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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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18/10/2017
( 7901 letture )
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Nella vita, col passare degli anni e dei cambiamenti che essi portano, poche si rivelano essere le persone di cui ci possiamo ciecamente fidare, che saranno sempre lì, disponibili e presenti per noi, pronte a supportarci, aiutarci e guidarci lungo i meandri dell’esistenza, anche quelli più complessi e oscuri, all’interno dei quali ci sarebbe facile perderci e perdere la speranza di mai uscirne. Volendo traslare, almeno in parte, una simile riflessione in musica, non è difficile comprendere come anche tra i progetti artistici con oltre venticinque/trent’anni di carriera alle spalle, non sia sempre facile rintracciare quei nomi a cui ci si può affidare senza timore, acquistando quasi a scatola chiusa ogni loro nuova fatica, certi che essa, seppur in continua evoluzione e spesso non priva di risvolti cangianti e sorprendenti, non ci deluderà affatto, grazie in particolare all’innegabile talento dei loro mastermind.
Una volta rivolto lo sguardo verso i lidi del black metal, all’interno di questa cerchia non può certo mancare la creatura maggiore di un duo, quello di Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson, che di certo non ha bisogno di presentazioni. Stiamo chiaramente parlando degli Enslaved, giunti con questo E alla propria quattordicesima release, portata alle stampe con una freschezza ed energia invidiabili, senza per questo scendere a compromessi a livello di coerenza e coesione con quanto da loro creato sinora. La componente viking, ad esempio, è già presente sin dal titolo che, seppur a prima vista scarno, è ricco di significato: E fa infatti riferimento alla runa Ehwaz dell’alfabeto Fuþark antico, che veniva pronunciata come “e”, ma rappresentata come ᛖ, come per altro appare sull’artwork di copertina. Tale forma nella scrittura non venne al tempo scelta a caso, in quanto Ehwaz aveva il significato di cavallo e la sua struttura fisica, per quanto stilizzata, veniva da essa ripresa. Come spiegato da Bjørnson stesso in fase di promozione del platter, tale animale è sempre stato simbolo di cooperazione e fiducia, permettendo in passato all’uomo uno sviluppo talmente importante (nei trasporti, nelle guerre, nell’alimentazione e lavori quotidiani…) da entrarne in una simbiosi talmente stretta da diventare quasi vitale, diventando quindi ottimo esempio anche per tutte quelle associazioni intimamente connesse tra loro, possano esse essere due amanti, un padre e un figlio, l’uomo e la natura, un musicista e il suo strumento, un singolo e le sue diverse personalità ed atteggiamenti mutati nel tempo, sino ad allargarsi alla simbiosi per eccellenza, quella tra conscio e subconscio. Quanto abbiamo di fronte è dunque un album che esplora e consolida non solo lidi nuovi nello stile proposto dai norvegesi, ma si dipana attraverso queste uniche connessioni, con testi profondi e ben interpretati.
Se, dunque, i retaggi viking vengono confermati sin da subito, le due altre anime attuali della bestia Enslaved, il black metal e il prog, non tardano di certo a farsi notare, e lo fanno con una continua, precisa e studiata ricerca di una bellezza equilibrata, che confermi quanto di buono e sorprendente era stato presentato nel precedente In Times senza tuttavia limitarsi a quanto proposto allora, riuscendo inoltre a trovare il giusto bilanciamento tra lavorati ed eleganti brani, ed uno stile che sappia evitare arabeschi troppo complessi, facili cul-de-sac e ripetizioni sterili e incapaci di stupire. Tutte cose ben più facili a scriversi che a realizzarsi nella realtà. Invariati nella line-up con la sola eccezione di Herbrand Larsen che, dopo uno split senza drammi, è sostituito in questa sede da Håkon Vinje, giovane tastierista già presente nei live del side project di lusso a firma Bjørnson-Selvik a nome Skuggsjá, gli Enslaved danno il via alle danze con un monolitico ma suggestivo pezzo da quasi undici minuti, Storm Son, il più lungo dell’intero lotto. Dopo un inizio a tinte scandinave, con un gelida e solenne intro che rimanda alla natura e all’interno della quale fa già il suo debutto il sopracitato cavallo, i minuti scorrono intrisi di prog/black (quest’ultimo, protagonista in particolare della seconda metà della composizione) dinamico ed in continua evoluzione, dotato di una grande carica emozionale e di classe, supportate in particolare da ritmiche cadenzate e dall’inserimento di cori in clean, che ben si distanziano in particolare dal sempre aggressivo growling. La chitarra di Arve Isdal trova ulteriore spazio nella successiva The River's Mouth, probabilmente la traccia del platter più vicina ai dischi delle origini e più devota alla fiamma nera, pur non scendendo a nostalgici compromessi per quanto riguarda la qualità della registrazione. A seguire, ecco Sacred Horse, ibrido dall’invidiabile bilanciamento tra il prog e l’extreme metal, con le due facce della creatura Enslaved a ricorrersi e sostituirsi vicendevolmente con fluidità disarmante, lasciando persino un momento di (meritata) gloria al nuovo arrivato Håkon Vinje, che ci delizia con preziosi e personali inserimenti che permettono all’ascoltatore di tirare piacevolmente il fiato tra un assalto d’asce e l’altro. E per fortuna, dato che la seconda metà dell’album è da assaporare tutta d’un fiato, nella sua coerente varietà. La più leggiadra e solare Axis of the Worlds strizza l’occhio senza paura a King Crimson e a quegli anni Settanta che resero così celebre il prog rock, pur non facendo dimenticare a chi ascolta che disco stiamo ascoltando, mentre Feathers of Eolh fa il suo personale ritorno all’aulico e all’onirico, complice anche l’entrata in scena del flauto dell’ospite Daniel Måge, l’apparizione di pregiati vocals curati da niente meno che Mr. Wardruna Einar Kvitrafn Selvik e il ritorno dei cori dalle tonalità quasi monastiche, ancor più solenni di quanto proposto in precedenza. Tutte ricercate delicatezze che, nell’impreziosire il pezzo, lo rendono tuttavia forse l’anello debole del full-length, perlomeno per una certa fetta di pubblico. Chiude l’album nella sua composizione base Hiindsiight, che ci dimostra ancora una volta come la tavolozza di colori a cui la band attinge sembra non avere limiti: inserti di sassofono del guest Kjetil Møster, passaggi post metal e quasi shoegaze, su una solida base guerresca a tratti, per quanto essenzialmente melodica, e una perenne dualità nei vocals, per una traccia in grado di funzionare e stupire, senza esagerare. Corroboranti appaiono infine anche le due bonus track, tra cui spicca un’inaspettata e piacevole cover di What Else Is There? del duo elettronico di conterranei Röyksopp, uno dei loro brani senz’altro più popolari e famosi a livello internazionale. La versione proposta in E riesce a mantenerne pressoché inalterata la struttura portante e la suggestione, nonostante il minutaggio dilatato e l’inserimento del growling la renda indubbiamente più oscura e ieratica.
Sembrerà un cliché, ma non appaiono sbagliare un colpo, questi Enslaved. La band propone agli ascoltatori un album corposo e solido, sfaccettato ma preciso, che scivola via con -in parte- una maggiore facilità rispetto al precedente, dal quale si distingue ulteriormente per la presenza dei brani extra che ne allungano in maniera piuttosto coerente il minutaggio, senza per questo risultare meno intrigante o caleidoscopico. E si configura dunque come un disco unico, d’impatto, capace di aprirsi per l’ennesima volta al nuovo, senza slegarsi dal passato, risultando accattivante sia a coloro i quali abbiano seguito ed ammirato la formazione norvegese dai suoi primi full-length, che a chi ne avesse scoperto il talento solamente negli ultimi anni. Si trasformano, si evolvono, mutano e rifiniscono il proprio stile, aprendo nuove porte con la freschezza e l’audacia di giovani novizi e la maturità ponderata di chi sono oltre 25 anni che fa da apripista ad altri, eppure Kjellson, Bjørnson e soci sono sempre lì, in prima fila, sempre pronti a creare qualcosa di nuovo con la loro musica estrema, senza timori e senza grossi errori di sorta.
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C\'era una volta un uomo: quello al commento 21 non sono più io, ora sono un\'altra persona, ora gli Enslaved li ho completamente metabolizzati (da anni ormai) e sempre mi ripromettevo di venire qui ad aggiornare il mio giudizio nei confronti di questa band che ora trovo molto interessante. RIITIIR su tutti, che considero il loro capolavoro. Continuo a trovare la voce di Grutle insopportabile. |
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P.S. Gli Opeth non c'entrano niente. |
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Gli Enslaved riescono a trasmettere le stesse sensazioni 'nordiche' dei loro primi album (Hordanes Land, Frost, Vikingligr Veldi, ecc.) con una produzione più pulita e arrangiamenti più raffinati e progressivi. L'attitudine e l'amore per le proprie tradizioni sono rimaste intatte e si percepiscono molto bene: è questo che li rende una band speciale tutt'oggi. Poi è chiaro che in un percorso durato ad oggi più di 15 album la voglia di cambiare 'suoni' e sperimentare sia sacrosanta anche in virtù della suddetta sincera attitudine, che non vuol dire suonare sempre la stessa roba ma riscoprire quelle sensazioni in chiavi sempre rinnovate. Ed in questo gli Enslaved sono maestri indiscussi della scena. Grande album. Voto 90. |
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Album che ho recuperato di recente e che devo ancora assimilare. Il problema più grande per me sono gli innesti prog che appesantiscono e tolgono spontaneità ai pezzi. E' effettivamente difficile lavorare su queste commistioni tra generi e non mi stupisce che anche musicisti mostruosi come gli Enslaved non siano riusciti a trovare il giusto feeling tra l'anima nera e quella più leggera che animano questo disco. Il richiamo agli Opeth è quasi spontaneo in alcuni momenti ma manca l'ispirazione che anima i lavori di Akeferld&Co. Paradossalmente la canzone migliore dell'album è la cover di What else is there (meno articolata e pesante degli altri brani ma decisamente più efficace). |
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Composizioni da far impallidire anche il musicista più esperto. Gli Enslaved sono troppo al di là, sia con gli strumenti sia con la mente. Album fuori dal comune. Nonostante tutto, pur riconoscendo cotanta arte trasportata in musica lo trovo inferiore ai capolavori del passato e un gradino sotto i capolavori più recenti. Storm Son e The River's Mouth autentiche gemme di rara e pura bellezza. Album che nella parte iniziale ed in quella finale (What Else Is There? compresa) mostra le cose migliori. 82 |
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A distanza di tempo e dopo ripetuti ascolti, confermo che si tratta di uno dei dischi migliori di quest'anno e probabilmente del miglior disco degli Enslaved. Voto 92/100. |
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Contiene dei bei passaggi, qualcuno in effetti ricorda gli opeth, altri sono inediti. Alla fine però ho sentito diverse volte la necessità di tirare lo stesso riff per una/due battute in meno, la voce ha qualcosa di strano ma in generale la produzione non mi ha convinto. La classe è li e si sente, ma RIIIR (o come si chiama) mi ha entusiasmato questo mica tanto, nonostante sia un bel disco.. 78, perché si chiamano Enslaved |
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Album mostruoso.gli enslaved non sbagliano un colpo! |
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Disco pregevole sotto ogni aspetto. E' il primo loro lavoro che ascolto. La componente black è più o meno inesistente (suggesitoni eteniste e growl a parte). Parlerei più di Progressive Metal vero e proprio. In ogni caso album ispiratissimo, prodotto in maniera esemplare ed eseguito a regola d'arte. Acquisto più che gradito. |
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The River's Mouth fa molto Killing Joke cmq... |
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Penso che se ci si avvia come gli Opeth non sia un miglioramento..bisognerebbe diminuire la componente prog e aumentare la componente che li contraddistingue. |
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Mai piaciuti, le lodi sperticate a questa band non le ho mai condivise, la voce di Grutle poi la trovo insopportabile. Alcuni pezzi sono anche meritevoli, ma niente di così sconvolgente. Problema mio ovviamente e detto col massimo rispetto nei confronti di chi li adora. |
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20
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Mi sono accorto ora di non aver mai commentato una recensione degli Enslaved, band che fa una ottima musica con punte davvero eccellenti come Axioma Ethica Odini e soprattutto RIITIIR. Mi dispiace, quindi, commentare proprio questo disco che come hanno già segnalato altri post, alterna pezzi notevoli ad altri di poco spessore. Non vorrei che fosse stata una produzione affrettata, magari sotto pressione della casa discografica o dall'urgenza di uscire con qualcosa. Peccato, questa realizzazione "a metà". Personalmente abbasserei la valutazione di una buona ma un po' troppo entusiastica recensione. Au revoir. |
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19
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Concordo con il voto della (peraltro ottima) recensione. Hanno con molta probabilità fatto di meglio in passato, ma anche qui dimostrano - se mai ce ne fosse stato ancora bisogno - di essere degli artisti geniali. E pur possedendo uno stile ben definito e caratteristico (almeno da 15 anni) riescono sempre a dare un taglio particolare ad ogni album che pubblicano. Quest'ultima release è più sperimentale di altre, ma siamo ancora una volta a livelli molto alti ! |
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18
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Ho continuato ad ascoltarlo senza sosta e mi tocca confermare: ci sono brani oggettivamente non all'altezza del marchio Enslaved.Una su tutte Axis of the worlds...già dal riff iniziale mi fa venire voglia di passare alla traccia successiva. La cosa si ripete per altri 3 brani...vale a dire che metà album proprio non mi piace. Poco male in quanto l'altra metà è fantastica. Come dire...il bicchiere è mezzo pieno,ma la sete è tanta. |
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Mi sono levato una settimana fa da ogni social, che non si cominci pure qui a scrivere troiate in stile “Repubblica” |
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@mariamaligno: bastaaaa!!!111!1!!! e una vergonnia daverooo!!!1 |
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vedo che aumentano di giorno in giorno i dissapori per questo nuovo album....in questo momento sto ascoltandomi Vertebrae...questo si che è un capolavoro! |
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14
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Primo disco brutto degli Enslaved, nulla a che vedere con tutto il resto della loro discografia. |
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non saprei, Siete tra i miei preferiti Enslaved, ma a questo punto questa progressione sta andando un pò brancolando e può rischiare di assomigliarsi un pò troppo, devo capire a questo punto dove può portare confrontando gli ultimi... |
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12
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Estremo e progressivo fusi in qualcosa di unico e sublime. Emozione ed arte allo stato puro. Ennesimo capolavoro per questa band che continua a stupire uscita dopo uscita. Fenomenali!! Voto 98. |
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11
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Boh...sarò scemo ma mi pare un polpettone senza capo ne coda. |
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10
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bah....lo sto ascoltando da qualche giorno, ma proprio non riesco a trovarci niente di buono....fino ai precedenti nessun passo falso...proverò ancora un po.... |
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9
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Mi spiace ma io qui, vado di Corazzata Potëmkin..e a me Axioma piaceva..(giusto per chiarire che non sono uno di quelli che o Frost/Eld o niente), ma non è che tutto quel che fanno deve esser sempre e per forza bello, geniale, evoluzione,d'avanguardia, difficile ma bisogna capirlo...basta!! |
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8
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altro centro, mi pare pure meglio di In Times, anche se presto per dirlo. Voto 87 |
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7
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Comunque, secondo me, sulla track-list va segnalato che le tracce dell'album son 6 e non 8. Oppure, andrebbe scritto sopra le ultime due "bonus track".. Altrimenti anche l'ultimo dei Cradle of Filth ne avrebbe due in più! Penso che, ormai, questa sia una prerogativa della Nuclear Blast..quella di far aggiungere alla band una cover e un inedito! Insomma, le vecchie b-side da includere nei singoli che, comunque, escono ma in forma digitale e "da soli".. _ Parlando del disco, invece, trovo che sia un album con ottime idee..ma, niente di eccezionale per la caratura della band! Inoltre, grazie alla produzione, parrebbe anche più "accessibile" del solito. Alcune caratteristiche, poi, ci riportano dritti-dritti agli Opeth..  |
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6
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lo sto ascoltando e devo assimilarlo meglio ma mi sembra un po' meno inspirato dei precedenti . Il mio preferito di questo corso stiliostico rimane RIITIIR ma loro sono un gruppo fantastico |
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5
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Lo sto ascoltando in continuazione e cresce ad ogni ascolto,eccetto un paio di tracce che sinceramente risultano poco ispirate e piatte. Per il resto roba da brividi...bellezza in musica. |
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4
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Probabilmente il disco dell'anno ed il loro miglior disco ad oggi. E scusate se è poco. Voto 92 pieno. |
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corro subito ad ascoltarlo....e' una band che non delude mai le aspettative.... |
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Lo ascolto da ieri e sulla fiducia merita 90....ma è destinato a crescere con gli ascolti |
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Recensione molto bella....ma il voto avrebbe dovuto essere più alto....qui siamo allo stato dell'arte....come sempre negli ultimi quattro dischi e si è osato qualcosa in più in maniera eccelsa....95 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Storm Son 2. The River's Mouth 3. Sacred Horse 4. Axis of the Worlds 5. Feathers of Eolh 6. Hiindsiight 7. Djupet 8. What Else Is There? (Röyksopp cover)
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Line Up
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Grutle Kjellson (Voce, Basso) Ivar Bjørnson (Chitarra, Tastiera, Voce) Arve Isdal (Chitarra) Håkon Vinje (Tastiera, Voce) Cato Bekkevold (Batteria, Percussioni)
Musicisti Ospiti Einar Kvitrafn Selvik (Voce in traccia 6) Daniel Måge (Flauto in traccia 5) Kjetil Møster (Sassofono in traccia 6) Iver Sandøy (Batteria in traccia 7)
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