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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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11/02/2017
( 2764 letture )
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È oramai quasi superfluo perdersi in lunghe e sofisticate introduzioni nel presentare una band come gli Enslaved. La creatura del duo Bjørnson-Kjellson, che ha ormai superato con una certa agilità il quarto di secolo di militanza, è difatti una formazione ben nota agli amanti del black e non, soprattutto per i numerosi, solidi lavori che ne compongono la glaciale discografia, dal terrificante uno-due iniziale Vikingligr veldi/Frost, in grado di scuotere un 1994 di certo non scevro da uscite di altissimo calibro soprattutto quando si guarda alla fiamma nera, fino al più recente In Times, platter notevole e pregevole fattura, ricco di idee fresche. Una carriera, quella dei norvegesi, che ha saputo dunque distinguersi per la capacità parallela di mantenersi coerenti e fedeli al genere proposto, non per questo scadendo in banalità noiose e pericolosi cul-de-sac artistici e secche compositive, anzi, non perdendo regolarmente occasione per rinnovarsi in maniera efficace e coesa. Ruun, full-length oggetto di questa disanima, non ne è certo da meno, seppur con le sue peculiarità e qualche difetto.
Ad un primo ascolto, infatti, questo lotto da 46 minuti che compone questa release, colpisce in primis per una certa compattezza nella durata dei brani in esso proposti, soprattutto se confrontati con il vario e spesso fulmineo precedente Isa. Le otto tracce di Ruun, di cui nessuna strumentale, spaziano in larga maggioranza all’interno di una forbice tra i cinque e i sei minuti e mezzo, caratteristica che rende piuttosto denso l’album, rafforzandolo pur non esulandosi da qualche chiara prolissità facilmente evitabile. Lo stile proposto in questa sede dagli Enslaved, inoltre, si mantiene in buona parte all’interno del sentiero di quel black metal progressive ed epico presentato nelle produzioni precedentemente licenziate, ma non si può definire in toto un seguito al 100% coerente con quell’Isa, sfaccettato ed originale, brillante e bilanciato, che giusto un paio di anni prima aveva ridefinito e rimodellato i confini di tale progetto, pur senza stravolgerne gli equilibri e lo stile come invece fatto da egualmente geniali altri loro conterranei, quali gli Ulver. Tuttavia, se infatti, come anticipato, Ruun osa meno che il suo predecessore e si dimostra parimenti decisamente meno dinamico, esso si mantiene molto solido. Al suo interno, difatti, a farla da padrone sono scenari suggestivi e malinconici, più cupi che epici, soprattutto se posti al confronto con quanto fino a quel momento proposto dal combo scandinavo. Il riffing, evidentemente meno appariscente che in passato, si mantiene granitico pilastro portante dell’intero platter, supportando con precisione l’ormai familiare voce di Kjellson, le cui urla sempre modulate con precisione si intrecciano con i vocals in clean maggiormente atmosferici, aulici e a tratti quasi meditativi. Tuttavia, diviene presto chiaro fin dai primi ascolti come il medesimo massiccio riffing tenda ad apparire un po’ monocromo e meno energico di quanto ci si potesse aspettare, così come maggiormente amalgamate con il resto dello strumentale sono le tastiere di Herbrand Larsen, artista che, dopo ben 12 anni di militanza con gli Enslaved, proprio poco meno di due mesi fa ha lasciato la band. Ciò tuttavia non tragga in inganno: pur essendo frutto di scelte più ponderate e ‘sicure’, Ruun è lungi dall’essere un passo falso all’interno della quanto mai prolifica discografia a cui appartiene, in cui la noia sia costantemente dietro l’angolo. A dimostrarlo sono tracce quali l’omonima e centrale Ruun nonché la conclusiva Heir to the Cosmic Seed, in grado di far svanire ogni possibile dubbio sullo stato di forma della formazione, nonché sulla sua maturità, racchiudendo in sé gli aspetti migliori del platter in oggetto. Non mancano inoltre finestre di sperimentazione, come in una prog/heavyggiante Api-Vat o in una più sognante Path to Vanir, dai lenti intermezzi in evidente contrasto con la grezza e tagliente opener Entroper.
Infine, vale la pena ricordare che il valore di Ruun venne tra l’altro premiato, proprio nel 2006, anche agli Spellemannprisen, equivalente norvegese dei più noti Grammt Awards d’oltreoceano, nella categoria dedicata al metal, dove in passato già avevano vinto artisti come Dimmu Borgir e Satyricon. Ciò permise alla band nordica di bissare il successo già ottenuto proprio con Isa due anni prima, non mancando per altro in seguito l’appuntamento con tale riconoscimento nemmeno con Vertebrae e Axioma Ethica Odini, nei rispettivi anni d’uscita, il 2008 e il 2010.
Poetico, prezioso, fine, preciso. Difficile trovare altri aggettivi per l’ennesima perla di casa Enslaved che, pur non essendo variegato come il precedente Isa, né travolgendo l’ascoltatore con particolari dinamismi caleidoscopici, dimostra ancora oggi, in maniera elegante e convincente, come il sentiero imboccato all’epoca dai norvegesi, alla ricerca di un ammodernamento del proprio sound dall’alto di anni d’esperienza e una ormai evidente maturità, fosse davvero quello giusto. Un disco riuscito, dunque, seppur per molti di non facile, né immediata digeribilità ad un primo ascolto, aspetto che ne ha spesso causato un’ingrata sottovalutazione. Cruciale non demordere, quindi, con Ruun: il talento degli Enslaved c’è anche qui e aspetta solo di essere scoperto.
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4
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Riascoltato stamattina. Grande album: se il precedente Isa in un certo senso rappresentava, ad altissimo livello, il compimento di un percorso evolutivo (intrapreso dopo Blodhemn), con Ruun c’è la conferma delle loro capacità e di uno stile assolutamente peculiare e riconoscibile. Si appesantisce forse un po’ nella seconda parte, ma le prime quattro tracce sono una più bella dell’altra, in special modo Entroper e Path to Vanir. Nel complesso comunque tanta roba. Voto 86 |
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3
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Per me invece se paragonato agli altri loro lavori non è tutta questa sostanza, Vertebrae l'ho trovato migliore, comunque sempre meglio di Monodimension che pe me rappresenta l'unico flop dela band. Massimo gli do un 70. |
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2
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Disco stupendo, a mio avviso. Molto migliore del successivo Vertebrae e al pari di Axioma Ethica Odini. Adoro letteralmente ogni nota. Conturbante e riuscito. Sarà che è il primo album degli Enslaved che ho ascoltato. |
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1
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un buon album come sempre, un gruppo sempre in progressione e senza mai sbandate degne di nota. Non ai livelli di ethica odini ma comunuqe buono 70. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Entroper 2. Path to Vanir 3. Fusion of Sense and Earth 4. Ruun 5. Tides of Chaos 6. Essence 7. Api-Vat 8. Heir to the Cosmic Seed
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Line Up
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Grutle Kjellson (Voce, Basso) Ivar Bjørnson (Chitarra, Effetti) Ice Dale (Chitarra) Herbrand Larsen (Tastiera, Voce) Cato Bekkevold (Batteria, Percussioni)
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