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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Marillion - Fuck Everyone And Run (F.E.A.R.)
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16/10/2016
( 7253 letture )
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Un po' di numeri. Sono diciotto gli album registrati in studio e trentotto gli anni di carriera dei Marillion. La band inglese, tra le maggiori esponenti del neoprogressive, continua ad arricchire la storia della musica, a scrivere canzoni ispirate e maestose, leggere come il primo pensiero di domenica mattina e pesanti come le storie di cronaca dei nostri giorni. F.E.A.R., acronimo di Fuck Everyone And Run che secondo i musicisti in questione meglio racchiude il significato delle liriche, è solo l'ultimo capitolo di una protesta sempre più difficile da trattenere, un risentimento che questa volta tocca direttamente il Regno Unito, la propria terra, i propri cari e la propria casa con giardino. Hogarth lo immagina. Il poeta di Kendal lo sa, anche se non vuole crederci troppo. Qualcosa di terribile si sta avvicinando, simile ad una tempesta, un bivio per la politica e la vita d'oltremanica, ma non solo. Ormai è su tutti i giornali, è scritto sui muri: la tipica pioggerellina ed i verdi prati dovranno aprirsi al mondo, soprattutto a quello in difficoltà con tanto di barconi rovesciati e abitazioni distrutte. La crisi finanziaria, il brexit e la guerra in medioriente -portatrice di una catastrofe umanitaria senza confini e senza precedenti- comportano delle responsabilità che nessuno vuole minimamente prendere a carico. I capi di Stato giocano a scaricabarile sulla pelle dei nostri fratelli e sorelle e -forse- anche un po' sulla loro. La tranquillità ha le ore contate. È ora di fare delle scelte, ma quali? La risposta è apparentemente a portata di mano, eppure non sembra esser così scontata. Prendere una posizione decisa, coraggiosa ed immutabile sui problemi che ci circondano non è semplice e fino a quando questi non minacciano casa nostra da vicino...che siano gli altri ad occuparsene. È il pensiero di tutti, inutile nasconderlo, ma per quanto ancora sarà così?
"H" bussa alle nostre anime con la solita maestria che lo contraddistingue. L'artwork parla chiaro: F.E.A.R. è scomodo. Si presenta sotto forma dell'elemento che il cantante considera la vera piaga della specie umana, capace di tirar fuori il peggio da ognuno di noi. Lo si sottolinea anche in El Dorado, brano d'apertura del disco: l'oro ha fatto più morti del plutonio e dell'uranio:
The gold stops us, The gold always did, The gold took more lives than Uranium, Than Plutonium, Pandemonium…
Siamo davanti alla prima delle tre mastodontiche suite che caratterizzano l'album. Una spensierata chitarra introduttiva descrive la tranquillità dei giorni che furono. Poi le nubi e tempi ampissimi. Kelly ricama le atmosfere rassegnate e cupe mentre Hogarth, con tutta la calma necessaria, quasi sussurra tra chorus emotivi e rabbiosi. La mente torna al precedente Sounds that Cant't Be Made e a Gaza, ma anche al classico The Invisible Man con cui condivide parzialmente struttura e pathos. Le premesse per un grande album ci sono tutte. La produzione assume le sembianze di una scrittrice di classe e successo che firma il proprio elaborato con eleganza e cura dopo averlo concluso. Living in FEAR è probabilmente il brano meno complesso della tracklist, con quelle sfumature di pop leggero in perfetto stile U2 dell'ultimo Songs of Innocence. Il delicato delay di Rothery e la voglia di vivere una vita in totale spensieratezza senza doversi preoccupare di chiudere la porta di casa quando si esce. Pura utopia, ma Hogarth invita a crederci:
Living in f e a r is so very dear, Can you really afford it?
We don’t invite crime
I venti minuti che seguono (Tomorrow's New Country compresa, essendone una parte piazzata a fine scaletta) possono entrare di diritto nella classifica dei migliori pezzi prog degli ultimi venti o forse trent'anni. The Leavers, ossia la perfezione in musica, racconta di chi ha fatto della sua vita un tour o di un tour la sua vita, vedete voi. È una traccia per un verso autobiografica e per un altro profondamente sociale che riprende, in parte, il discorso lasciato in sospeso da Montreal, esperienza esistenziale sempre tratta dal precedente lavoro di quattro anni fa. Come per El Dorado e, come vedremo, per The New Kings, The Leavers è suddivisa in più parti che affrontano diverse tematiche e stati d'animo. A tal riguardo, come non soffermarsi sul ridotto di The Jumble of Days che scorre triste come la pellicola di un film tra le commoventi e trascinanti note del solo che segue i versi We won't be much use to you dead. I ricordi vagano sospesi nel tempo fino all'epica conclusione tra chitarre, archi e un Mark Kelly al massimo del suo splendore. Poi il silenzio. Meglio premere pausa e prendersi qualche prezioso secondo per riflettere e riposare i sensi. White Paper è già in riproduzione, ma la si ascolta inevitabilmente con un'altra testa, tanto da non riuscire ad apprezzarne al meglio e nell'immediato la qualità, molto alta anche in questo caso. Il tema dell'abbandono, così come in The Leavers, è ancora al centro delle liriche. "H", nonostante l'età che avanza, mostra ancora una perfetta forma ed una capacità interpretativa da fuoriclasse. Conferme a parte, le novità riguardano con immenso piacere i ruoli da protagonisti recitati con personalità da Kelly e Mosley con un Trewavas lasciato un po' più ai margini rispetto al passato in favore di una maggiore omogeneità sonora. L'opera d'arte si chiude, a malincuore, con la terza ed enorme composizione già accennata. Dedicata ai "nuovi" milionari russi che comandano il pianeta, dedicata ai meno abbienti che non fanno altro che subire le ingiustizie provocate da chi vive in castelli sopra le nuvole, The New Kings, già da un paio di mesi lanciata dal gruppo in presentazione di F.E.A.R., è complessa, difficile da interiorizzare o da comprendere. Con quel ritornello, nemmeno troppo accentuato, che fornisce il titolo all'album, i Marillion si spogliano di quell'aura da "santerelli" che li ha resi agli occhi di qualcuno troppo morbidi ed iniziano ad alzare i toni, ad incattivirsi, in special modo nel finale dove le valvole vocali di Hogarth iniziano a saturare. Si ritorna all'epoca di Seasons End (la prima pubblicazione del dopo Fish), a scelte colte che spiazzano e allo Steve Rothery dei giorni migliori che chiude in bellezza l'episodio Russia’s Locked Doors. Questi i versi più significativi del pezzo:
We’re too big to fail, And when we do… It’s down to you
Santo sia il crowdfunding per questi ragazzi ormai nel pieno della maturità. I Marillion si riscattano nel migliore dei modi dopo un decennio caratterizzato da una certa discontinuità artistica (almeno per la critica) e ritrovano pienamente la brillantezza che sembrava persa dai tempi di Marbles, ammesso che abbiano mai sbagliato un colpo. Pensieri e musica, questa volta, sono andati di pari passo, accantonando il classico modo di operare che tende a privilegiare la voce degli strumenti rispetto ai testi. Nonostante i tanti anni di carriera e centinaia di tour alle spalle, Hogarth e compagni riordinano le idee per un lavoro che etichettare come superlativo è riduttivo. F.E.A.R. sarà una bellissima conferma per chi segue il gruppo dagli esordi di "H" ed una sorprendente scoperta per chi si è fermato a Fish, quando il gruppo britannico volava nelle vendite sfruttando la scia dei Genesis. Certo, fare paragoni col passato potrebbe risultare fuori luogo, soprattutto se si considerano le nuove tecnologie e tutto ciò che la modernità comporta nella registrazione o nelle scelte sonore di un disco, ma sarebbe meglio prendere F.E.A.R. per quello che è: un gioiello ormai "underground" alla portata di pochi appassionati nel mondo. C'è tanta qualità, tenerezza ed umanità in questo album. Meglio non lasciarselo sfuggire.
There are scars in our eyes, From a thousand goodbyes, That was great, You can write, But I won't reply
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L'assolo di Steve Rothery al termine di The New Kings (Ii) Russia's Locked door è uno dei pezzi più belli della musica rock, di tutti i tempi. Le corde della sua chitarra sembrano piangere e struggersi a causa delle parole di triste e brutale verità pronunciate da Hogart.
Il concerto FEAR dal vivo è stato uno dei più belli a cui ho assistito. |
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Ho abbandonato i Marillion quando Fish ha lasciato la band, perché nonostante i tentativi non sono mai riuscito ad apprezzare la voce di Hogarth...ma trasportato dai deliri di questo qua sotto mi viene voglia di riprovarci. |
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ALBUM DELLA MADONNA...COME SCRIVERE MUSICA ED EMOZIONI IN 5 CANZONI! |
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Difficile non parlare di "opera d'arte" quando ci si trova di fronte ad un album dei Marillion (anche considerando quelli poco riusciti). E anche F.E.A.R. non fa eccezione. Indubbiamente è la loro release più ostica da almeno 10 anni (quasi 70 minuti suddivisi in sole 5 tracce dice tutto) e la difficoltà ad arrivare alla fine del cd è forse il suo limite, vista anche una certa omogeneità stilistica di fondo. Comunque anche per me è il migliore dai tempi di Marbles (mentre non andrei a scomodare Brave, a mio avviso il paragone non regge). Voto 80 |
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20
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Album veramente bellissimo. Dopo il passo falso di Sounds (l'unico della loro carriera per me) non mi aspettavo un lavoro così bello. La suite di El Dorado e Living FEAR sono assolutamente eccellenti. Da fan della seconda era sono contento e anche per me è il loro album più bello dai tempi di Marbles. 80 |
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19
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Grandissimo lavoro! Mai troppo lodati...... |
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18
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Fanno una bella musica, per carità!!!! E' la perfezione!!! Comunque è un bell'album!!!!! |
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17
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I Marillion di adesso sono un po' malinconici!!!! |
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16
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Uno dei migliori album dell'ultimo periodo. Visto che non si sono mai fatti problemi nel fare brani lunghi peccato che abbiano deciso di separare in più tracce le varie parti delle suite. |
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15
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eccellenti, come sempre |
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14
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Well, well, album veramente eccellente. Mi ci sono voluti più ascolti (ma d'altronde, con il progressive è così...) e devo dire che i Marillion hanno sfornato un altro capolavoro. Come sottolineato nella ottima recensione, The Leavers è sicuramente la punta più alta ma qui siamo su livelli eccelsi su tutto l'album. Da rimanere stupiti che dopo una produzione così corposa ed aver attraversato vari lustri, questi riescono ancora a tirare fuori pezzi bellissimi ed emozionanti. Ed eccetto il cantante, la formazione è la stessa dall'inizio. Veramente complimenti! Au revoir. |
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13
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ordinato in versione signed lp in preorder a febbraio marzo! arrivato due gg fa, ansioso di avere un ora a disposizione per me: un the caldo, una coperta, la penombra e questo lp sul thorens |
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12
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Finalmente sono riuscito ad ascoltarlo. Più volte e ancora più volte. E 'un disco senza compromessi; 68 minuti di sfondo e cinque lunghi brani non radio-friendly. I testi ciclici, si alternano tra la tristezza e la rabbia, con rimandi a periodi gloriosi e suggestivi da rizzare i peli delle braccia. Gli strumenti e le tecniche sono di alto livello. Grande lavoro del tastierista Mark Kelly il quale ha dato una grande impronta, passando dal piano elettrico al doom-laden organo, mentre Steve Rothery è sempre suggestivo nelle sue linee di chitarra. Devo dire che l'assolo su El Dorado è spettacolare! Steve Hogarth é all'altezza , come sempre. Guardano indietro, Con molta probabilità È il loro miglior album dai tempi di marbles. 95 li merita tutti. Jimi TG (ovviamente è un commento da fan dei Marillion) |
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11
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Tra i primi 3 dell'era Hogarth non so. Sicuramente è un disco che non delude e che ho acquistato senza pensarci. Più lo ascolto e più mi piace. |
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10
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Tanta classe e canzoni prese singolarmente molto belle. Solo arrivare a fine disco è un'impresa a restare svegli. Tutto troppo quieto ormai da troppi anni. |
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9
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Devo assolutamente averlo. |
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8
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Ennesimo capolavoro. Band inimitabile. Delicato, potente, rabbioso, speranzoso. Un disco da 90/100 secco, senza se e senza ma. |
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7
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Sono davvero basito. Di cose belle i Marilli ne hanno fatte ma tirare fuori tutto ciò ora, dopo una vita sul palco e in studio è qualcosa che non so se abbia precedenti. Il precedente Sounds mi piaceva ma non mi aveva entusiasmato ma assume ora un nuovo significato, preparava la strada a questo tornado. |
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6
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Devo ancora ascoltarlo. |
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5
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É un buonissimo disco: l'ennesimo. Pregi: quelli di sempre, un chitarrismo minimale e liquido, la voce struggente di H, un mondo malinconico e morbido che ti avvolge con dolcezza. Difetti: é sempre un po' la stessa ricetta. Da Anorak i Marillion hanno coniato un sound che poi ha raggiunto il suo apice in Marbles (ma io amo di piú Somewhere Else). Fear si pone in questa scia in modo eccellente, ma chi ama la band, come me, sente un po' troppo deja vu. 80 |
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4
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Concordo con entropy, tra i primi 3 del'era Hogarth... Grandissimi! |
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3
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per me vicino ad album come brave e marbles! |
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2
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Curiosissimo di porgergli le orecchie. |
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1
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Veramente ansioso di sentirlo |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. El Dorado (I) Long-Shadowed Sun 2. El Dorado (II) The Gold 3. El Dorado (III) Demolished Lives 4. El Dorado (IV) F E A R 5. El Dorado (V) The Grandchildren of Apes 6. Living in F E A R 7. The Leavers (I) Wake Up in Music 8. The Leavers (II) The Remainers 9. The Leavers (III) Vapour Trails in the Sky 10. The Leavers (IV) The Jumble of Days 11. The Leavers (V) One Tonight 12. White Paper 13. The New Kings (I) Fuck Everyone And Run 14. The New Kings (II) Russia’s Locked Doors 15. The New Kings (III) A Scary Sky 16. The New Kings (IV) Why is Nothing Ever True? 17. The Leavers (VI) Tomorrow’s New Country
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Line Up
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Steve Hogarth (Voce) Steve Rothery (Chitarra) Mark Kelly (Tastiere) Pete Trewavas (Basso) Ian Mosley (Batteria)
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RECENSIONI |
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