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Orphaned Land - Unsung Prophets & Dead Messiahs
05/06/2018
( 3904 letture )
Dopo ben 5 anni di assenza dallo studio, gli Oprhaned Land fanno ritorno sul mercato discografico con il loro sesto LP. Per chi non li conoscesse è bene capire che si parla di una band più unica che rara. Senza andare troppo a scavare nel passato, ma concentrandoci sugli ultimi lavori, possiamo inserirli a pieno titolo nel movimento metal progressive. Per quanto il genere di base sia abbastanza standard, ci sono due fattori che li rendono veramente unici: l’immensa componente microtonale (che fa uso cioè di tonalità ibride non conformi alla classica scala cromatica) e i temi trattati nei testi. Da Mabool in poi, il gruppo israeliano ha concepito ogni album in modo da avere un concetto comune e un'estetica unica. In particolare, in tutti gli album, il tema ricorrente è quello delle tre grandi religioni monoteiste che, secondo la visione del gruppo, dovrebbero accettare il fatto di essere figlie dello stesso Dio che parla attraverso diversi profeti. Con il lavoro del 2013, All is One, il messaggio perde le figure retoriche e le metafore, molto utilizzate in passato, e i temi vengono affrontati in modo più asciutto e diretto. Oltre all’abbandono della retorica per veicolare i concetti, quel disco presenta una svolta importante a livello musicale: la componente microtonale raggiunge i massimi storici, le composizioni si alleggeriscono, il growl, fino a quel momento molto presente, svanisce quasi totalmente e il sound vira verso lidi più melodici, complice anche il massiccio uso di sezione d’archi e cori. Inoltre, nel tour di All is One Yossi Sassi, polistrumentista e fondatore della band, prende parte a poche date, annunciando poco tempo dopo l’abbandono definitivo del progetto. In quello stesso tour, chitarre, bouzouki e gli altri strumenti storicamente affidati alle sapienti mani di Yossi passano a Idan Amsalem, che a tutt’oggi risulta stabilmente in line-up. Finite le presentazioni della band passiamo al tema più importante: Unsung Prophets & Dead Messiahs. Fino ad oggi, infatti, gli Orphaned Land non hanno mai sbagliato un disco, inanellando una serie di capolavori la cui superiorità è decretabile solo in virtù del gusto personale.

Considerata una carriera del genere è naturale iniziare l’ascolto con elevate aspettative. Prima di analizzare il lato musicale è bene però aver chiaro il concetto intrinseco di questo sesto lavoro. Quando parliamo degli Orphaned Land la componente sonora è fittamente legata al messaggio, che se non viene compreso appieno fa perdere di senso il lato musicale. Il tema portante nasce da una personale rivisitazione del mito della caverna di Platone. Infatti, il brano di apertura The Cave è un chiaro rimando all’opera del filosofo greco, e svolge il compito di anticipare sinteticamente i temi trattati nell’album. Tutti i brani vertono sullo stesso topos, quello dell’uomo che vive in una confortevole schiavitù (il tema verrà approfondito meglio più avanti), ed ogni pezzo eviscera una particolare forma in cui questo avviene. Il nome Unsung Prophets & Dead Messiahs tratta infatti un tema importantissimo all’interno dell’album: in molti casi si parla di piccoli eroi che cercano di svegliare gli uomini dall’atavico sopore mostrandogli la luce. Ma questo tentativo è sempre vano, a causa della sostanziale volontà degli uomini di rimanere legati alle proprie catene. Kobi Fahri, in alcuni punti, sembra quasi prendere coscienza del fatto che l’uomo medio parla di libertà, desiderandola anche, ma non è pronto e soprattutto disposto a pagarne il prezzo, preferendole un'esistenza mediocre ma in fin dei conti comoda.

L’artwork, come sempre, è estremamente curato e anticipa chiaramente il messaggio contenuto all’interno. In All is One, per esempio, era l’unificazione delle tre religioni e infatti sulla copertina vi era raffigurato un solo simbolo che conteneva stella di David, mezza luna e croce. Qui invece il focus sono gli schiavi e i loro “schiavisti”. Oltre all’occhio che tutto vede, incorniciato da squadra e compasso, appaiono un testo sacro, degli ingranaggi e pistole e proiettili, che circondano un pugno che si erge verso il cielo. Pur essendo meno piacevole della precedente da un punto di vista estetico, risultando anche un po’ caotica, l’immagine è una perfetta sintesi del messaggio del disco e pertanto non si può non considerarla un valore aggiunto.

Il platter, come anticipato, si apre con The Cave, brano ispirato al mito della caverna di Platone. Come nello scritto del poeta ateniese, viene utilizzata la figura retorica degli schiavi detenuti in una grotta, incatenati e costretti a guardare un muro. Alle loro spalle arde un grande focolare, che proietta sul muro le ombre del mondo, ombre su cui i detenuti basano la loro percezione della realtà. La vita, la morte, le catene, gli dèi e le speranze sono legati in una danza di sagome che assorbe totalmente la mente degli schiavi, rendendo inconcepibile l’esistenza della luce del sole. Se qualcuno immaginasse quella luce sarebbe zittito dagli altri, ormai talmente assuefatti all’oscurità da vedere nella luce un nemico da combattere. Il senso di dipendenza da quella condizione entra in conflitto con la frustrazione di chi la luce ancora riesce a vederla e sognarla, ed è proprio questo che riscontriamo musicalmente. Le atmosfere arabe dal sapore quasi liturgico collidono in modo vigoroso con le parti più violente, a volte rimarcate da un growl profondo e sofferto. Questa alternanza ci accompagna in uno dei brani più lunghi e complessi dell’album che, come detto in precedenza, ha il compito di sintetizzare tutto ciò che lo segue. We Do Not Resist è invece il brano più violento dell’album, in cui il growl e le timbriche thrash/death raggiungono i picchi massimi. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria invettiva contro il mondo materialista che impone le proprie regole, riempiendo di menzogne le menti dei semplici per poi costringerli a compiere atti efferati sotto l’effetto di una droga chiamata ideologia. Su In Propaganda sia le tematiche che le timbriche costituiscono sostanzialmente un continuum con il brano precedente, anche se caratterizzate da minore intensità. All Knowing Eye invece cambia tendenza dal punto di vista musicale, pur mantenendosi in linea con le tematiche. Si tratta di una ballad molto semplice dotata di una discreta carica emotiva. Forzando un parallelismo, siamo ad anni luce di distanza dai livelli di Brother, le armonie sono al limite del banale e solo le buone performance dei singoli rendono il brano accettabile. In Yedidi l’utilizzo delle microtonalità raggiunge le massime vette, di perfetto accordo con il testo in ebraico. Chains Fall to Gravity è il brano più lungo dell’album e forse anche il più progressivo. Nelle sue innumerevoli variazioni c’è da sottolineare l’immensa prova strumentale del quintetto israeliano. Da segnalare l’importantissima collaborazione con Steve Hackett che influenza in modo importante il sound generale. La grande complessità di intrecci è, anche in questo caso, strettamente legata al testo, che narra la presa di coscienza dell’uomo che si erge al di sopra della mediocrità, diventando di fatto un messia. L’unico difetto che si può evidenziare è legato alle linee vocali, che in alcuni momenti risultano poco ispirate. Gli ultimi sette brani possono essere definiti una ulteriore enucleazione dei precedenti, sia a livello musicale che tematico. Il fattore qualitativo resta più o meno stabile, non vi sono pezzi strabilianti né picchi negativi particolari, per cui non ha molto senso dilungarsi ulteriormente.

È sempre difficile dare un giudizio su questa band, data la quasi totale assenza di termini di paragone e l’estrema varietà di addendi da considerare. Il loro stile è unico, su questo non ci sono dubbi, e questo fattore limita fortemente la critica oggettiva, lasciando alla soggettività gran parte della scena. Valutare l’originalità è senz’altro un problema, dal momento che le similitudini con il passato creano un annoso dilemma: le consideriamo il loro marchio di fabbrica oppure è autocitazione? Cercando quindi di tralasciare tutto ciò che rientra nell’opinabile, concentriamoci su quelli che sono i fattori più tecnici e quindi più oggettivi. La qualità esecutiva e di produzione (ricordiamo che c’è un certo Steven Wilson a lavorare dietro le quinte) è assolutamente ineccepibile e di per sé li piazza ai vertici delle release dell’anno. A livello compositivo c’è stata una flessione generale rispetto al passato, ma non è dato sapere se ciò è dovuto all’uscita di Sassi oppure si tratta di un calo fisiologico dopo 5 capolavori consecutivi. Dal punto di vista musicale vediamo un ritorno a sonorità più pesanti che farà contenti molti vecchi fan, giungendo in alcuni momenti al puro thrash/death. Questo cambio è strettamente legato alle tematiche, come già accennato: infatti, a differenza di All is One, dove il messaggio era fondamentalmente di amore, qui è la rabbia a dettare il passo. Anche la componente progressiva è meno marcata rispetto agli ultimi lavori, portando ad un risultato che appare più diretto per certi aspetti ma molto meno orecchiabile per altri, anche a causa delle melodie molto più dure e taglienti. Nonostante tutto, il fine principale, ossia quello di trasmettere dei messaggi, è riuscito in pieno e l’omogeneità di testo e musica dona senz’altro un peso artistico di tutto rispetto. Volendo fare una sintesi, è sicuramente un prodotto di qualità elevatissima, anche se musicalmente meno ispirato dei precedenti. Un album che potrà sicuramente dare grandi emozioni a chi apprezza determinate sonorità, ma, come di consueto, i loro dischi non sono per tutti.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
92 su 17 voti [ VOTA]
duke
Domenica 26 Aprile 2020, 13.14.59
25
...un bel disco....arricchito dalla partecipazione di ospiti illustri....innovativi sia dal punto di vista musicale.....che per quanto riguarda i testi.....non banali....finalmente qualcosa di positivo....basta con l'esaltazione della negativita'.....qualcosa di piu' costruttivo....
Todbringer83
Domenica 15 Luglio 2018, 16.36.40
24
Band che soffre a mio avviso della dipartita di Yossi Sassi. A livello compositivo è molto variegato ma allo stesso tempo più banale rispetto ai capolavori del passato. C'è qualche filler di troppo a mio avviso. Tutto sommato trovo che sia un lavoro godibile ma lontano da quella che è la valutazione generale. Voto 75 per me
paju
Martedì 19 Giugno 2018, 14.40.24
23
disco starordinario. sicuramente uno dei pochi gruppi che fa ben sperare per la sopravvivenza del Metal. senza dovere dare etichette e altro. poi al di la di stili ecc ecc buona musica e buon contenuto lirico. bravi
mikmar
Domenica 10 Giugno 2018, 16.39.24
22
Infatti i Ghost erano stati tirati in ballo non per le analogie con gli Orphaned Land, che non ce ne sono di nessun tipo, era soltanto per confrontare chi fa successo più o meno con merito (Ghost) e chi non lo fa ingiustamente, pur avendo uno spessore ed un valore musicale molto superiore (Orphaned Land).
duke
Domenica 10 Giugno 2018, 14.12.01
21
i ghost sono solo immagine e poco contenuto......gli orphaned land piu' contenuto....non confrontiamo le due bands,please......i ghost se non avessero quei travestimenti e tutte quelle minkiate di contorno non li considerebbe nessuno.....come i mayhem ed affini....
mikmar
Venerdì 8 Giugno 2018, 23.59.29
20
Sicuramente, io mi riferivo al successo ed alla visibilità, che purtroppo e sempre troppo spesso non raggiunge chi lo merita di più. Un'altro esempio è Steve Jobs rispetto a Dennis Ritchie. Steve Jobs e Dennis Ritchie sono morti lo stesso giorno più o meno, ma Steve Jobs che non ha inventato praticamente niente ma è stato solo un ottimo venditore, è stato considerato un semidio, mentre Dennis Ritchie che ha inventato il C, il linguaggio per computer che ha rivoluzionato l'informatica, nessuno sa chi è.
Francesco
Venerdì 8 Giugno 2018, 23.51.19
19
Non si può fare un paragone. I ghost sono estremamente più diretti e inoltre dalla loro hanno una estetica importante. Gli orphaned è normale che siano più di nicchia
mikmar
Venerdì 8 Giugno 2018, 23.47.42
18
qui non ci sarebbe paragone, ma proprio è tutto un'altro spessore ... Ma lo so, i Ghost fanno musica più pop ed easy listening, qua invece parliamo di roba più sofisticata, ma non troppo a mio avviso. Di melodie e roba a presa rapida, se vogliamo gli Orphaned Land ne offrono veramente tanta, specialmente negli ultimi due dischi. Quindi mah ...
mikmar
Venerdì 8 Giugno 2018, 23.42.18
17
E tanto per dire chi merita il successo e chi di più, i Ghost che proprio adesso fanno uscire il nuovo disco, subito il doppio dei commenti rispetto a questa recensione in metà del tempo... I Ghost meritano il loro successo anche se a me non piacciono, ma gli Orphaned Land molto ma molto di più di loro a mio avviso. E non voglio parlare di tecnica perchè non ci sarebbe paragone, e neanche di qualità compositiva, perchè anche
mikmar
Venerdì 8 Giugno 2018, 12.43.08
16
Per quanto riguarda i primi due album degli Orphaned anche a me non piacciono, ma da Mabool in poi hanno fatto 4 dischi stratosferici !! A chi non piace il growl, si perde qualcosa di fantastico, anche perchè Kobi Fahri è secondo me uno dei più grandi cantanti che ci sono oggi a 360 gradi di tutto il metal !!! Ha una grandissima duttilità che pochissimi hanno, passare dal cantato arabesco alla muezzin al growl così di qualità è una cosa pazzesca !!
tino
Giovedì 7 Giugno 2018, 16.53.31
15
L’unico disco che mi piace veramente è all is one perché è il più orecchiabile nonostante arrangiamenti tutt’altro che banali e notevoli doti tecniche. I primi pluriosannati non li trovo interessanti, troppo growl e troppo prolissi, mi ricordano i primi opeth che all’epoca divoravo e ora invece mi annoiano. I dream theater non li scomodiamo, fanno altro e si meritano il loro successo, che poi se lo meritino anche gli israeliani ci sta tutto, ma ricordiamo anche che hanno un backgroud che viene dalla scena estrema e quello crea pregiudizi. Chi ascolta i dream theater o i rush non sempre hanno piacere a sentire growl, anzi (ne ho conosciuti diversi)
mikmar
Giovedì 7 Giugno 2018, 16.30.36
14
Io ancora non mi capacito che questo gruppo non ha il successo che merita. Lo vedo dai loro concerti dove ci sono ancora troppe poche persone ... GLi Orphaned Land dovrebbero avere la stesso successo almeno dei Dream Theater a mio avviso. E io sono un megafan dei Dream Theater.
Graziano
Giovedì 7 Giugno 2018, 15.51.37
13
Mi ricordo un lontano Evolution festival (il primo), carico duro dopo aver acquistato Mabool perchè finalmente fui in grado di vederli dal vivo. Allora non pochi amici mi presero per i fondelli. Ora son tutti esaltati per questo nuovo splendido album... I tempi cambiano....e io mi godo la rivincita.
tino
Giovedì 7 Giugno 2018, 13.42.27
12
Meglio il lambrusco di Sorbara
Le Marquis de Fremont
Giovedì 7 Giugno 2018, 13.35.18
11
Voilà Monsieur TheSkullBenrathTheSkin, ci sono Muller Thurgau e Muller Thurgau. Se prova il San Lorenz 2015 di Bellaveder o le produzioni di Winzerverein Hagnau, sempre 2015 (sia trocken che halbtrocken), probabilmente sentirà che non è solo il naso (ci sono vini più "profumati" e che bene si accostano alla musica avvolgente degli Orphaned Land, con un tocco di growl. Se mi permette, l'Amarone è un po' troppo "intenso" per le calde sere d'estate. Aspettiamo l'autunno con i funghi e i tartufi. Poi, dopocena, preferisco la Grappa. Au revoir.
Daveg68
Mercoledì 6 Giugno 2018, 22.44.14
10
Disco immenso. Per me disco dell'anno. Un lavoro davvero ispirato e suonato come dio comanda. Adoro questa band.
Danimanzo
Mercoledì 6 Giugno 2018, 17.10.55
9
Ennesimo discone sopraffino da parte di una delle migliori band degli ultimi 30 anni. Certa magia che me ne ha fatto innamorare agli inizi è ormai svanita, ma ogni lavoro in studio e relativo tour sono una garanzia che si posiziona tranquillamente molte spanne sopra la media delle uscite di genere. Voto 88/100.
TheSkullBeneathTheSkin
Mercoledì 6 Giugno 2018, 13.51.13
8
il muller thurgau non è metal, è un vinello pop sopravvalutatissimo che tolto il profumo non ha nulla da dire: dissento fortemente dall'accostamento con gli Orphaned Land. Dopo cena, con un pezzo di cioccolato fondente, per meditare, con l'unico vino che -come gli orphaned- non conosce eguali, amarone della valpolicella
Le Marquis de Fremont
Mercoledì 6 Giugno 2018, 12.57.38
7
Anche questa una ottima recensione, complimenti. Non concordo molto sul fatto che All is One sia superiore. Pour moi, questo indurirsi di alcune parti del sound e il growl me lo fa piacere di più. Siamo sempre su livelli di easy listening, se pur di grande classe compositiva. Naturalmente apprezzo la parte testuale e le argomentazioni non banali. Questo va a loro favore. Sicuramente un disco che ascolterò con dell'ottimo Muller Thurgau, a orario di aperitivo. Au revoir.
Deris
Mercoledì 6 Giugno 2018, 12.12.56
6
Attualmente,secondo me,la miglior band in circolazione
duke
Martedì 5 Giugno 2018, 21.32.08
5
skull?il whitemetal e' un termine gia' esistente....vedi il doom dei trouble....metal con testi piu' elevati non solo le solite zozzerie dei blackmetallers....
duke
Martedì 5 Giugno 2018, 21.28.36
4
grande band...li seguo dal demotape...al debutto su holy records e da anni su century media.....particolari e molto interessanti.....
progster78
Martedì 5 Giugno 2018, 18.07.00
3
Leggermente inferiore a "All Is One" ma sempre grandioso! Gli Orphaned Land non hanno niente da invidiare agli Opeth!
TheSkullBeneathTheSkin
Martedì 5 Giugno 2018, 15.51.43
2
A me è piaciuto ma non posso che condividere il lieve calo generale di cui fa menzione la recensione, anche il voto è adeguato. Chi non li sopportava prima non comincerà certo adesso, i pezzi più canonici non so quanto possano fare la gioia dei vecchi fans... infatti imho il meglio di questo album sta nel trittico "The Cave" (stupenda l'entrata del growl) più la coppia inseparabile "Propaganda" ed "All knowing eye" con quest'ultima che emozionalmente raggiunge un picco inedito, almeno per me: sembra l'opposto del black, ma ugualmente evocativo e sì, dannatamente liturgico (precision togli pure il "quasi"). Una vera quisitezza. Non so, voi che ne sapete, esiste il white-metal?
mikmar
Martedì 5 Giugno 2018, 15.36.27
1
Per me ennesimo disco straordinario degli Orphaned Land. Il mio giudizio numerico è 90. Concordo con l'ottimo recensore che questa opera, perchè così definisco ogni album della band, non ha pezzi che raggiungono apici eccelsi come ad esempio in The Neverending..., ma è molto compatto e non c'è un pezzo brutto (Yedidi è l'unica eccezione, ma è chiaramente uno stacco folkoristico più che un vero brano con delle pretese). Mi sembra che questo disco metta un pò a fattor comune le ultime due uscite della band, e comunque il risultato è stupendo come al solito. GRANDISSIMI ORPHANED LAND !!!!
INFORMAZIONI
2018
Century Media Records
Prog Metal
Tracklist
1. The Cave
2. We Do Not Resist
3. In Propaganda
4. All Knowing Eye
5. Yedidi
6. Chains Fall To Gravity
7. Like Orpheus
8. Poets Of Prophetic Messianism
9. Left Behind
10. My Brother's Keeper
11. Take My Hand
12. Only The Dead Have Seen The End Of War
13. The Manifest - Epilogue
Line Up
Kobi Farhi (Voce)
Idan Amsalem (Chitarra, Bouzouki)
Chen Balbus (Chitarra, Saz)
Uri Zelcha (Basso)
Matan Shmuely (Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti:
Noa Gruman (Voce)
Shlomit Levi (Voce)
Hansi Kürsch (Voce)
Tomas Lindberg (Voce)
Omer Lempert (Vocoder)
Steve Hackett (Chitarra)
Michael Elul (Tastiere)
Hellscore Choir (Cori)
The Orphaned Land Oriental Orchestra (Violino, Viola, Violoncello)
 
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