Nella Norvegia dominata dal black metal rozzo e violento, alcune band decisero di seminare qualcosa di nuovo in questo terreno fertile. Nel 1995 Ved Buens Ende e Fleurety pubblicarono due album che, pur con diversa fortuna, indicarono la via per un nuovo modo di fare black metal.
ANNO DOMINI 1995. UNA FRATTURA NELLA FRATTURA.
La Norvegia degli anni ’90 è divenuta un punto di riferimento musicale grazie alla genesi di un genere, il black metal, che rappresentava un momento di straordinaria frattura all’interno del panorama musicale metal e non solo. All’interno di questa, nel giro di pochissimo tempo, ebbe modo di svilupparsi un’ulteriore frattura, che “sopravvisse all’intenso processo di unificazione che avvenne in Norvegia nei primi anni Novanta” (Black Metal: Evolution of the Cult, Dayal Patterson). La furia gelida di band come Mayhem e Darkthrone divenne non più il punto di arrivo ma di partenza. Il motivo è da ricercarsi, secondo Patterson, nella figura di Euronymous. Scrive così Patterson:
Euronymous può aver richiesto uniformità di estetica e intenti, […] -invero, definendo il genere esclusivamente per il suo ethos satanico, Euronymous ha liberato molti musicisti dal punto di vista della creatività.
Come citato nel medesimo libro, Kristoffer “Garm” Rygg ricorda come, prima della cristallizzazione del genere –“principalmente dovuta a Burzum e Darkthrone” (“primarily due to Burzum and Darkthrone”, Dayal Patterson, op. cit.)-, fosse imperativo per le band l’essere uniche ed originali. Si sviluppò, così, un nuovo modo di realizzare e pensare la musica estrema, un modo, se vogliamo, più progressive: utilizziamo, qui, questo termine prendendolo in prestito dal libro di Jeff Wagner intitolato “Prog Metal: Quarant’Anni di Heavy Metal Progressivo”, nella cui introduzione scrive che quello di progressive è un “concetto polivalente” e che il prog metal “è un approccio ma non una metodologia. […] È l’heavy metal portato in un territorio illuminante e a volte bizzarro”.
In seno alla nicchia del neonato black metal norreno, dicevamo, si venne a sviluppare ben presto un nugolo di band che, partendo dalle basi gettate dai padrini del genere, le contaminavano con numerosi altri generi ed influenze, non di rado anche assai distanti non solo dal black metal ma dal metal in generale. Questa musica, che da molti ascoltatori e musicisti era considerata un genere che doveva rispettare rigorosamente certi canoni, certi stilemi, venne profondamente rivoluzionata dall’interno: quegli stessi schemi infrangibili vennero infranti. Così facendo, queste band ebbero modo di trasformare l’immutabile black metal in uno dei generi più propensi a “mescolanze genetiche”, per usare un’espressione del libro di Wagner, rendendolo un movimento “sia intrepidamente pioneristico che violentemente conservativo” (“fearlessly pioneering and fiercely conservative”, Dayal Patterson, op. cit). Molto ben descrive questo “approccio” Ihsahn, una delle figure più importanti del black metal più raffinato, prima con gli Emperor e poi con l’eponimo progetto solista, in un’intervista riportata in Lords of Chaos di Michael Moynihan e Didrik Søderlind:
La gente dice che il satanismo e il black metal sono una cosa molto deleteria, ma è l’opposto. Sono sinonimi di creatività, perché portano a concentrarsi su sé stessi, sulla propria individualità, e sulle persone alle quali si tiene. Per arrivare a quello stato si deve rompere con quello che si aveva prima, creare uno spazio per tutte le nuove idee.
Questo black metal dall’animo progressivo, comunemente chiamato avantgarde metal -termine ombrello utile ad evitare etichette più specifiche e che racchiude band tra di loro assai distanti, stilisticamente e geograficamente, dagli Arcturus ai Diablo Swing Orchestra ai Thy Catafalque-, cominciò a delinearsi intorno al 1995, anno nel quale due band al loro primo full length pubblicato illuminarono la via: questi sono i Ved Buens Ende ed i Fleurety, autori rispettivamente di Written in Waters e di Min Tid Skall Komme. Si tratta di due dischi che hanno avuto diversa fortuna, il successo di Written in Waters è assai più ampio del debutto dei Fleurety, sebbene quest’ultimo non abbia nulla da invidiare a quello dei Ved Buens Ende. La musica suonata dai due gruppi avrà un’ampia risonanza sia dentro che fuori dai confini nazionali e segna l’inizio di questa straordinaria, quanto spesso angosciante ed oscura, avventura chiamata avantgarde metal.
GIUSTIFICARE L’ESISTENZA.
Maggio 1995: esce Battles in the North degli Immortal e la title track che apre le danze principia con un turbine di chitarre distorte accompagnate dalla doppia cassa della batteria, per poi esplodere nella furia di blast beat e scream propria del black metal.
Giugno 1995: esce Panzerfaust dei Darkthrone. La prima canzone del disco, En Vind av Sorg, inizia con chitarre “a zanzara”, blast beat e scream acido e corrosivo.
Agosto 1995: i Fleurety pubblicano il loro primo full lenght, Min Tid Skall Komme. Una dolce chitarra è accompagnata dal quieto basso e da una batteria tranquilla ed insieme introducono a Fragmenter av en Fortid. La sensazione che si ha è quella di star ascoltando un disco di rock progressivo degli anni Settanta, qualcosa a metà strada tra Renaissance, Pink Floyd e King Crimson, certo non un album black metal.
Già le prime note dell’lp di debutto dei Fleurety lasciano intendere cosa il black metal sarebbe potuto essere e cosa sarebbe effettivamente divenuto nell’arco di pochissimo tempo. In Min Tid Skall Komme assistiamo a musica che, come ogni buona avanguardia dovrebbe fare, trascende i confini rigidi della propria arte. Certamente il black metal svolge un ruolo vitale nella struttura del disco ma questo è solo una piccola, minuscola parte di un tutto assai più ampio e complesso. Passaggi prog, jazz, folk si insinuano nella ruvidezza del metallo norreno. La coppia composta da Alexander Nordgaren e Svein Egil Hatlevik si diverte e gioca con il pubblico, sin dalla copertina dell’album. Gli stereotipi visivi del black metal ci sono: i boschi, quelle che paiono lame, cinture di proiettili alla vita, bicromatismo (seppur virato ai toni di blu, invece del tradizionale bianco e nero). Ed è quasi un invito rassicurante per il blackster. Salvo, poi, rendersi conto di esser testimoni di qualcosa di straordinario, nel senso etimologico del termine, extra-ordinario, estraneo alla consuetudine. Numerosi sono gli elementi che causano scompenso nell’ascoltatore impreparato. Come detto, jazz e progressive rock sono due ingredienti di vitale importanza nell’album e l’implementazione di sintetizzatori con fini differenti da quelli di band come Emperor contribuisce enormemente nel trasformare la musica dei Fleurety in qualcosa di non ben definibile e, anzi, ispiratore di meravigliosi capolavori. Prendiamo Hvileløs, la terza traccia di Min Tid Skall Komme: è impossibile non ripensare agli Arcturus de La Masquerade Infernale, che uscirà due anni dopo questo disco. In una singola canzone di cinque minuti, i Fleurety hanno mostrato come far coesistere sonorità totalmente differenti, da quelle quasi circensi dell’inizio a quelle malinconiche del finale, in modo coerente. L’estrema originalità posta in essere dalla band non è solo mero eclettismo, volontà di apparire diversi per il solo gusto di esserlo:
[…] la tua band ha bisogno di identità per poter giustificare la tua esistenza.
Con queste parole la band ha spiegato il proprio impeto innovativo in un’intervista a Decibel. Nel corso degli anni, seppur con una produzione non floridissima, i Fleurety hanno proseguito questo processo di “giustificazione esistenziale”, modellando e innovando sempre il proprio sound, accodandosi a quelle entità proteiformi come Ulver e Manes.
STATUE NEL DESERTO
Due mesi dopo Min Tid Skall Komme, nell’ottobre del 1995, vide la luce anche Written in Waters, il disco che, più di ogni altro, giocherà un ruolo fondamentale nella nascita e nello sviluppo dell’avantgarde metal. Da questo album chiunque, nel nascente panorama avanguardistico, prenderà qualche cosa. La musica che occupa i circa sessanta minuti del primo ed unico lp dei Ved Buens Ende infesterà quasi tutta la futura produzione musicale del black metal più sperimentale. Questa è musica sgraziata, disarmonica e confusionaria. E proprio per questo funziona. Il “cantato pulito dal tono teatrale”, come descritto sulle nostre pagine da Federico Arata a.k.a. MrFreddy, i riff “terribilmente dissonanti”, il basso che “diventa uno strumento pressoché totalmente indipendente”, i “pattern erratici ed imprevedibili” della batteria: tutto, in Written in Waters tende a creare una sensazione di surrealismo particolarmente doloroso. Il dolore è, in fondo, ingrediente primario della musica, come sostenuto da Pietro Verri:
La grand’arte consiste a sapere con tanta destrezza distribuire allo spettatore delle piccole sensazioni dolorose […]. A tal proposito io osservo che sarebbe intollerabile una musica, se non vi fossero opportunamente collocate e sparse delle dissonanze, le quali cagionano una sensazione disaggradevole e in qualche modo dolorosa. [Pietro Verri, citato in “Kant e la Musica”, Piero Giordanetti]
La copertina del disco, dipinta da Lise Myhre, una artista sposatasi con ICS Vortex, l’attuale cantante degli Arcturus e bassista dei Borknagar, anticipa perfettamente questo surrealismo patologico che contraddistingue la musica dei Ved Buens Ende. In essa quattro statue dalle sembianze antropomorfe -alle quali se ne aggiungono altre due fuori campo, presenti solo con la mano e col braccio-, filiformi, dagli arti esili e fragili, che paiono composte di una qualche materia metallica piuttosto fluida, sono collocate in un deserto di sabbia rossa, sotto un cielo nero e minaccioso, in pose servili e sofferenti: Salvador Dalì incontra Giorgio De Chirico. Queste figure umanoidi paiono sciogliersi, versione antropomorfizzata dei celebri orologi molli de La Persistenza della Memoria, sotto il peso di qualcosa di invisibile e trascendentale ma terribilmente presente. Questa sensazione di gravità insieme tangibile e metafisica che la copertina evoca è la precisa traduzione visuale della musica proposta dai Ved Buens Ende. Il black metal infuso di aromi jazz è caustico e spiana la strada a quelle future misture musicali che, alla stregua di Written in Waters, non si limiteranno alla mera violenza sonora, distaccandosi così dalla tradizione “trve” del black metal: se questo potrebbe essere paragonato a delle pugnalate all’animo dell’ascoltatore, una ferita netta, profonda ed immediata, la musica proposta dai Ved Buens Ende e dai loro successori è più vicina ad una pressa che, lenta ma inarrestabile, lo schiaccia. È la sete in un deserto privo di oasi.
MAESTRI SILENZIOSI
Le carriere di Fleurety e Ved Buens Ende come band non hanno avuto un grandissimo sviluppo: i primi, da quel 1995 ad oggi, hanno prodotto solo altri due dischi, Department of Apocalyptic Affairs (2000) e The White Death (2017), con una pletora di EP nel mezzo; i secondi, invece, dopo essersi sciolti nel 1997, hanno provato un paio di volte a riunirsi, per poi puntualmente sciogliersi nuovamente a causa di divergenze artistiche. I membri dei Ved Buens Ende raccoglieranno ciò che hanno seminato con Written in Waters tramite i loro altri progetti: Skoll con gli Arcturus e con gli Ulver, Aggressor con Virus -la band nata dalle ceneri dei Ved Buens Ende- e, in misura minore, con Dødheimsgard (con i quali ha suonato sotto il nome di Czral in 666 International), ai quali, invece, ha legato indissolubilmente la propria carriera Vicotnik. Queste due band, nel loro stato di parziale o totale silenzio, hanno profondamente modificato la storia del metal estremo, maestri di alunni che hanno saputo, chi più e chi meno, coglierne gli insegnamenti e rendendo l’avantgarde una regione musicale tra le più floride ed affascinanti.
Di seguito trovate tutti i riferimenti bibliografici:
Black Metal: Evolution of the Cult, Dayal Patterson (Feral House, 484 p.)
Prog Metal: Quarant’Anni di Heavy Metal Progressivo, Jeff Wagner (Tsunami, 368 p.)
Lords of Chaos. La Storia Insanguinata del Metal Satanico, Michael Moynihan, Didrik Soderlind (Tsunami, 384 p.)
Kant e la Musica, Piero Giordanetti (CUEM, 250 p.)
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