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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Marillion - Clutching at Straws
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25/06/2016
( 6942 letture )
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1 Giugno 1987. Relativamente breve, conciso a tratti, suadente e magnetico. È un cappotto per il freddo e una carezza ghiacciata per il periodo più afoso dell'anno. Nel giugno 87 esce l'ultimo grande album che i Marillion abbiano composto con la formazione classica, capitanata dall'istrionico Fish. Questo è, se vogliamo, il punto che chiude la quadrilogia iniziata solo quattro anni prima con il clamoroso Script for a Jester's Tear. Danza soft e musica nuova, da qui il termine "neo-prog". Un sunto di ciò che i Marillion erano stati fino a quel momento, tra successi improvvisi e quel dipinto sonoro immortale di Misplaced Childhood che, due anni prima, aveva lanciato la band nella stratosfera musicale. Oltre le aspettative, oltre il futuro, oltre la magia, oltre le note.
Leggende, insomma. E questo capitolo, esattamente come gli altri tre che lo hanno preceduto e, per certi versi, anche di più, rappresenta un tassello importantissimo per la nostra musica preferita e, in genere, per il mondo del rock contemporaneo. Sottovalutazioni a parte, manierismi di sorta, dimenticanze. Tutte sfumature delle memorie perdute nel tempo: ma questo codino, epico e stravagante, memorabile e intelligente, chiamato Clutching at Straws non delude mai, anche a distanza di trent'anni. È una tessera del domino, dimenticata nel tempo, ma senza polvere e ancora in grado di mietere vittime. Sobriamente, lo riascolto in macchina, in cuffia e mentre sistemo lo studio. Non c'è una nota fuori posto, una chitarra sbagliata, una parola di troppo. Non manca nulla: ingredienti scintillanti e coriandoli di musica che vive il presente maneggiando la materia decennale appartenente al passato e, perché no, quella futura. Ma non ci sarà Fish nel futuro della band ed è proprio questo il fulcro della questione. Spesso accade che, discrepanze più o meno nette, più o meno evidenti in una band affermata, portino a inevitabili cali di ispirazione o, peggio, composizioni altalenanti e arraffate in fretta e furia per obblighi contrattuali. Questo, fortuna nostra, fortuna vostra, non è il caso di Clutching at Straws che, di petto, affronta le problematiche esterne e interne relative alla band e legate al suo portentoso, intrigante e intelligentemente folle frontman.
Così ci culliamo, tra poltrone secolari e ambienti estremamente famigliari, tra le sfumate e affumicate undici (+1) tracce dell'album, partendo dal pop-rock variopinto di Hotel Hobbies per approdare al prog artistico, epico ed espressivo di Last Straw. Il concept è bello, chiaro e cristallino, con il protagonista (Torch), presunto discendente del Jester, che vive una vita dissoluta sull'orlo dei trent'anni. È una storia triste e visionaria, ma profonda come l'oceano. Con il ragazzo protagonista, riflesso artistico dello stesso Fish, che pensa alla propria vita e ai propri insuccessi, senza riuscire a venirne a capo: matrimoni falliti, il successo musicale latitante, la mancanza di una qualche forma di redenzione e la solitudine che imperversa. Una tragedia tinta di soffice e morbido velluto blu: un delirio suburbano da ascoltare con cura, mentre Torch sprofonda sempre di più, in preda alle follie della vita on the road, tra bar e squallidi motel, urla dissipate e stanze sottosopra.
Caos, violenze cerebrali, e i soffici pandispagna che il rock di Warm Wet Circles ci serve su un piatto d'argento subito dopo l'incipit di Hotel Hobbies, mostrandoci la spaventosa e "discreta" classe di Steve Rothery, a suo agio in ogni partitura, con o senza distorsioni, al buio e alla luce. Nel silenzio, con il silenzio. Informe, ci cattura a ogni nota, spingendoci verso il baratro cittadino insieme alle parole di Torch, figlie delle cattive maniere e del vento serale, umido e maledetto.
That Time of the Night ci apre le porte con il basso pulsante di Pete Trewavas accompagnato da dolci tastiere e synth letteralmente spaziali, non dissimili per uso e sensazioni agli effetti utilizzati negli stessi anni dai maestri Rush, salvo poi mutare in qualcosa di personale, tipicamente Marillion nella forma e negli intenti, con la sei corde pizzicata e Fish che sale in cattedra, interpretativo come sempre, ma ancora più convincente durante il ricchissimo refrain, teso e drammatico. È un album di sensi unici, vie strette e vicoli bui, bar dalle insegne al neon e cori scoppiettanti venati di ricca musicalità, onirismo, influenze e autocitazioni. La poliritmia saltellante di Incommunicado ci riporta sui binari della ragione e dell'energia più vivida, con alti e bassi vocali e le tastiere iridescenti di Mark Kelly a traghettare egregiamente i versi della canzone. Kerouac, acustica e atmosfera distante aprono invece l'affascinante e notturna Torch Song, dedicata al protagonista, in una commovente riflessione personale, tra momenti di depressione maniacale e gli eccessi alcolici. Una voce nell'oscurità che ci indica il cammino, consigliandoci di smetterla con le intemperanze, le leggerezze e gli abusi. Forse non dovremmo esagerare con gli entusiasmi, con gli occhi gonfi e le bottiglie lasciate alla mercé della volontà più subdola. Ma cosa possiamo farci? Questa è la musica e, esattamente come il buon Torch, non possiamo sottrarci né esimerci dal trasporto emotivo, liquoroso ed elettrico. Ancora notte e richiami pianistici al passato, con la finestra aperta su Fugazi e sull'infanzia sbagliata, infranta.
Ogni brano va fedelmente a braccetto con la sua controparte, in un'unica evocazione di progressive rock d'annata, che ci fa scappare lacrime e pensieri indifesi durante la dolcezza straziante di Sugar Mice, forse una delle tracce più semplici e meno strutturate, con il suo andamento delicato, la melodia pop (mai banale) e le sue chitarre spesse e parlanti, che ne esaltano lo scheletro e l'anima nella seconda parte, dominata dalla strumentazione solitaria e da un bridge praticamente inattaccabile, dopo il quale Fish riprende subito in mano la situazione siglando un breve epilogo ricco di enfasi indotta e ancora memorie nostalgiche. A volte non si può scappare via.
The Last Straw è, d'altro canto, il momento culmine dell'intero lavoro, con il suo progressivo e programmatico lavoro di strutture che sfuggono e si intrecciano: alti e bassi cromatici e pareti improvvisate, decorate quasi all'improvviso dalla nostra coscienza. Un elastico sonoro che profuma di epilogo e saluto definitivo. È ancora Kelly a impreziosire il tutto con un memorabile giro tastieristico, mentre i sei minuti dell'ultima vera composizione dell'opera si stagliano davanti a noi con una disarmante capacità di intrattenimento e verità. Non vogliamo che tutto questo finisca. Non avremmo mai voluto, con il senno di poi. Ma non abbiamo a disposizione John Titor né la sua improvvisata macchina del tempo, così cerchiamo di goderci le gocciolanti note ricchi di riverberi che spezzano il brano in due, regalandoci un break solista eccelso, in cui i riflettori tra la fitta pioggia estiva sono tutti per Steve Rothery che vibra per una folla di fantasmi e anime erranti. È tardi e il bar è vuoto, il tappeto del biliardo è ancora caldo e il bancone è umido e sudato. I bicchieri hanno fatto il loro involontario dovere, tra sguardi languidi, donne di passaggio e cori soul a recriminare la proprietà notturna. Un vero vaccino per la mente, una droga subdola e inconscia e poi un improvviso fading che lamenta e preannuncia la fine della storia, con Noi ascoltatori che -senza maschere- ci troviamo nel retro del locale, faccia a faccia con Happy Ending, tra una risata sorniona di mastro-Fish e un brano fantasma che si spegne in pochi secondi, dicendoci semplicemente "NO"... Così non possiamo continuare.
L'insegna esterna si spegne. Lampi all'orizzonte, strada deserta. Sirene, emergenze nel buio. Questa è, infine, la triste storia del 1987, tra deragliamenti personali e abbandoni, suggellati perfettamente in questo grandissimo album fuori concorso, degno successore di tre eterni capolavori, non meno affascinante e non meno ricco e importante, tetro e misterioso, vasto e sempreverde. Sì perché la musica che attraversa le sfere cosmiche non invecchia mai, sapete? Clutching at Straws.
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Il mio disco notturno preferito dell\'estate del 1987....non lo ascolto quasi mai, mi intristisce. Troppo!
Peccato non sia uscito nel 2020, per dire, la conclusiva \'\'The Last Straw\'\' sarebbe durata 22 minuti , 22 minuti di pure erezione Progressiva.
Ciao Fish !
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Recensione semplicemente FAVOLOSA complimenti. |
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Disco prog meraviglioso come i primi tre, poi il resto è pop |
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Tenendo conto che quando Clutching uscì il recensore aveva, si e no, 2 anni... che dire... disamina assolutamente centrata e complimenti allo stile, alla sintassi e al lessico. Per quanto riguarda l'album... beh... ogni parola è superflua, basta ascoltarlo. |
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il meno immediato dell era Fish, ma comunque un grande album.
La quadrilogia con Fish è magica. All epoca penso fosse l unica band non metal che ascoltassi. Dopo con l era Hogarth (grande artista sia chiaro) non li ho piu sehuiti. Fish si, e mi rattrista come su magazine e web sia dato poco spazio al suo addio alla musica. ma questa è un altra storia. Bel disco, mitica era, con quel flavoor rock britannico irripetibile. |
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Lo sto riascoltando in questi giorni a tantissimi anni di distanza. E' un album che non ti entra subito nelle vene, ma una volta lì si insinua e non se ne va più.
Personalmente lo preferisco a misplaced, che dell'era Fish è quello che mi piace meno.
Sono composizioni diverse rispetto a quelle dei primi lavori e inizialmente lasciano un po spiazzati, ma poi inizi ad apprezzarle e ti accorgi che ogni passaggio è perfetto. Just for the record è la piu marillioniana, con quell'assolo di tastiera che ricorda i primi lavori.
Ma la mia preferita in assoluto è l'ultima, last straw con quel duetto tra Fish e l'interprete femminile che ogni volta che lo ascolto non posso fare a meno di cantarlo a squarciagola.
L'unico lavoro dell'epoca Hogarth degno di stare accanto ai primi 4 album è Marbles. Il resto buoni o mediocri album, compreso Brave, che ha momenti altissimi, ma anche tanti passaggi riempitivi, cosa che CLutching per es. non ha.
Lo ascolti e riascolti e non trovi mai un passaggio superfluo, una nota fuori posto.
Quanto mi mancano i vecchi Marillion. Nessuna band, mai, ha saputo prendere il loro posto nel mio cuore. |
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Grandissimo disco. Il suo problema è essere uscito dopo misplaced. Questa recensione capita a fagiolo per lo scambio di idee che sto avendo sul forum. I marillion dell'era fish, sono stati una band immensa. Credo non ci sia una canzone, comprese le bsides, che non mi piaccia. Live incredibili.Personalmente, adoro script poi misplaced,fugazi e poi clutching. Ma si parla di nulla perché tutti e quattro rappresentano qualcosa di immenso che ascolto in continuazione. Con l'entrata di hogart,sono rimasti un'ottima band ma non mi hanno più emozionato come prima. Comunque, voto 85 |
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Bellissima recensione di un vero capolavoro. Concordo in pieno. Questo disco è l'epilogo di un'era , quella di Fish, irripetibile. I Marillion possono piavere o no, ma rimangono una pietra miliare per tuti i ragazzi "prog" degli anni 80!
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boh...soprassederei su camerata e maialata....a me l'album piace molto,come tutti quelli dell'era Fish..poi ognuno la pensa come gli pare ci mancherebbe..poi ubriacone...se è questo il paramerto di giudizio..siamo messi male |
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CAMERATA SIMONFENIX ANCHE IO LA PENSO COME LEI...ALBUM OSCENO...L UNICA DEGNA DI NOTA È WHITE RUSSIANS...CON SEASONS END I MARILLION SI RIPRENDONO LE EMOZIONI E NON LE HOT CHE QUELLO SPORCO DI FISH VOLEVA IMPORRE A TUTTI I COSTI...MAIALATA ASSURDA ST ALBUM...CARINA MA COMMERCIAL DA FARE SCHIFO INCOMMUNICADO E JUST FOR THE RECORD...IL RESTO ROBACCIA...LENO MALE CHE SE NE ANDO QUELL UBTIACONE)...BRAVE È MOLTO PIÙ SUPERIORE A MISPLACED..MA ANCHE SEASONS END O AFRAID OF SUNLIGHT..O ANCHE IL CAPOLAVORO HAPPINESS IS THE ROAD ALBUM FATTI CO HOGART |
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Lo dico da possessore di tutti gli album dei Marillion Ho provato ad ascoltarlo più e più volte e trovo che è meno consistente dei precedenti, i brani mi sembrano tutti piuttosto simili tra loro (a parte Incommunicado, il brano più fuori posto dell'album); gli preferisco il successivo. |
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Disco imprescindibile per coloro che amano il prog. Qui non si tratta di neo-prog, alter-prog, new-prog ... insomma nessuna etichetta! E' "solo" grande musica e bata questo per proiettare i Marillion nell'empireo dei grandi.
Inutile dire che si sono sempre ispirati ai gruppi storici degli anni 70, è palese, ma hanno sempre messo del loro in tutte le composizioni. E questo fa dei Marillion dei grandi. Questo album, purtroppo l'ultimo dell'era Fish, testimonia la loro grande vena compositiva, frastagliata, contaminata e davvero superba. Un grande album. |
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E' strano o forse no che il prog prestasse i servigi al pop con yes e questi nel disco precedente con due tra i piu famosi singoli degli '80, che dire questo e' meglio del precedente, seguendo i singoli riguarda anche gli Europe. Disco di classe |
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bellissimo come i suoi predecessori... Dopoi ho abandonato i marilion, sempre validi e coraggiosi, ma diversi. l atmosfera, la musica. i testi la grafica saranno un altra cosa. non meglio o peggio, questo lo decide la ascoltatore con il suo gusto personale. ma diverso da quel periodo irripetibile che si kiude con questo album. |
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Capolavoro! Tra questo e Misplaced Childhood non saprei scegliere. A 30 anni dalla sua pubblicazione ancora fa venire la pelle d'oca. Sugar mice è commovente! P.s.: Bellissima recensione! |
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Il primo album amato dei marillion non si scorda mai!!!!solo meraviglia |
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Condivido tutto della recensione (sebbene lo stile sia così per dire eccessivamente "barocco" e mi sia dovuto un po' sforzare per arrivare alla fine, mio limite). Per me i marillion sono sempre finiti con la fuoriuscita di Fish e quindi queto album è sempre stato per me il loro canto del cigno. Non ho mai apprezzato la svolta del dopo Fish, non ho mai gradito la voce e i testi di Hogarth, sebbene più di qualche pezzo molto valido indubbiamente lo abbiano fatto ancora non ho mai acquistato un album intero. Questo fino a qualche settimana fa quando ho ascoltato sto FEAR che mi ha davvero convinto. Mi sono detto: finalmente caxxo! Evviva! |
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@Lorenzo. Mi complimento con te, per l'ottima disamina del tuo commento. Sono d'accordo su tutto quellio che scrivi (in maniera bella, educata e buon italiano!!!) Nonostante i miei modi compiti (non posso farci niente) sono un vecchio metallaro in tutti i sensi, per età e per frequentazione di concerti un po' dappertutto. I Marillion non sono proprio dei metallari ma li ho amati dall'inizio, visto tutti i concerti, band e Fish solista. Li adoro. Ho portato mio figlio, quando aveva solo tre anni, ad un concerto dei Pink Floyd , risultato : casa invasa da cd di tutti i tipi dal black al power, industrial, death, classic ecc.ecc., moglie metallara alla sua veneranda età, ma non smetteremo mai. Siamo una bella famiglia, un po' fuori dagli schemi, ma la musica è vita, ci piace e amiamo viverla nel più bel modo possibile. Abbiamo i nostri gruppi preferiti, ma ascoltiamo di tutto, il panorama musicale odierno ci consente una vasta scelta. Ripeto : veramente un bel commento il tuo e la rece di Metalraw è straordinaria, ma lui scrive bene e io ho un debole per la buona scrittura. Arrivederci. |
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Bellissima recensione, che esalta perfettamente un disco davvero memorabile, per melodia, tecnica al servizio dei brani, pathos, atmosfere eteree intermezzate con momenti elettrici e sferzanti, senza una nota che sia una, fuori posto. I Marillion li ho approfonditi da molto poco ma stanno piano piano conquistando spazio tra i miei gruppi preferiti. Relativamente al periodo Hogarth debbo dire che per il momento non ho ancora ascoltato granché a parti alcuni brani di Marbles, tra cui quel capolavoro assoluto che è Ocean Cloud. Giustamente ho preferito iniziare dal periodo Fish, che è poi quello più acclamato dai die hard fans e perché rappresenta l'origine e il cuore pulsante della creatura nata e cresciuta con dentro l'eclettismo di Fish, ricercato paroliere e cantante capace di proporre un timbro riconoscibilissimo tra migliaia nonostante la vicinanza stilistica con un certo... "Peter Gabriel", ma che mi sento di dire non lo abbia mai schiacciato in quanto la sua personalità e talento, oltre che una spiccata genialità gli hanno permesso di emergere ed erigersi ad icona assoluta. Detto ciò, questo è veramente un disco di altissimo livello. Visto che si parlava di Just for the record, poco citata, ecco uno che dal primo ascolto l'ha subito addocchiata, eheh. Suonicchiando le tastiere la prima volta che l'ho ascoltata non ho potuto che farmi trascinare nel vortice emozionale delle parti e dei soli di Kelly. Altro pezzo che amo molto, Incommunicado e anche Slàinte Mhath con quell'arpeggio ipnotico di Rothery e il climax crescente della dinamica fino al finale. A chiosa, recupererò i dischi successivi con Hogarth, tra l'altro sto sentendo parlare grandiosamente dell'ultimo F.E.A.R. definito addirittura il loro migliore disco degli ultimi vent'anni. |
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Album che incanta ed emoziona, tanto quanto questa bellissima recensione. Ho nostalgia dei vecchi Marillion e proprio per questo adesso ho messo su quel disco strepitoso che è"Fugazi". Ma quanto è bello? E ti lascia dentro tanto. Viva Fish e viva i Marillion! |
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Semplicemente BELLISSIMO... Slàinte Mhath, Alla Vostra Salute!!! |
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Wow!, che bellissima recensione da leggere il lunedì mattina... Veramente complimenti! Relativamente all'album, un capolavoro, come tutto quanto fatto dai Marillion. Ultimamente sto collezionando vari live che sono disponibili (tipo Breaking Records) e sto apprezzando molto anche l'ultima produzione con Hogarth. I primi quattro, rimangono comunque strepitosi. Au revoir. |
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confermo... ayeron sono almeno due stagioni di "90° minuto" dove verso la fine del programma parte una clip di 30 secondi (che riassume i goal della giornata) con sottofondo "easter" la parte *.* dell'assolo |
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Il giornalista rai sportivo marco mazzocchi e' un fanatico dei marillion |
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@roxy35: ti ringrazio per l'affetto e si... concordo in toto che senza passato non ci sarà mai né presente nè futuro.  |
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@Awake : Anch'io sono un ex giovane e non c'è niente da scusarsi. La nostalgia c'è, è innegabile. Certi capolavori non si ripeteranno più, io guardo sempre avanti perché sono ottimista di natura, ma un occhio guarda anche sempre indietro, perché senza passato non ci sarebbe il presente e senza questo non ci sarà il futuro. Detto questo onore al grande Fish e ai Marillon per quello che ci hanno lasciato. |
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capolavoro - Clutching at Straws, nient'altro da aggiungere |
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nessuno che parla di "just for the record" e di quel mega assolo di mark kelly ? disco troppo sottovalutato ,"white russian","warm wet circle","last straw",ma anche "going under" che in vinile nn era inclusa perchè lato b di "incommunicado",li vidi anch'io a modena nell'88 ma erano già in lite tra loro,meglio l'anno prima nel tour 87 ,magnifici a locarno,ero li' con il fan club italiano ,che ricordi |
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Perla del new prog anni 80, emozioni dall'inizio alla fine. Li vidi live a Modena con un Fish senza voce per una brutta influenza. E' salito sul palco è ha entusiasmato ugualmente la platea nonostante l'incazzatura che aveva addosso per non riuscire a cantare. Mi feci autografare anche il biglietto e quando lo ringraziai lui mi mise una mano sulla spalla e mi disse "thank you too, cheers mate". Durante il concerto feci il pollice alzato a Mark Kelly che stava suonando da paura, lui mi rispose con l'occhiolino, staccò le mani dalla tastiera e mi contraccambiò il pollice. Vabbè... ricordi nostalgici di un ex-giovane folgorato dai Marillion. Scusate. |
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Che dire...stupendo ! Voto personale 96. Il mio preferito di questa grandissima band, brani come Sugar Mice, White Russian o Slainthe Mhath sono perle di incommensurabile valore. Già qui stavano cambiano leggermente rotta e avvicinandosi ad un prog meno "Genesis oriented", con Hogarth la mutazione sarà definitiva. |
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Che dire? A quasi trent'anni dalla sua uscita quest'album è ancora in grado di emozionare. Fish qui' è tocca il culmine della sua genialità. Disco praticamente ineguagliabile. Di pari passo anche la rece di Riccardo Metalraw emoziona. La musica fa anche questo, ci fa sognare, divertire, emozionare e tanto altro ancora. |
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Forse è pochissimo al di sotto di "Misplaced Childhood", ma devo dire che tra gli album new prog anni '80 è sicuramente tra i migliori. Non c'è molto da aggiungere, la bellissima recensione di Riccardo dice già tutto; un meraviglioso testamento lasciato da Fish; da lì in poi non riusciranno a tornare a questi livelli, benché faranno ottime cose. |
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Recensione emozionante e voto impeccabile. Disco enorme, come i Marillion hanno fatto e faranno almeno fino ad Anoraknophobia. Emotivamente parlando, Fish tocca forse il suo apice di scrittore di testi. Splendido e da avere. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Hotel Hobbies 2. Warm Wet Circles 3. That Time of the Night (The Short Straw) 4. Going Under 5. Just for the Record 6. White Russian 7. Incommunicado 8. Torch Song 9. Slàinte Mhath 10. Sugar Mice 11. The Last Straw 12. Happy Ending
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Line Up
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Fish (Voce) Steve Rothery (Chitarra) Mark Kelly (Tastiera) Pete Trewavas (Basso) Ian Mosley (Batteria)
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RECENSIONI |
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