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Marillion - Afraid of Sunlight
( 5669 letture )
Come raccontato dai protagonisti di questa storia, Steve Hogarth in primis, la nascita di Afraid of Sunlight, ottavo album in studio dei Marillion, fu il frutto di un periodo piuttosto turbolento. Brave aveva centrato l’obbiettivo di entrare nella Top Ten inglese, ma di fatto il risultato era stato raggiunto quasi senza promozione da parte della EMI, che aveva spinto pochissimo il disco in radio e in televisione, dopo aver speso molti soldi nella produzione. Il gruppo si trovava così nella spiacevole situazione di essere costretto a vendere tanto per non perdere il prestigioso contratto, ma senza poter usufruire dei vantaggi reali di incidere per una major. Tanto che ci furono riunioni per decidere se avesse senso proseguire con la casa discografica per quello che sarebbe stato comunque l’ultimo album con loro o se invece non fosse arrivato il momento di cercare un altro accasamento. Il gruppo aveva lavorato per quasi due anni su Brave, passando tanti mesi in un castello francese ed era consapevole che i lavori per il nuovo disco non avrebbero previsto un grande budget e che il tempo a disposizione sarebbe stato pochissimo. Nello stesso periodo, fu deciso l’ampliamento e il trasferimento del Racket Club, la sala prove di proprietà della band, che divenne così un vero e proprio studio di registrazione e la scelta di produrre interamente l’album lì derivò appunto dalle ridotte possibilità di budget a disposizione. Il gruppo rinnovò il sodalizio con Dave Meegan, il produttore di Brave, che si trasferì armi e bagagli in studio e adottò un metodo di "full immersion", costringendo il gruppo a suonare a giornate intere selezionando poi il materiale e decidendo motu proprio quali fossero gli spunti e le versioni migliori sui quali insistere e quali invece quelli da abbandonare, in un processo complesso che impose una direzione molto precisa al materiale e che risultò molto pesante per i musicisti, che si vedevano quasi "diretti" da un membro esterno. Anche in questo caso, le discussioni all’interno della band furono forti, ma alla fine tutti si convinsero che il poco tempo a disposizione imponeva scelte drastiche e la fiducia al produttore venne subito rinnovata.

In seguito ad un disco complesso e legato da un concept, come era stato Brave, ci si potrebbe aspettare che l’album venuto fuori da queste contingenze fosse un disco rabbioso, veloce e immediato, senza troppi sofismi e diretto al punto. Ma non fu così. Hogarth, sul quale gravava sempre il fantasma del predecessore Fish, stava attraversando un brutto periodo: il successo calante del gruppo e il mancato riconoscimento artistico e commerciale per Brave, i problemi familiari derivanti da una vita on the road che negli ultimi sei anni era stata comunque nevrotica e con ritmi del tutto inediti per lui, stavano minando la sua sicurezza e convinzione nei propri mezzi e, ancora di più, le motivazioni per la scelta fatta anni prima di entrare nei Marillion. Il costo sembrava improvvisamente troppo alto e questa situazione si riflesse sui testi elaborati in quel periodo, che cominciarono tutti a girare attorno ad un tema preciso: l’impatto che l’industria dello spettacolo ha sulle persone e il costo in termini umani che la pressione comporta. I protagonisti delle singole canzoni, che comunque non sono da considerarsi legate da un concept ben preciso, quanto piuttosto da un tema, sono appunto persone vere, che hanno subito la pressione del successo e hanno visto le proprie vite sconvolte, fino a pagarne il prezzo anche con la morte. Parliamo di James Dean, Elvis Presley, Mike Tyson, Kurt Cobain, Michael Jackson, il campione di velocità su acqua Donald Campbell (che morì durante il tentativo di stabilire il nuovo record mondiale disintegrandosi col suo prototipo, il Bluebird 7), il produttore Phil Spector, O. J. Simpson, che proprio in quel periodo era stato arrestato per l’omicidio della moglie e, infine, fonte di ispirazione fu anche il film Toro Scatenato di Martin Scorsese. Nessuna di queste persone è in realtà direttamente citata nei testi e di fatto l’interpretazione è libera e si è giunti a posteriori ad identificare e isolare i protagonisti dei testi come persone reali. Musicalmente, la band prosegue in maniera convinta la scia intrapresa con Brave, abbandonando quasi totalmente le tentazioni pop/AOR di Holidays on Eden, se non per quanto riguarda il singolo Beautiful, splendida canzone che ricalca l’impronta della precedente No One Can, ma lo fa con una maturità dolente e con afflato verso la bellezza che potrebbe/dovrebbe salvare il mondo, decisamente coinvolgente. Il disco che esce da queste premesse liriche e musicali è ben più breve del precedente, ma non per questo meno complesso e strutturato, anzi si potrebbe dire che in appena otto canzoni i Marillion siano riusciti a dare una varietà di sfaccettature e suggestioni davvero enorme. L’album è decisamente intimista, triste e richiede una completa immersione, senza distrazioni, rimarcando l’equilibrio incredibile tra atmosfere prog e soluzioni melodiche pop/new wave, le quali creano un substrato musicale che si scopre solo con ascolti ripetuti e non si consuma mai. Afraid of Sunlight è uno di quei rari dischi che non si può ascoltare in ogni momento, perché la sua atmosfera è talmente pregnante, che richiede e pretende la giusta disposizione d’animo, ma ascoltato la prima volta, come vent’anni dopo, non ha perso niente della propria profondità e del suo essere atemporale. All’epoca l’album soffrì pesantemente il fatto di doversi confrontare con un mercato discografico che specialmente in Gran Bretagna andava tutto verso il brit pop e quindi verso un sostanziale disimpegno e melodie decisamente più immediate e quasi sciocche rispetto alla complessità mascherata e all’atmosfera malinconica offerta dai Marillion, eppure oggi come allora il disco appare nella sua maestosità intoccato dalle mode e dal veloce consumo dei prodotti usa e getta. Qua non c’è spazio per niente che non sia perlomeno ottimo se non eccellente sotto tutti i punti di vista e conferma che nonostante le difficoltà legate al contratto discografico, la band stesse vivendo il proprio momento artistico più profondo, convinto e convincente. Premendo play e ritrovandosi nel giro di basso e chitarra che apre Gazpacho, si potrebbe pensare di avere di fronte un buon brano pop/new wave, per poi capire all’altezza del refrain che le cose sono molto più complesse ed il retaggio prog dei Marillion torna fuori prepotentemente con uno special ed una parte centrale carichi di tensione che migliaia di altre band non saprebbero creare neanche in mille anni, con uno scatenato Pete Trewavas in sottofondo e i soliti Kelly e Rothery a condire di pathos una canzone nella quale anche Ian Mosley tira fuori una prestazione di livello assoluto con la consueta geometricità. Basterebbe questa traccia a portare i Marillion al di sopra di tanti onesti mestieranti, ma la verità è che il meglio dell’album ha da venire e se la successiva Cannibal Surf Babe si guadagna il titolo di canzone più bizzarra dell’intero album –e in generale per la band- con la sua atmosfera palesemente ispirata dai Beach Boys e dal surf rock sessantiano, ecco che il citato singolo Beautiful, ancora una volta con una splendida linea di Trewavas, sembra rimettere ordine nel caos con la sua voce di speranza. È così che dopo tre brani ottimi, il disco decolla verso livelli assoluti: Afraid of Sunrise è la gemella della titletrack, una “parte prima”, tanto i testi e la melodia si assomigliano, eppure l’atmosfera semiacustica e soffusa la rende un pezzo unico, dal pathos incredibile, col flauto e l’andamento sospeso, sottolineato dal basso fretless e dalle sincopi. Hogarth, che per tutto il disco raggiunge probabilmente i suoi massimi livelli espressivi, è semplicemente perfetto, senza esagerare con l’interpretazione, eppure donando colore e sostanza ad una canzone che sembra fatta di niente ed è invece tremendamente ricercata da un punto di vista dell’arrangiamento. Altro livello. È tempo per il capolavoro immortale ed ecco Out of This World. Il brano è forse quello in assoluto più pregnante e propriamente triste, con il suo andamento che ricalca in tutto una vera e propria deriva sensoriale, come a simulare la sensazione di essere "fuori dal mondo" in senso assoluto, totale, richiamando la lunga suite Goodbye to All That che si trovava in Brave, salvo poi riportare tutto alla realtà con lo stupendo assolo di Rothery e la conclusiva meravigliosa melodia nella quale Hogarth declama Only love will turn you around, only love con una voce che non può non toccare l’anima di chi ascolta. Il brano, dedicato a Donald Campbell è talmente potente, bello, emozionante e drammaticamente commovente, che ha spinto al recupero del prototipo distrutto durante il fallito tentativo e dei resti dispersi dello sfortunato sportivo, tanto che nel 2001, Hogarth e Rothery furono invitati al recupero. Dalla coda di Out of This World nasce l’altro capolavoro assoluto del disco, la title-track, più classicamente strutturata, che si esalta ancora una volta nell’incredibile atmosfera e nella melodia praticamente perfetta, col suo crescendo strumentale, melodico ed emotivo che sembra catturare l’ascoltatore di peso e portarlo su verso l’infinito, domandandosi al contempo come sia possibile che queste persone -specchio dello stesso Hogarth- siano arrivate al punto da avere paura della luce del sole, metafora del successo e della sovraesposizione mediatica, schiacciate da un meccanismo alimentato dallo stesso show business, che incurante delle persone, bulimicamente, come il titano Crono, uccide e mangia i propri figli. Canzone da tramandare ai posteri, come la precedente, Afraid of Sunlight può e deve essere considerata una delle più belle mai concepite dai Marillion e rilasciate in assoluto in quegli anni. Dopo tanta grazia, una piccola flessione era forse inevitabile e Beyond You è forse la meno significativa del disco, e dire questo va a merito dei brani precedenti e non a demerito della canzone stessa, che presa da sola è altrettanto toccante e concepita in maniera quasi perfetta, mantenendo in toto l’atmosfera dilatata ed emozionante del disco, con l’insistito I can’t live with myself cantato da Hogarth che conferma il mood espressivo scelto dal cantante per le liriche e uno sviluppo forse meno naturale e scorrevole dei precedenti, ma comunque ricercatissimo e particolare, con Rothery che omaggia il maestro David Gilmour simulando l’assolo in slide di High Hopes, uscita l’anno prima. Curiosità vuole che per omaggiare il celebre "wall of sound" di Phil Spector, al quale il brano è ispirato, Dave Meegan abbia registrato il brano in versione mono, mentre la versione stereo è stata inclusa nella successiva ristampa. Chiude il disco King, altro brano particolare, dotato di una lunga evoluzione che dall’inizio dimesso si solleva dinamicamente all’altezza dei refrain, con tutta la band che porta l’intensità al massimo, per poi lasciare di nuovo cadere la dinamica, con una sensazione di vuoto enorme che si apre nella pancia dell’ascoltatore e il nuovo risalire guidato magnificamente da Hogarth fino all’esplosione finale, forse non riuscitissima come nelle intenzioni del gruppo, ma sicuramente intensa e potente, che chiude il disco mozzando il fiato.

Come da previsioni e nonostante le buone vendite iniziali, la EMI non diede seguito alla promozione del disco, che non ebbe infatti un secondo singolo per il mercato europeo, con Cannibal Surf Babe rilasciata solo negli USA. Il risultato fu una "modesta" sedicesima posizione nella classifica britannica che fece di Afraid of Sunlight il primo disco dei Marillion a non entrare nella Top Ten, uscendo poi dalla Top 40 dopo appena due settimane. Un vero e proprio tonfo che si spiega in tanti modi: scarsa promozione, scarsi investimenti, mercato discografico che stava totalmente cambiando e lasciava gli eroi degli Eighties alle spalle e, non nascondiamolo, anche la difficoltà di trovare uno spazio per una band che non era più propriamente prog, ma non poteva contare sulle melodie immediate e di facile presa del pop propriamente detto. Insomma, i Marillion erano "troppo" per il mercato e per le logiche del business discografico. Troppo grandi ed ingombranti per essere mollati, improvvisamente troppo poco redditizi per una major che calcola i propri vantaggi solo in termini di vendite, troppo complessi e ricercati per il mercato generalista, troppo compromessi col pop per chi invece si pasceva del nascente movimento prog metal. In poche parole, troppo unici per piacere a tanti. A distanza di qualche tempo, la critica trovò finalmente il coraggio per riconoscere che in realtà Afraid of Sunlight era ed è un vero capolavoro, uno dei dischi più belli rilasciati dalla band e forse il più bello in assoluto dell’era Hogarth, come sostiene ormai da anni lo stesso cantante. Nel complesso appena inferiore e meno coeso del precedente Brave, data la sua ridotta lunghezza risulta però più fruibile, particolare e variegato. Forse era inevitabile che un disco così intimista e triste non incontrasse il gusto della massa, ma riuscisse a scavare dentro l’anima di chi riuscì e riesce ad entrare in sintonia con l’atmosfera creata dalla band. Quello che è certo è che assieme a Brave questo resta uno dei dischi più belli della decade novantiana e uno degli apici dei Marillion, band dalle molteplici vite, sottovalutata all’inizio seppur baciata dal successo commerciale e poi brutalmente bistrattata nella sua seconda incarnazione e salvata solo dall’amore viscerale dei propri fan.
Al lettore e alla sua sensibilità, riscoprire questo gioiello assoluto.



VOTO RECENSORE
92
VOTO LETTORI
87.4 su 20 voti [ VOTA]
SIOUX
Domenica 19 Giugno 2016, 19.29.39
12
OUT OF THIS WORLD è DI UN ALTRO PIANETA, QUELL'ATMOSFERA RAREFATTA, QUEL TESTO INEBRIANTE, QUELLA MUSICA CHE TI ENTRA NELLE OSSA, UNA DELLE DIECI CANZONI PIù BELLE E MAGNILOQUENTI IN ASSOLUTO, ALBUM ASSURDO!
Rob Fleming
Sabato 30 Gennaio 2016, 18.38.08
11
All'epoca erano veramente al top della forma. Emozionante 83
alifac
Lunedì 7 Settembre 2015, 13.04.35
10
"Troppo unici per piacere a tanti" ...come condensare in una semplice frase i Marillion! Complimenti sinceri! Ottavo, meravigloso, album in studio... e intanto questa mattina ho pre-ordinato il 18esimo! Bello invecchiare con in sottofondo i Marillion!!!
ayreon
Sabato 5 Settembre 2015, 20.12.00
9
disco da avere assolutamente,tra i 3 migliori dell'era hogarth con brave e strange engine
Testamatta ride
Sabato 5 Settembre 2015, 14.12.12
8
E sì, must have assolutamente, come la maggior parte degli album dei Marillion del resto
Hard`n`Heavy
Sabato 5 Settembre 2015, 13.28.01
7
@ Steelminded NO. caso mai ex ''luci di ferro''.
Steelminded
Sabato 5 Settembre 2015, 12.43.37
6
Hard n heavy sei percaso lisa santini?
Awake
Sabato 5 Settembre 2015, 12.24.26
5
Dammi il tuo iban Lizard che ti faccio un bonifico 😊 Cmq adesso che mi hai spiegato il significato ricordo che lo sapevo gia... mamma mia, brutti scherzi fa la memoria... Grz della tempestiva risposta cmq...
Hard`n`Heavy
Sabato 5 Settembre 2015, 12.08.54
4
@ Saverio Comellini "Lizard" veramente preparato e in gamba poi hai lo stesso anno di nascita come il mio cioè 1976
Lizard
Sabato 5 Settembre 2015, 12.05.02
3
Deriva da Il Silmarillion, il libro di Tolkien. I contanti sono ben accetti, grazie
Awake
Sabato 5 Settembre 2015, 12.02.02
2
Domanda da 1 milione di dollari: chi mi sa dire il significato di Marillion? Grz in anticipo x un'eventuale risposta.
Hard`n`Heavy
Sabato 5 Settembre 2015, 10.35.37
1
MUST HAVE, il mio giudizio è 94/100.
INFORMAZIONI
1995
EMI
Prog Rock
Tracklist
1. Gazpacho
2. Cannibal Surf Babe
3. Beautiful
4. Afraid of Sunrise
5. Out of This World
6. Afraid of Sunlight
7. Beyond You
8. King
Line Up
Steve Hogarth (Voce, Tastiera, Chitarra)
Steve Rothery (Chitarra)
Mark Kelly (Tastiera, Piano)
Pete Trewavas (Basso, Chitarra)
Ian Mosley (Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti
Hannah Stobart (Cori su traccia 3)
Wendy Paige & Barbara Lezmy (Cori su traccia 2)
 
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