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26/04/24
ELECTRIC VALLEY RECORDS FEST
BLOOM, VIA EUGENIO CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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Pain of Salvation - Falling Home
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( 3608 letture )
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Tre anni dopo l'uscita di Road Salt Two, chiusura del doppio-concept album precedentemente iniziato con lo sconquassante spartiacque Road Salt One, ci troviamo tra le mani la ''nuova'' creatura partorita da mister Daniel Gildenlöw e soci: questo Falling Home. Le virgolette sono d'obbligo perché questa release non è totalmente nuova, trattandosi di una rivisitazione acustico-sperimentale di brani precedentemente registrati, con l'aggiunta di due cover e un pezzo interamente inedito, la title-track Falling Home, che va emblematicamente a chiudere la nona fatica dei progster svedesi. Il moniker muta in una nuova veste grafica, e così i Pain of Salvation ci emozionano e spiazzano ancora una volta, sempre un passo davanti al destino, sempre all'avanguardia con la loro attitudine ''progressiva'' senza compromessi. L'album che state ascoltando può essere visto come un'ipotetica chiusura del cerchio acustico/seventies aperto con il primo Road Salt, così come un nuovo punto di partenza.
La nuova idea (visione), sviluppata dal mastermind Daniel Gildenlöw, porta a questo interessante (e nel contempo altalenante) nuovo step dei Pain of Salvation, figlio indiretto del tour acustico del 2012 e del live unplugged 12:5, uscito nel 2004. Non spaventatevi quando, subito dopo aver premuto il tasto play, verrete travolti da una versione jazz-y e funky di Stress (1997), con i suoi impressionanti ''sali-scendi'' vocali, oppure dalla disarmante interpretazione di Holy Diver, immortale hit firmata Ronnie James Dio, perché queste sono le mille sfaccettature cerebrali di un genio trasversale e istrionico, un talento che ha bisogno di esprimersi a modo suo, calando qualche asso nella manica (Mrs. Modern Mother May) e qualche esperimento meno riuscito (Linoleum; Chain Sling).
I am an old bird / Careworn from flying / I'm caught in a downwind / Far from home…
Leggendo il testo della title-track risulta piuttosto chiaro l'intento della band di perseguire più una strada calma e riflessiva, piuttosto che complessa e strutturata. I nuovi Pain of Salvation sono questi: una summa poco algebrica ma emozionale di raffinatissimo prog-rock anni '70, contaminato dagli arcobaleni cerebrali di Gildenlöw e dalla strumentazione analogica e cruda. Falling Home è il nuovo immerso nel vecchio, ma -infine- soltanto un'altra faccia della medaglia universale della storica band svedese. Nonostante la versione originale sia immortale, risulta essere molto toccante la ballad Perfect Day, scritta da Lou Reed quarant'anni fa e qui magistralmente interpretata da un D.G. sugli scudi, il quale riesce a coprire praticamente ogni sfumatura vocale possibile all'interno di ogni singolo brano. Davvero mostruoso il talento del cantante-musicista che sembra migliorarsi sempre e che qui lascia raramente spazio alle doti chitarristiche di Zolberg.
Concludendo, Falling Home è un album particolare, da ascoltare in un salotto, circondati da vecchi mobili di legno, tappeti vecchi come il mondo e accompagnati da un buon vino rosso. È un album folle ma riflessivo, che crea ossimori all'interno di certezze progressive e, anche se distante dall'essere in qualche modo considerato imprescindibile, questo nuovo puzzle musicale si lascia ascoltare piacevolmente, rispecchiando bene il nuovo punto di vista musicale della band di Daniel Gildenlöw, che ha da poco ribadito il suo amore verso tutto ciò che è in qualche modo retrò.
VOTO Prima Recensione: 70
Le band trasversali nel mondo del prog si contano sulle dita di una mano. Se al pollice non possono che corrispondere i Dream Theater, seguiti da Opeth e Tool, ecco che l'anulare è dei Pain of Salvation ed ecco perché ogni uscita del combo svedese è da prima pagina nel mondo del metal; ovviamente questo Falling Home non fa eccezione. Esprimo immediatamente il mio pensiero (che è personale, criticabile e assolutamente non condivisibile): una band con il passato, la storia e le capacità dei Pain of Salvation non può permettersi un album del genere. Dopo i due Road Salt serviva qualcosa che riavvicinasse il pubblico, il quale difficilmente in un periodo come questo ha voglia di questo genere di prodotti. Si tratta di una raccolta di riarrangiamenti acustici di pezzi importanti (quale più, quale meno) della discografia del combo svedese con due cover ed un inedito. Questi sono album pensati per i fan inossidabili di una particolare band, non per conquistarne di nuovi o farsi perdonare dai vecchi delusi.
Ciononostante l'obiettività impone di considerare la qualità globale dei pezzi e qui, alla fin dei conti, c'è del buono. Le nuove versioni sono veramente quasi sempre irriconoscibili rispetto alle originali (ascoltate le due versioni dell'opener Stress, oppure le versioni di Mrs Modern Mother Mary e ve ne renderete conto) e trovano ispirazioni inaspettate: dalle reminiscenze quasi western di To The Shoreline (che per qualche motivo mi ha ricordato un film come "Django Unchained"), fino ad atmosfere degne del migliore Danny Elfman come in Chain Sling, passando per il parlato di Spitfall. Purtroppo l'inedita title-track lascia un po' l'amaro in bocca, risultando buona ma certo non trascendentale. Una menzione a parte la meritano le due cover. Holy Diver in versione jazz/reggae fa sorridere, è un po' come ascoltare i Children Of Bodom alle prese con una cover di Britney Spears, ma lascia il tempo che trova. La cover di Lou Reed, Perfect Day, invece è magistrale, bellissima e commovente, anche se non aggiunge né toglie nulla alla versione originale.
Insomma, come album lascia un po' l'amaro in bocca, non per limiti formali (commercialmente tuttavia prevedo un suicidio), ma perché lascia il seguente dubbio: ma negli anni del download, degli album ascoltati su YouTube ha senso una release del genere? Oppure, ha perfino senso chiamarla "release"? I soldi sono sempre meno e se uno deve spenderli, li spende per inediti, ma inediti ben suonati e che lasciano qualcosa; l'era del "Best Of", del "Unplugged" e del "Mariottide canta Shakira" è finita, e spero non torni mai più. Le capacità dei Pain of Salvation sono conosciute da ormai tutto il mondo metallico e francamente dopo le discussioni del precedente doppio capitolo mi sarei aspettato un album più coraggioso piuttosto che una compilation acustica. Poi certo, l'album è godibile, ben suonato e ben prodotto (ma su questi aspetti non avevo dubbi); perfetto per una serata con gli amici a giocare a Texas Hold' em bevendo birra artigianale. Indicato in particolare modo a chi non può permettersi di farsi sfuggire un'uscita del combo a costo della propria vita, ma dopo i due album precedenti ditemi quanti siete. Se ancora non avete niente degli svedesi procuratevi immediatamente The Perfect Element e One Hour by the Concrete Lake ma non partite da qui.
VOTO Seconda Recensione: 55
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11
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stupendo, merita almeno 85 |
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10
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Quoto assolutamente... In the Passing Light of Day è il disco che non credevo ch avrei più sentito dai Pain of Salvation, da brividi. Non vedo l' ora di leggere la vostra recensione |
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9
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La title track la consumo giorno dopo giorno ... quanto è bella!!! Ed ora avendo tra le mani in the passing light day non posso che dire ... bentornati alla grande ed emozionante musica!!! Grazie pos.. o meglio grazie Daniel!!! |
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8
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da fan "storico" della band, comprendo perfettamente gli appunti che sandman fa ad un'uscita come questa, che può piacere o meno ma resta comunque un divertissement. personalmente ho apprezzato la vena sghemba delle riproposizioni di Stress e Mrs. Modern Mother Mary, mi fa sperare in un futuro disco meno calligrafico dei due Road Salt (che, al netto di alcune canzoni completamente fuori da ogni metro di giudizio, impallidiscono di fronte ad un qualsiasi altro disco random dei nostri, anche senza metterli a confronto per forza con i capolavori). inoltre, dopo quel che ha passato Daniel, un ritorno pennellato all'acquerello invece che alla Pollock ci può stare. ah, per me l'highlight del disco è senza dubbio Flame To The Moth, e di parecchio |
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7
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beh detta così sembro un vecchio dinosauro, poi che auspichi i ritorni a certe sonorità (ma intendevo anche a certe idee che ormai secondo me mancano) è vero. Vorrei anche dire che cerco, come tutti, di non distinguere tra vecchio e nuovo ma tra buono e scarso. PS: al terzo capitolo effettivamente non ci avevo pensato |
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6
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@sandman: a dirla tutta, il fatto che auspicheresti a un ritorno a sonorità e attitudini ormai vecchie di tre lustri non c'è bisogno di leggerlo fra le righe: lo hai scritto in maniera evidente in calce alla recensione. Comunque, se non ricordo male, la vicenda di The Perfect Element presupponeva tre capitoli, quindi puoi sperarci. |
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5
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@Absynthe: ero conscio delle intenzioni dei PoS, ma ciò nonostante penso che bisogna considerare il risultato finito. Come disse Telespalla Bob: non ha senso un'accusa di tentato omicidio dato che non danno il Nobel per tentata fisica. Certo intervengono a questo punto i fattori umani come dici giustamente tu nel tuo commento, ma questi devono influire fino ad un certo punto. L' album me lo sono abbastanza goduto, come detto nella recensione, ma non era quello che speravo dai PoS, specialmente a livello di ispirazione. magari sono un pò anch'io che dagli In Flames si aspetta un nuovo Colony e dei Dark tranquillity un nuovo The Gallery ma così è. più che altro speravo di scatenare un piccolo dibattito. |
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4
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@sandman: in realtà, la tua è un'ottima recensione, le cui osservazioni paiono quasi tutte legittime (al netto dei gusti personali); l'unica sulla quale mi sei sembrato meno informato è sulla natura di questa uscita, la quale non è semplicemente un cambio d'abito ai loro classici ma consiste di registrazioni in presa diretta, sopperendo così alla mancata registrazione live del tour precedente causata dalla pericolosa infezione di Daniel Gildenlöw. Nelle intenzioni doveva essere una testimonianza dal vivo; negli esiti un live in studio. In tutti i modi, credo che, pur concordando sulla pressoché nulla utilità in termini discografici, il peggio in questo senso sia comunque rappresentato dai vari Anniversary Edition, Completely Remixed o, nella migliore delle ipotesi, Re-recorded (vedi ultima, inutile operazione Whitesnake). Qui se non altro si "dissacra" il proprio e l'altrui lavoro con la stessa genuinità, e a me è parso godibile (avendo, oltretutto, accolto con favore la virata dei due Road Salt). |
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3
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certo che come primavrecensione non porta bene visto che nessuno è d'ccordo con me XD |
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2
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Non ho mai seguito i PoS ma quest'album mi piace molto. |
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1
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Perfettamente in linea col Ferdenzi. Tutt'altro che deludente per il sottoscritto, Falling Home è un album (e una canzone) che parla a chi vuol farsi parlare. 75. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Stress 2. Linoleum 3. To the Shoreline 4. Holy Diver (DIO cover) 5. 1979 6. Chain Sling 7. Perfect Day (Lou Reed cover) 8. Mrs. Modern Mother May 9. Flame to the Moth 10. Spitfall 11. Falling Home
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Line Up
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Daniel Gildenlöw (Voce, Chitarra) Ragnar Zolberg (Chitarra, Voce) Daniel Karlsson (Tastiere) Gustaf Hielm (Basso, Voce) Leo Magarit (Batteria)
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