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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Uriah Heep - Sweet Freedom
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Sappiamo tutti come la critica potesse essere recalcitrante, sul finire degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, nei confronti di tutta quella musica distante dalla propria dimensione che stava prendendo sempre più piede, affermandosi autoritariamente sia in Inghilterra che oltreoceano. Il rock, in tutte le sue sfumature, era la sonorità per eccellenza e troppo spesso i critici erano restii a comprenderla, ascoltarla e a porsi in una posizione umile di fronte a prodotti semplicemente innovativi, risultando prevenuti anche di fronte a quelli che poi saranno riconosciuti come veri capolavori e pietre miliari. Ed è così che agli esordi band come Velvet Underground, Pink Floyd, Black Sabbath e molti altri rischiarono la completa stroncatura da parte dei giornalisti di settore. Ecco, gli Uriah Heep non fecero minimamente eccezione; vennero completamente stroncati ed è ormai divenuto famoso il commento di Melissa Mills, giornalista di Rolling Stone, riportato integralmente nella recensione di Very ‘eavy, Very ‘umble.
Contestualizzato il periodo passiamo ora ad analizzare ciò che la band faceva proprio in questi che furono i loro anni più floridi: dal loro esordio nel 1970 la band era riuscita a pubblicare ben cinque album in studio ed un live, dimostrando la propria grandezza e attitudine, con tutti lavori estremamente curati, belli ed interessanti che infatti verranno riconosciuti successivamente come grandissime produzioni in quelli che si possono senza dubbio classificare come i migliori anni della band, anche grazie alla formazione “classica” che vedeva Byron alla voce ed Hensley alle tastiere. Dopo la doppietta Demons And Wizards/The Magician’s Birthday, che riusciva sapientemente ad unire hard rock, heavy e prog in uno stupendo unicum, il quintetto rientra in studio nel giugno del ’73 per poter incidere il successore, Sweet Freedom, che si classifica estremamente coerente con tutta la produzione della band, mantenendo quel combo di sfumature più che vincente. Il disco viene aperto dall’esplosiva Dreamer che tra susseguirsi di veloci riff, un drumming micidiale e delle linee vocali estremamente accattivanti mette immediatamente tutti in riga, attirando grande attenzione per quello che si preannuncia come l’ennesimo gran colpo da parte del gruppo inglese. Le parti soliste fanno scatenare la band come una vera furia, accompagnate dai vocalizzi di David che dimostra, come sempre, il proprio valore. Stealin’ è la vera e propria hit dell’album, nonché pezzo più famoso, che si apre con la linea di basso di Gary Thain accompagnato inizialmente solo dalla voce per poi arrivare ad un’esplosione del brano con tutti gli strumenti al gran completo. Si può subito intuire perché divenne immediatamente un successo, raggiungendo il diciottesimo posto della billboard inglese. Le tastiere di Hensley la fanno da padrone, creando un accompagnamento insieme alla sei corde del fidato Box più che unico. Il pezzo è mutevole, con arresti, ripartenze ed incursioni soliste di tastiere e chitarre allo stesso tempo, regalando momenti davvero alti. Una vena molto differente ha One Day che con la sua intro in bilico tra l’epico e il drammatico si evolve in un pezzo dal gusto particolare, lasciando una sensazione piacevole nell’ascoltatore che viene trascinato nel vorticoso brano dalle chitarre, giri di basso e cori arrivando a farne completamente parte. Sono nuovamente le tastiere a classificarsi come principale elemento nella title track del disco, Sweet Freedom, che con il suo inizio da cavalcata si fa classificare come un brano dalla spiccata vena emozionale, percepibile sia nel ritornello che nelle strofe e soprattutto negli intermezzi tastieristici di Ken Hensley. Una vena malinconica aleggia invece in If I Had the Time, dove tra effetti, tastiere e linee vocali la band crea una composizione davvero molto bella e singolare, sorretta da una linea di basso che si fa praticamente portante. Seven Stars è uno dei brani più “strani” del disco che riporta però il lavoro su ben altri lidi umorali, inserendo anche una parte acustica che rende ancora più incalzante l’andamento del brano, portato avanti tra cori e strofe che somigliano a filastrocche per come vengono cadenzate e recitate nelle linee vocali di Byron, tanto che sul finale si trasformano in un vero e proprio elenco delle lettere dell’alfabeto. Circus, una ballata acustica dalle venature estremamente pop e a tratti blueseggiante, svolge l’ottimo compito di accompagnarci per circa tre minuti con la sua dolcezza, tra armonici ed accordi vari. Il disco trova la sua degna chiusura in Pilmgrim brano più lungo ed evocativo dell’album. Come già con One Day l’apertura è a dir poco epica, per poi svilupparsi in una progressione continua che intervalla strofe a intermezzi musicali accompagnati da un coro, il quale fornisce una veste ancora più sontuosa al brano. Troviamo infine la parte solista, estremamente riuscita, sorretta da delle tastiere che sole potrebbero costituire già tutto lo scheletro del brano. L’espressività di Byron in questo pezzo è massima, tanto da portarlo ad utilizzare il falsetto sul finale, tra un susseguirsi di riff cupi ed inizialmente cadenzati, per poi velocizzarsi sempre di più e finire con una -più che azzeccata- parte in wah.
Così l’ennesimo lavoro degli Uriah Heep -il sesto in studio, settimo se contato anche il live, in un lasso di tempo che andava comprendendo appena tre anni di attività- si conclude, lasciando più che soddisfatti. Il disco non sfigura minimamente di fronte ai suoi grandi predecessori, classificandosi come l’ennesima carta vincente nella mano del gruppo inglese. Il connubio unico che il gruppo riesce a creare tra prog, hard rock ed heavy metal è sempre singolare e irripetibile, meritevole di lode per ogni soluzione trovata, che non risulta mai ripetitiva o stantia, facendo scuola per molte delle più grandi band heavy nate a seguire. Il sentimento messo dalla formazione all’interno del lavoro lo caratterizza ancor di più, facendo trasparire quel sentimento ed epicità che contribuisce a sfumare maggiormente un sound già ampiamente stratificato. Un altro gran prodotto, quindi, degno di lode, che purtroppo però si ritrova a segnare la fine del periodo migliore e più proficuo (musicalmente parlando) della band, la quale da qui in avanti comincerà ad inanellare dischi dalla qualità non più così costante fino alla dissoluzione della line up originale.
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16
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rischiosamente il mio preferito della Byron Era, ma tutta la carriera degli uriah heep è scintillante e meravigliosa |
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15
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Fantastico album, monumentale! |
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14
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Stupendo disco. Sotto certi aspetti lo preferisco a Look at Yourself e Salisbury, ma inferiore a Demons and Wizards. |
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13
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Album stupendo, intriso di misticismo progressivo, voto 90 |
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12
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Dopo la doppietta Demons and Wizards / The Magician's Birthday era praticamente impossibile ripetersi ancora a quei livelli... eppure con questo album non ci vanno poi così lontani. Specialmente il lato A è pressoché perfetto, con Stealin' ovviamente a fare da punta di diamante. Comunque grandissima band; dei 9 album con Byron giusto forse un paio sono un po' anonimi (comunque mai brutti e sempre con qualche gemma da ascoltare). Giusto il voto della recensione. |
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11
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grandissima band l unica dopo la santissima trinita (sabbath/purplezeppelin)ha riscuotere grandi consensi,questo album mi e sempre piaciuto e secondo me pur cambiando sonorita dopo l epoca byron anche con lewton hanno prodotto dischi stupendi almeno fino al 1979, forse l unica parte della loro discografia che mi affascina meno e il periodo 80/89 (anche se abominog lo reputo molto buono)poi si sono ripresi allagrande fino all ultimo splendido album del 2014 |
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10
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Esatto M68!!! ....band sottovalutata da certa stampa ma idolatrata dai fan!...capostipitI Dell 'evoluzione dell 'hard all'heavy metal dei Judas Priest e Iron Maiden esploso anni dopo tenendo sempre conto della classe ,phato ,e suggestivo prog dalle tinte darkeggianti( ( l'album ennesimo gioiello del targato Byron/Box/Hensley)voto 88! |
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9
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Uno dei gruppi rock piu' sottovalutati di sempre ed uno dei miei preferiti in assoluto.Nello specifico quest'album non e' il migliore della loro discografia ma e' comunque un ottimo lavoro che ha nella title-track in Pilgrim e sopratutto nella splendida Stealin' in suoi episodi migliori.URIAH HEEP FOREVER!! |
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8
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album un po' discontinuo comunque valido. Certo non il loro migliore voto 75 |
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7
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Apprezzo molto la band,ma ho l'impressione che questo sia un lavoro al di sotto delle loro potenzialità. So che nessuno può collezionare 6 successoni di seguito, e questo a me sembra più una vetrina per la voce penetrante e meritevole di Byron. Gareggia in logorrea con Ion Anderson degli Yes ? I musicisti sembrano solo un corollario. Inoltre in più di un passaggio il motivo è reiterato come quando mancano le idee e non si riesce a spiccare il volo.Anche la vena metal è diluita e graffia appena, giusto qualche assaggio... Sarà perche il confronto con gli altri album è inevitabile,ma col voto non riesco ad andare oltre 72... |
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6
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Pilgrim e Stealin' valgono i capolavori del passato, ma il resto non mi ha mai colpito più di tanto. Sicuramente quello che impressiona per precisione, gusto e fantasia è Gary Thain, un bassista spesso (sempre?) dimenticato al momento della compilazione delle classifiche. |
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5
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Album altresì bellissimo...lo preferisco al più acclamato The magician birthday...anche se di loro me ne piacciono davvero parecchi! Di sicuro la band Hard rock che preferisci dei 70. |
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4
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Album e band magnifici! |
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3
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Sì ,mitici, gruppo fenomenale, a volte hanno toppato qualche pezzo, secondo me, però sono stati e sono ancora dei grandi..... |
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2
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Disco questo che ho sempre apprezzato moltissimo, come tutta la musica degli Uriah Heep ed in particolar modo di Ken Hensley. |
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1
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Concordo con la rece, bello e malinconico quest'ultimo album della magnifica formazione "classica", di cui posseggo una bellissima versione in vinile del '73 che mi tengo stretta. E già che ci sono me lo vado a riascoltare.... Mitici Uriah! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Dreamer 2. Stealin' 3. One Day 4. Sweet Freedom 5. If I Had the Time 6. Seven Stars 7. Circus 8. Pilgrim
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Line Up
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David Byron (Voce) Mick Box (Chitarra) Ken Hensley (Tastiera) Gary Thain (Basso) Lee Kerslake (Batteria)
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RECENSIONI |
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