 a questo e 90 a Wildhoney? Curatevi tutti! E' un bell'album da 80/85 al massimo. Wild è da 100+100+100... ecc. ecc. ecc.
gianmarco
Lunedì 10 Luglio 2017, 19.02.02
19
pazzesco , geniale .
galilee
Venerdì 14 Aprile 2017, 22.29.14
18
Mah...the desolate one è una dell migliori. Secondo me questo disco ha solo pezzi da 10. Non riesco a preferire un brano ad un altro. Li considero tutte prime donne.
NomeEcognome
Venerdì 14 Aprile 2017, 21.29.23
17
Il punto più alto della loro evoluzione musicale
Steelminded
Sabato 25 Febbraio 2017, 21.00.48
16
Il vizio di questo lavoro secondo me è di immettere troppi pezzi interlocutori in mezzo ad alcuni di grandissima fattura o financo capolavori come Cold Seed, Teonacatl, Phantasma De Luxe, Mount Marylin e A Deeper... Poi le altre rimangono sospese in un strana dimensione essendo basate su delle litanie un po troppo ripetitive e autocontemplative (The Desolate One)... Mi dispiace perchè i pezzi buoni sono davvero buoni, ma la incostanza non mi permette di apprezzare il platter nella sua interezza. Voto: 75. Evviva.
diego
Domenica 18 Dicembre 2016, 11.08.05
15
dopo i primi ascolti...wildhoney vince 10-0!
Rob Fleming
Lunedì 15 Febbraio 2016, 11.48.28
14
L'unico torto di questo album è essere uscito dopo Wildhoney. Ogni canzone andrebbe citata per le innumerevoli e mutevoli atmosfere che ci regala questo cd ad ogni ascolto. 90
Galilee
Mercoledì 18 Settembre 2013, 17.26.52
13
Sono 4 i Capolavori dei tiamat, e questo è uno di loro. Voto: 100 con lode. Un disco che è passato almeno 200 volte sul mio stereo.
The Nightcomer
Giovedì 25 Ottobre 2012, 10.22.01
12
La conclusione di un percorso evolutivo iniziato con il secondo album (tralascio l'acerbo debutto), nonché ultimo episodio degno di nota nella discografia dei Tiamat (imho). A prescindere dai gusti personali penso sia giusto riconoscere a questa band di non aver mai ripetuto un lavoro del tutto simile al precedente. Per me Clouds (posso definirlo death/gothic?) costituiva la naturale prosecuzione del discorso iniziato su The Astral Sleep (che considero doom/death), mentre in Wildhoney (l'album con il quale ho conosciuto i Tiamat) di death non era rimasta alcuna traccia, a tutto vantaggio però di un'interpretazione personale e coraggiosa del gothic. In questo album la sperimentazione si è spinta ancora oltre, ma sempre partendo da quanto seminato nel lavoro precedente. Ancora oggi non saprei dire quale album tra i quattro citati preferisca, perché sono così diversi tra loro nel risultato finale (nonostante, a mio avviso, si scorga un filo conduttore) che diventa difficile metterli a confronto.
barnaba
Giovedì 14 Giugno 2012, 9.46.18
11
bisogna entrare in simbiosi con questo disco per apprezzarne in toto tutte le sfumature che adornano i brani di questa opera suggestiva (se non addirittura mantrica!) nata dall'ultimo colpo di estro del leader. un ottima band introversa che fino a questo " a deeper kind of slumber " è stata capace di rendersi valida da seguire e supportare! poi si son lentamente ammosciati (per pigrizia compositiva) adagiando troppo la loro proposta su soluzioni gothic-rock convenzionali e tediose (un pò alla Him, 69 eyes...) nonostante l'ultimo "amanethes" pare abbia dato cenni (di risveglio) di ripresa.
marmar
Lunedì 11 Giugno 2012, 21.51.45
10
Spiace dirlo, ma tolta "Cols Seed" e quualche altra traccia quà e là, non è che mi abbia granchè impressionato (difatti me lo ricordo poco). Concordo, "Wildhoney" è di ben altro spessore.
Bloody Karma
Domenica 10 Giugno 2012, 11.41.01
9
concordo pienamente con piggod, un disco che stra-coraggioso nel volersi infilare in territori di pura contaminazione, ma mantenendo una profondità di intenti che, a mio avviso, va' anche oltre il meraviglioso wildhoney. Cmq, è anche il canto del cigno della band, perchè da qui in poi, hanno azzeccato solo brani sparsi, sebbene judas christ a me piaccia molto...
francesco
Domenica 10 Giugno 2012, 11.23.07
8
questo disco mi ha deluso molto....passare dal death doom al gotic mi ha frustrato non essendo assolutamente un fan del genere. clouds e wildoney secondo me sono superiori alla grande.
Nightblast
Domenica 10 Giugno 2012, 1.01.55
7
Io mi son fermato a Wildhoney è li voglio restare ancorato...Anche se quando ascolto Clouds dimentico facilmente anche lo stesso Wildhoney...
piggod
Sabato 9 Giugno 2012, 17.09.48
6
L'album per eccellenza dei Tiamat, a mio avviso di gran lunga superiore a Wildhoney. Estraniante, psichedelico e depresso, un lungo viaggio nei meandri della psiche malata di Edlund che si rivela (IMHO) una delle opere musicali migliori degli anni '90.
enry
Sabato 9 Giugno 2012, 12.18.03
5
Per me 'solo' un buon disco, i Tiamat che mi piacciono sul serio sono quelli da Wildhoney in giù (Clouds, per me, il loro capolavoro).
In_a_Dream
Sabato 9 Giugno 2012, 12.13.49
4
uno dei dischi più allucinanti di sempre, viene proprio da un'altra dimensione. gran capolavoro.
Federico95
Sabato 9 Giugno 2012, 11.54.07
3
Molto bello, ma Wildhoney è su un altro pianeta per chiunque. 85
Undercover
Sabato 9 Giugno 2012, 11.01.50
2
Per quanto li apprezzi per me avevano già dato, con "Wildhoney" si è chiuso il capitolo Tiamat, almeno quelli che mi piacciono davvero.
NeuRath
Sabato 9 Giugno 2012, 10.52.46
1
Che dire se non MAGNIFICO! L'album che miha fatto scoprire i Tiamat, tuttora una delle mie band preferite...
INFORMAZIONI
1997
Century Media
Alternative/Gothic
Tracklist
1. Cold Seed
2. Teonanacatl
3. Trillion Zillion Centipedes
4. The Desolate One
5. Atlantis As a Lover
6. Alteration X 10
7. Four Leary Biscuits
8. Only in My Tears It Lasts
9. The Whores of Babylon
10. Kite
11. Phantasma de Luxe
12. Mount Marilyn
13. A Deeper Kind of Slumber
Line Up
Johan Edlund (Vocals, Guitars, Keyboards, Theremin)
Thomas Petersson (Guitars)
Anders Iwers (Bass)
Lars Skjöld (Drums)

Guests
Birgit Zacher (Vocals)
Dirk Draeger (Keyboards)
Anke Eilhardt (Oboe)
Ertugruil Coruk (Flute)
Sami Yli-Sirniö (Sitar)
Inchtabokatables (Violin, Cello)
 
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