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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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18/01/2020
( 2811 letture )
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Conquest è il tredicesimo album in studio dei britannici Uriah Heep. Editato nel febbraio 1980, è stato inciso lungo il ’79 a Londra, presso i Roundhouse Recording Studios, per una durata finale di poco inferiore ai 40 minuti di musica. Da questo platter, di sole 8 composizioni, vengono estratti ben 4 singoli che non faranno faville nelle classifiche. Viene pubblicato in tutto il mondo dalla Bronze Records, ma non in Nord America, dove era difficile reperirlo anche come importazione. E giocarsi il mercato statunitense, non è mai un bel passo iniziale, come la storia ci insegna. Questo è l'ultimo disco a cui partecipa il tastierista/organista Ken Hensley, a dimostrare che il biennio, 1979-80, fu un periodo di profondo cambiamento per il quintetto, con John Sloman che assunse il ruolo di voce principale, Lee Kerslake che uscirà da dietro il drumkit e il polistrumentista Ken Hensley che alla fine abbandonerà la band, pur figurando in line-up da studio. Senza trascurare il livore e le tensioni sempre crescenti tra i due leader Hensley e Box Alle registrazioni partecipano, solo in questo 33 giri, il batterista Chris Slade, che in seguito siederà dietro i tamburi degli Ac/Dc, e il valido frontman John Sloman. Il sound basato sul rock commerciale rappreso e sciorinato su questi solchi venne alquanto criticato, dando vita all'era più controversa del combo, con tanti fan concordi nel definire tali periodo e vinile una sorta di disastro. Alcune opinioni e recensioni positive giunsero dalla stampa, ma molti furono gli attacchi, il disco vendette discretamente, tanto da far capolino nella Top 40 del Regno Unito ma senza toccare vette dorate: va anche aggiunto che tutti e tre i precedenti dischi della band, con John Lawton, alla voce, non erano riusciti ad entrare in classifica, in madrepatria. La versione originale in Inghilterra venne pressata con una copertina singola opaca, con la scritta "Special 10th Anniversary Price £ 3,99", con fodera in cartoncino pesante, completa di testi, mentre la foto della cover, scattata da Martin Poole, si basa sulla famosa immagine del sollevamento della seconda bandiera a Iwo Jima.
Una band storica con diverse fasi, inutile farne la cronologia, ma i tempi di capolavori e release importanti come Demons & Wizards, The Magician's Birthday e Wonderworld appaiono distanti, con i riconoscimenti internazionali di cui avevano goduto pochi anni prima, irrimediabilmente perduti e lontani. Conquest non è un ellepì rovinoso ma mostra una pecca chiara, il perenne bilico tra sonorità leggere e pop e un tentativo di ritorno all’hard rock, un’indecisione chiara che trasuda dai pezzi proposti. L’opener No Return incarna questa filosofia in maniera palese, un pezzo in logica Supertramp, con l’ugola di John Sloman in grande evidenza, arrangiamenti e tastiere pop, solismo di Mick Box in chiave hard, Imagination, segnata da una buonissima performance del singer, vive su un'atmosfera brumosa che richiama alla mente alcune ballate del primo periodo della band, immettendo matrici prog e toste, con il piglio dell’opera rock e un basso in perenne evidenza. Anche Feelings e Fools si confermano brani attendibili, il primo percorso da power chords e cori di livello, il secondo con svisate della sei corde di talento indubbio e brividose, per una ballad crepuscolare, in chiave quasi AOR, che avrebbe potuto fare strada negli Usa, se solo fosse stata divulgata in quelle lande. Carry On è apatica e non lascia il segno, Won't Have To Wait Too Long cammina su un ponte tibetano sospeso tra il pop da chart dell’epoca e un rock edulcorato che non porta a nulla, anche per via di suoni scarsamente avvolgenti e poco convincenti. Out On The Street svolta chiaramente in direzione Led Zeppelin immettendo richiami indubbi a Page/Plant, mischiando elementi tipici del prog, con un risultato finale niente male, chiude i giochi It Ain't Easy, traccia che non ha punti di coinvolgimento eccelso per chi ascolta. 3 singoli presenti nel disco pubblicati, Carry On, Feelings, No Return, e un quarto come Think It Over, editato come single extra album, solo per appoggiare la nuova line-up e spingere il tour promozionale alla fine del 1980, con Gregg Dechert alle tastiere.
Conquest non è certo il masterpiece degli Uriah Heep e nemmeno un vinile che rimarrà nella storia lucente della musica di successo e devasta-classifiche; si attesta, piuttosto, come un ennesimo capitolo nella lunga e celebrata carriera del ensemble britannico. Un lavoro dal discreto piglio che avrebbe potuto certamente essere migliore, ma il cuore del gruppo, in quel frangente storico, non poteva pompare diversamente visti gli attriti e i numerosi cambiamenti in formazione. Nessun ritorno al passato glorioso del gruppo, solo un frammento piacevole da riascoltare oggi, che definisce i contorni del sentiment della band, quando i seminali anni ottanta, per l’hard rock americano, erano appena scoccati. Anni pronti a travolgere tutto e ridisegnare da zero, canoni, look classifiche e diffusione discografica.
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11
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Considero questo ed Equator i dischi meno riusciti degli Heep di quegli anni (ci sarebbero altri album tipo Different World, ma in epoca diversa). Non è un album brutto, ma non mi prende proprio. Hensley continua a comporre canzoni, ma ormai lontane dai fasti di pochi anni prima. Manca una certa vena compositiva che aveva reso gli Heep grandiosi nei primi 5 anni dei '70. Si sono un po' troppo ammorbiditi da diventare quasi pop. L'abbandono dello storico tastierista ha dato in Abominog (album successivo) una sterzata verso un hard rock quasi metal. Un motivo ci sarà... |
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10
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Non capisco perché mai abbia avuto insuccesso a suo tempo. Forse uno dei più "malinconici". Bella voce, bei suoni, anche un po' "originale", molto elegante. I punti più bassi (tutto relativo: dischi comunqie belli) gli hanno raggiunti altrove, non.con questo disco di sicuro. Anzi, l'insuccesso di quetso ha portato ai 3 dischi con peter goalby che si contengono alcune delle canzoni meno rilevanti della.carriera. mai capito perché hensley stesso preferisse goalby (non dico non'fosse bravo) a sloman. Avrei molto gradito altri dischi.con.questa formazione e magari con io ritorno di lee kerslake che ha.quel.tocco unico e fantasioso che non so se slade avesse o meno, ma che non.traspare in questo disco qui (la batteria mi pare meno centrale rispetto al solito) |
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9
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Amo molto gli Uriah Heep ma questo mi manca. Devo colmare questa lacuna. |
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8
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Amo gli UH in tutte le loro incarnazioni, questo Conquest in effetti è uno dei meno indispensabili, pure sempre discreto e con 2 o 3 perle. È un po' troppo soft, ma ha un'atmosfera bellissima. Voto 67 |
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7
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si Deep Purple ovvio, non sapevo nemmeno del disco del 2003, come bene sai l'aor e' dagli anni 80 che non e' piu' mainstream, perlomeno il primo di Sloman tale e', e per me da classic rockers non e' un bene |
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6
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@cowboy: a parte il refuso (immagino volessi scrivere Deep Purple e non Whitesnake avendo Hughes fatto solo qualche coro in Slip of the Tongue nei secondi) Glenn Hughes soprattutto in Burn e Stormbringer si spartiva in ogni canzone le parti vocali con Coverdale e cantava un pezzo in solitaria. John Wetton in Return to Fantasy e in High and Mighty faceva i cori (insieme a tutti gli altri) e ha cantato da solista One way or another nel secondo (che peraltro è la canzone migliore dell'album). Del Sloman solista mi riferivo a Dark Matter del 2003 che venne incensato ovunque, ma non ebbe la minima distribuzione |
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5
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Rob, Wetton ha avuto un roulo come querlo di Hughes nei Whitesnake, il disco di Sloman che ho io e' di fine anni 80 e se non ricodo male e' Heavy Metal America, o FM che era sempre una succursale |
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4
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Occhio @cowboy: Wetton non è mai stato IL cantante (avrà cantato al massimo un paio di canzoni), ma il bassista dopo la morte di Thain. All'epoca c'era ancora Byron e - se ci fidiamo di Wiki - Return to Fantasy è stato il disco di maggior successo in classifica avuto dal gruppo in Inghilterra. Su Sloman hai solo ragione: un eccellente cantante (il suo disco solista di una decina di anni fa è la mia chimera: l'ho cercato ovunque senza riuscirci MAI) |
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3
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il problema e' la pruduzione, la Bronze si stava divedendo in due etichette antologiche. Peccato perche' Sloman e' un ottimo cantante, sia nei Lone Star, sia nel suo disco solista, uno stile di Glen Hughes per intendere. E che gli UH hanno fallito sia con questo cantante che con Wetton, strano |
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2
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Sicuramente è tutto fuorché uno degli album “indispensabili” degli Heep. La sterzata commerciale è abbastanza evidente e sicuramente all’epoca della sua pubblicazione lasciò scontenti fans e critica. Però a mio avviso - eccezion fatta per 2/3 brani poco incisivi - alla fin fine è tutto fuorché un brutto album. Le prime due tracce e Out on the Streets le ascolto sempre con molto piacere. Con Abominog però faranno molto meglio. Voto 77 |
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1
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Che disco è Conquest? La recensione lo spiega bene: senza infamia e senza lode soprattutto in relazione alla precedente produzione, ma anche a quella successiva e recente. Ha il merito di confermare John Sloman come autentico erede di Glenn Hughes (nella stupenda Imagination viene proprio il dubbio). No return e la magnifica Out on the Street, con i due leader a rincorrersi come in passato, sono brani magnifici. Anche Think It Over è bellissima peccato che non sia finita nel disco finale. Fortunatamente verrà riproposta in Abominog. Al cuor non si comanda: 75 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. No Return 2. Imagination 3. Feelings 4. Fools 5. Carry On 6. Won't Have To Wait Too Long 7. Out On The Street 8. It Ain't Easy
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Line Up
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John Sloman (Voce, Pianoforte, Percussioni) Mick Box (Chitarra) Ken Hensley (Tastiere, Sintetizzatore, Chitarra) Trevor Bolder (Basso) Chris Slade (Batteria)
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